MAPPE | QDAT 64 | 2016

di Marina Giordano

 

02Quest’intervista in esclusiva per Quaderni d’Altri Tempi ha come protagonista la storica dell’arte Lucienne Peiry, esperta e studiosa di Art Brut, quella corrente di arte spontanea, marginale, differente, selvaggia nata dalla definizione di Jean Dubuffet negli anni Quaranta del secolo scorso e oggi al centro di un’attenzione sempre crescente anche all’interno del cosiddetto “sistema dell’arte”. Lucienne Peiry ha diretto dal 2001 al 2011 la Collection de l’Art Brut di Losanna, affascinante museo fondato originariamente proprio per ospitare la collezione di opere raccolte da Dubuffet. Attualmente è curatrice indipendente, autrice ed è titolare di un insegnamento dedicato all’Art Brut presso la Facoltà di Scienze sociali e politiche dell’Università di Losanna. 
Abbiamo incontrato Lucienne Peiry in occasione della riedizione del suo celebre testo del 1997, Art Brut, ristampato da Flammarion in una versione ampliata e attualizzata, di cui in questo numero proponiamo anche un estratto. In questo dialogo l’autrice sintetizza le novità salienti del suo saggio, affronta delicate questioni di definizione e alcuni nodi concettuali ancora, o forse sempre più, aperti, relativi, ad esempio, all’identità dell’Art Brut oggi, ai suoi rapporti con il sistema dell’arte contemporanea e con la realtà degli atelier, al graduale riadattamento della visione “romantica” dell’indole selvaggia dell’Art Brut di Dubuffet, attuata dall’autore stesso e dagli studiosi che ne hanno raccolto l’eredità.

 


 

Il suo libro Art Brut, edito da Flammarion, esce quasi vent’anni dopo la sua prima edizione del 1997. Da dove nasce il bisogno di ritornare dopo tutti questi anni su quel testo, che costituisce ormai un indispensabile punto di riferimento sull’argomento per studiosi e appassionati? 

La proposta della casa editrice Flammarion di dare un seguito al mio studio sull’Art Brut, arricchendolo con la presentazione e l’analisi della produzione artistica del ventennio che lo separa dalla sua prima edizione, mi è subito apparsa sicuramente appassionante! Gli sviluppi di quest’arte alle soglie del Duemila ma soprattutto all’inizio del XXI secolo hanno visto il sorgere di aperture e cambiamenti decisivi. Inoltre, quel momento mi tocca personalmente poiché ho potuto partecipare direttamente alla storia dell’Art Brut, dirigendo la Collection di Losanna per dieci anni (2001-2011), prima di essere nominata direttrice della ricerca e delle relazioni internazionali del museo (2012-2014).

 

01. Giovanni Bosco, Senza titolo, realizzato tra il 2006 e il 2008, pennarello e vernice su cartone, 113 x 62 cm.
Foto: Olivier Laffely et Kevin Seisdedos, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne Collection de l’Art Brut, Losanna.
02. Giovanni Bosco, Senza titolo, realizzato tra il 2006 e il 2008, pennarello su carta, 60 x 49,5 cm.
Foto: Arnaud Conne, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne Collection de l’Art Brut, Losanna.
03. Giovanni Bosco, Senza titolo, pittura murale, Castellammare del Golfo (Sicilia), 2008.
Foto: Lucienne Peiry Archives de la Collection de l’Art Brut, Losanna.

 

Nella nuova edizione del libro ha inserito scoperte e autori emersi in questi anni? Quali sono le principali novità rispetto alla prima edizione?
L’Art Brut si è recentemente arricchita di nuovi creatori emersi in Europa, in Giappone, in Cina, a Bali, in Ghana, in India e in Brasile. Ho ritenuto importante dedicare ampio spazio a questi personaggi nella nuova edizione arricchita, ma ho scelto di mettere soprattutto in evidenza gli autori europei. Il lettore potrà scoprire alcuni dei più importanti creatori italiani, come Giovanni Bosco e Curzio di Giovanni e anche il disegnatore austriaco Josef Hofer e il russo Lobanov.
In quest’opera traccio nuovamente la storia dell’Art Brut legandola al percorso del suo iniziatore, Jean Dubuffet, ma racconto anche gli sviluppi dell’Art Brut stessa durante gli ultimi vent’anni, così come affronto le attuali problematiche che la riguardano. Le cinquecento opere riprodotte sono tratte essenzialmente dalla collezione di Dubuffet, ma anche da grandi collezioni internazionali come quella del museo LaM di Villeneuve d’Ascq, di abcd a Parigi, da quella dei due collezionisti portoghesi Treger e Saint Silvestre vicino Porto e da numerose collezioni poco conosciute che annoverano pezzi storici straordinari, per esempio a Torino e Albi. Ai miei occhi queste opere conservano intatto il loro potere di fascinazione e un forte senso di sovversiva libertà. 
Uno dei capitoli del mio libro è dedicato a un tema che giudico decisivo ma che è, purtroppo, ancora molto trascurato: il ruolo e l’impatto, per non dire l’influenza, dell’Art Brut presso gli artisti moderni e contemporanei, come per esempio Georg Baselitz, Annette Messager, Jean Tinguely, Niki de Saint Phalle, ma anche Hervé Di Rosa o Thomas Hirschorn. Ho discusso con molti di loro su quest’argomento e la loro testimonianza è particolarmente interessante. I creatori di Art Brut giocano un ruolo decisivo nel loro personale itinerario creativo.

