Daniele Barbieri e Riccardo Mancini

Di futuri ce n’è tanti

Prefazione di Valerio Evangelisti

Avverbi Edizioni

pagg. 161

€ 12

 

 

 





 

Di futuri ce n'è tanti di Daniele Barbieri e Riccardo Mancini

 

Né con il fandom, né con i detrattori/banalizzatori. Di futuri ce n’è tanti muove fuori dalla logica del bipolarismo culturale che proprio sulla fantascienza si è fatto le ossa. Daniele Barbieri e Riccardo Mancini oppongono ai fans della sci-fi la netta distinzione tra la robaccia e la buona letteratura. Lo fanno da competenti, con un dosaggio inappuntabile di trame celebri e finezze da intenditori. Ai denigratori, invece, ricordano la capacità del genere di prefigurare scenari spesso anticipatori di guai seri nel cosiddetto mondo reale e sempre precisi nell’indicare i malesseri che un nuovo salto tecnologico o un’inedita applicazione del know-how disponibile potrebbero agitare.

Insomma, questo è prima di tutto un lavoro sentimentale, ovvero una testimonianza della relazione che i due autori intrattengono con la letteratura di fantascienza. La copertina che simula le copertine di Urania – la pubblicazione di fantascienza per antonomasia in Italia – è più che eloquente in proposito.

All’interno del genere, poi, ci sono amori più intensi di altri, passioni che sarebbe ipocrita celare e gli autori non si nascondono dietro un dito: Theodore Sturgeon, ad esempio, è autore degno della massima stima e ammirazione e la coppia Barbieri/Mancini non lo nasconde certo.

In secondo luogo, è un invito a “uscire da un presente senza sogni”, proponendo istruzioni al proposito, appellandosi al lato sovversivo o quantomeno problematico dei testi presi in esame. Sano proposito, condivisibile, sebbene la letteratura di fantascienza oggi se la passi maluccio, accerchiata da Rfid, iPod, connessioni wireless, nutriceutici, avatar in 3D, ogm, giusto per citare una manciata di fenomeni tratti dal mondo del consumo e dell’intrattenimento quotidiano che appena ieri sembravano dover comparire dopodomani.

Sullo stato di salute del genere dice la sua Valerio Evangelisti, in un’introduzione che da sola basta a certificare la bontà di questo libro, un po’ come una certificazione etica SA8000. Evangelisti non può non esprimere anch’egli preoccupazione (con cifre alla mano) per la salute del genere, ma si dichiara fiducioso in un futuro più tonico.

La questione, in realtà, è estendibile ben oltre l’orbita della fantascienza e qui, invece, tutti e tre per un attimo oscillano verso il fandom, anche se del migliore. In fondo, non è la sola fantascienza ad avere guai con la contemporaneità. Senza dilungarci, basti pensare che il jazz oggi non può certo vantare geni del calibro di Charlie Mingus, Miles Davis, John Coltrane, visionari come Albert Ayler o Sun Ra e più in generale la musica è in affanno. Difficile vedere oggi analoghi di Frank Zappa o dei King Crimson, di Jimi Hendrix o dei Soft Machine.

Andiamo al cinema e la musica… è la stessa.  Dunque le arti travolte da un comune insolito destino, quello di ripensare a forme e modalità di produzione in un’era che è anche un passaggio antropologico dalle protesi del corpo a quelle della mente. Infine, questa è una guida alla fantascienza, lo statuto formale del libro, ma una guida insolita, cosicché la presentiamo in coda tanto per restare fuori dagli schemi. Gli autori propongono otto sentieri, capitoli tematici dedicati alla città, alle macchine pensanti/senzienti, semiumane/oltreumane, alla religione, al sesso, alla politica, alle forme di reclusione.

Qui gli scrittori di fantascienza prendono spesso direttamente la parola con estratti anche lunghi dai racconti o dai romazi citati. Qualcosa del genere, per la cronaca, tentò Sergio Gabutti nel suo Dizionario della fantascienza, pubblicato a puntate su Alter negli anni Ottanta. Che cosa cercano in buona sostanza Barbieri e Mancini? Spetta a loro dirlo: “Cerchiamo viottoli, non autostrade; ragionamenti a zig-zag; cristalli sognanti; penultime verità; metalli urlanti; visioni pericolose e ambigue utopie”.


 

     Recensione di g.f.