Cronache del tempo veloce (III) di Adolfo Fattori

 

Perché, intanto, da quando sono nati i giovani come categoria sociale, la musica – dei giovani – è stato il canale privilegiato dei loro linguaggi e dei loro bisogni.

Perché lo sviluppo delle tecnologie della riproduzione del suono ha accompagnato e nutrito sistematicamente questa predilezione – dalla radio, al mangiadischi, al mangianastri, al walkman, all’I-Pod. Fino alla possibilità di scaricare musica da Internet, abbattendo enormemente i costi del consumo di musica, e quindi modificando in maniera radicale la gestione del proprio, piccolo, reddito: metter da parte per comprare uno strumento, ad esempio per poter suonare in proprio con gli amici.

Perché – almeno dalla nascita del mangianastri, ci si è industriati per far circolare pezzi di musica, alla stregua di piccoli doni che non parlavano solo di sé, ma della relazione di scambio simbolico e di condivisione che implica l’ascoltare insieme, il proporre, il donare.

Perché la relazione con la musica – la musica degli adulti – cambia: non più, necessariamente, veicolo e simbolo della trasgressione e della ribellione al mondo adulto, ma tentativo di fondare una nuova memoria collettiva, sulla base di quelle sfere della cultura che sono più legate alla nostra storia affettiva e di formazione.

Mi occupo di linguaggi audiovisivi e della loro didattica, sono un appassionato della narrativa di massa, quindi potrei pensare anche a questi ambiti della produzione estetica. E sicuramente cinema e generi letterari costituiscono un possibile terreno comune, ma mi sembra che la musica riesca ad esserlo di più, probabilmente per la sua stessa natura di linguaggio universale, e per un’altra circostanza molto semplice: per goderne bastano le orecchie. E da quando esiste la radio, la musica ha fornito – praticamente sempre – di una colonna sonora la nostra vita. Uno sfondo immaginativo e emotivo onnipresente.[5]

Forse un nuovo terreno per sperimentare l’avventura della propria formazione, visto che anche questa dimensione, profondamente iscritta nella natura umana, e in larga parte mediata, vissuta per sentito dire – attraverso le avventure che vediamo nei film, o che leggiamo nei romanzi.

So bene di essermi concentrato solo su una parte dei problemi – e dei cittadini – di cui dovevo occuparmi. Rimane una domanda inevasa: In tempi in cui anche le nazioni in via di sviluppo sembrano rifiutare maggiori conoscenze[6] – maggiori connessione e accessoche fine fanno gli esclusi in questo contesto?

Obiezione legittima. Ma forse anche per loro valgono le stesse strade. E mi viene in mente una proposta: C’è un mezzo di comunicazione che usano tutti: il telefonino. Forse è questo il canale da usare per arrivare anche a loro.

Una boutade? Sicuramente. E allora faccio una proposta seria. In realtà, noi, gli esclusi, non li conosciamo. Ne abbiamo spesso un’immagine fantastica e approssimativa.

E allora dobbiamo tornare al tradizionale e oscuro lavoro di ricerca. Sulla scorta di La memoria consumata, che ho citato, e di ricerche come la Tra.Spre., condotta con finanziamenti regionali da Provincia di Napoli e Centro La Tenda onlus,[7] attualmente in via di completamento, attualizziamo le nostre conoscenze in termini di stili di vita, di consumo, aspettative, modelli dei giovani contemporanei, affluenti ed esclusi.



[5] Cfr. ad es., F. Adinolfi, Mondo exotica, Einaudi, Torino, 2000; J. Lanza, Elevator Music, University of Michigan Press, Ann Arbor, USA, 2004.

[6] Cfr. M. Panara, Chi prende parte all’economia della conoscenza, “La Repubblica Affari & Finanza”, 30/1/06, pag. 1.

[7] Su questa ricerca sarò lieto di fornire eventuali dettagli a chi ne farà richiesta.

 

 


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