Roberto Saviano

Gomorra

Mondadori, Milano, 2006

pagg. 331
€ 15,50

 

 

 





 

Gomorra di Roberto Saviano

 

Nessun compiacimento folkloristico o “di colore” a proposito della presunta “Napoli nobilissima”, della napolitudine, del dialetto – in tutto il libro le espressioni dialettali si possono contare sulle dita di una mano – in questo lavoro di Roberto Saviano, che riesce così a sfuggire ad una tentazione che prende tutti coloro che da dentro o da fuori si trovano a scrivere su Napoli e i suoi dintorni. Nessun riferimento alle presunte qualità e bellezze di luoghi come la Sanità, i Quartieri spagnoli e gli altri luoghi popolari dell’iconografia napoletana. Zone buone per portarci (o parlarne da debita distanza) una volta l’amico turista, salvo poi riparare in collina o sulla riviera.

Napoli che da luogo dell’immaginario diventa uno spazio in cui l’immaginario si è realizzato, ma quello più cruento e sordido, fatto di morte, di sofferenza, di arbitrio. Come in Ellroy, in Lehane, e negli altri cantori postmoderni degli incubi metropolitani.  

E questo già è un gran merito del libro.

Perché, in effetti, questo è l’unico modo per poter condurre consapevolmente un’analisi precisa e totale di come funziona oggi la camorra, di chi coinvolge, di ciò di cui si occupa, di quanto, in sostanza, abbia perfettamente capito cosa ha voluto dire il passaggio da una economia industriale a quella postindustriale.

Merci di tutti i tipi che vengono dall’estremo oriente e saltando i controlli cambiano volto e nome e entrano nei mercati legali. E poi, naturalmente, i traffici ancor più opachi: le armi, la droga, i rifiuti di tutti i tipi, gli esseri umani.

Saviano mostra come le organizzazioni camorristiche vincenti siano riuscite perfettamente a infilarsi nelle maglie larghe delle trasformazioni economiche finanziarie degli ultimi venti anni, trasformandosi in uno dei più grossi operatori economico-finanziari del pianeta.

Trattando quindi con tutti, e inserendosi  a pieno titolo in quella zona d’ombra, dietro quelle quinte che mascherano la vera natura del capitalismo e del potere.

Decentramento, diversificazione, virtualizzazione degli scambi e dei traffici, controllo sulle persone e sulle cose.

Il dispiegamento completo della logica dell’accumulazione primitiva trasportata al passaggio fra secondo e terzo millennio, alla transizione dal moderno alla tarda modernità, dall’era della produzione a quella della finanza.

Senza nessun vincolo di natura legale, civile, tantomeno etica.

In effetti, se ci si ragiona un attimo, l’epoca che stiamo vivendo assomiglia molto alla fase storica che vide il cambiamento dalle economie precapitalistiche – la terra, il commercio – al capitalismo – le metropoli, l’industria – e, come quella, produce lutti, disastri, conflitti.

La camorra semplicemente applica la stessa logica allo stato puro, combattendo quando è necessario con le armi, e sfruttando proprio i conflitti e i disastri prodotti dal mutamento sociale.

Quindi le armi degli arsenali sovietici post muro – con buona pace delle anime belle che hanno gridato allo “scoppio della pace”, la droga, le nuove schiavitù, il cemento, i rifiuti tossici.

Anzi, forse in quest’ultimo traffico criminale troviamo la dimensione più adeguata per descrivere Napoli, la sua provincia, gran parte della sua regione.

La Campania – e i coinvolgimenti che Saviano fa trapelare sono ampi e diffusi – è diventata uno degli sversatoi del mondo: scorie, residui, scarti tossici di tutti i generi sono sepolti un po’ dappertutto, come di scarto, per usare l’espressione di Bauman, sono sempre più le vite di chi la abita.

E la complicità, l’omertà, il disinteresse (o meglio, l’interesse) di tutti gli attori coinvolti (l’economia legale, la politica, le amministrazioni locali non solo campane) dimostra come sia sempre stato difficile il lavoro di chi si è opposto e si oppone a questa  dimensione della criminalità.

Non è un caso che – come chiarisce l’autore – la delinquenza  di Napoli (quella degli scippi, del pizzo, dell’usura spicciola) sia quella di una camorra superata, ormai arcaica, allo sbando, residuale fatta di pitocchi e perdenti. Che comunque contribuisce ad assicurare una pessima qualità della vita, e che è l’ultimo tocco per poter assicurare alla città un ottima posizione nella speciale classifica dei peggiori buchi del culo del mondo. Uno sguardo, dall’oggi e da un pezzo di Italia, di come potrebbe essere il nostro futuro.


 

     Recensione di a.f.