 

Nella società di oggi è molto più difficile vivere in una dimensione isolata, nel momento in cui la televisione, internet, la pubblicità e altri strumenti di comunicazione di massa attuano un bombardamento costante di informazioni, mode, quasi conducendo la società di oggi verso un pensiero unico o quanto meno dominante. In questo scenario così cambiato e anche accelerato, come si colloca la creazione differente, generata, come lei stessa scrive, da “un incontro con l’Altro e l’Altrove radicale”? Il vivere appartati (fisicamente o almeno mentalmente), la verginità di mente e di cuore sono ancora condizioni indispensabili per definire le creazioni di un autore brut o no? È ancora valida l’immagine dubuffettiana dei creatori marginali come persone completamente avulse da ogni contesto sociale?
Jean Dubuffet aveva, in effetti, messo in evidenza in maniera chiara, nella prima fase delle sue ricerche e riflessioni, il concetto di verginità culturale, affermandone con forza il ruolo essenziale nella definizione di Art Brut. Ma egli stesso si è ricreduto e ha moderato le sue dichiarazioni già alla fine degli anni Cinquanta. A quell’epoca la concezione estetica dubuffettiana perde quel suo tipico manicheismo virulento: per la prima volta, l’autore ammette che l’Art Brut e l’“art culturel” non rappresentano necessariamente due entità separate. Da allora, ammettendo di “guardare all’Art Brut come a un polo”, Dubuffet sembra mitigare la sua iniziale intransigenza e moderare la definizione della sua idea. In uno stesso slancio, ammette altresì che la verginità culturale assoluta rappresenta un’utopia. Michel Thévoz andrà nella medesima direzione e io ho fatto mio questo punto di vista. Il semplice fatto di imparare a parlare implica un apprendimento e un’integrazione delle regole, delle norme, delle abitudini culturali. 
Una delle mostre da me curate, Art Brut fribourgeois, si interrogava proprio sul concetto di ispirazione: alcune opere di Art Brut erano affiancate da pezzi di arte popolare e religiosa, allo scopo di invitare il pubblico a trovare eventuali filiazioni. Appare evidente che gli autori di Art Brut non sono vergini, indenni da una qualunque forma di influenza culturale. Il loro campo d’azione e la loro attitudine derivano sicuramente da un “cattivo uso (mésusage)” (per riprendere un concetto di Michel Thévoz) della cultura, intesa nel senso più ampio del termine, che essi portano dentro di loro. Ciò si esplicita attraverso strane forme di mescolamenti e sincretismi, spesso deliranti e spiazzanti, che danno prova di una libertà d’invenzione e di una selvatichezza senza freni.

 

04. Curzio Di Giovanni, Rittratto del Dottor Riri, 2005, pastello a cera su cartoncino Bristol, 34 x 24 cm.
Foto: Olivier Laffely, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne Collection de l’Art Brut, Losanna.
05. Helga Sophia Goetze, Dee, realizzato tra il 1993 e il 1994, ricamo, 180 x 175 cm.
Foto: Claude Bornand, Collection de l’Art Brut, Losanna.

 

Anche le strutture di sostegno e cura di persone con handicap mentali si sono evolute in questi anni, che hanno visto il rapido sorgere di programmi di arte-terapia, di atelier, di centri di assistenza alla creatività. Come ha inciso tutto questo nella fisionomia dell’Art Brut di oggi?
A parte qualche eccezione, l’ospedale psichiatrico non rappresenta più, dagli anni Sessanta, quel vivaio che era stato per le ricerche iniziali di Dubuffet. Quelli che il teorico dell’Art Brut considerava come “i campioni del non allineamento, i vessilliferi del pensiero personale e non condizionato, i grandi fautori della ricchezza dell’immaginazione e i grandi oppositori di ogni dato inculcato” (Dubuffet, 1967, ndr) non esistono quasi più. La sistemazione di uno spazio, la messa a disposizione di materiali e soprattutto l’invito a esprimersi danno frequentemente luogo a un’arte inquadrata, organizzata, opposta alle manifestazioni solitarie e selvagge dell’Art Brut. Restano dei luoghi d’eccezione tuttavia, e le opere di alcuni creatori ne forniscono una prova sferzante. 
I nuovi autori che suscitano oggi grande interesse non sono più tanto come prima schizofrenici, paranoici o psicotici. Sono spesso persone afflitte da deficit o deformazioni cerebrali (o neurologiche) e le cui alterazioni della psiche li portano a creare in modo particolarmente fuori dalle regole. L’autismo e la trisomia, per esempio, li conducono verso espressioni sorprendenti. Il celebre neurologo newyorkese Oliver Sacks rileva che “Difetti, disturbi e malattie possono, in questo senso, avere un ruolo di paradosso, portando alla luce risorse, sviluppi, evoluzioni e forme di vita latenti che, in loro assenza, potrebbero non essere mai osservati e nemmeno immaginati” (Sacks, 2014, ndr). La mancanza di determinate capacità intellettuali e psichiche favorisce, infatti, il sorgere di potenzialità inedite e il maturare di pulsioni espressive fuori dal comune. 
Molti elaborano modalità di rappresentazione originali e procedimenti tecnici insoliti, affrontando percorsi inesplorati.
Il ritardo mentale, la mancanza di determinate capacità, la sordità, il mutismo, ad esempio nei celebri casi di Judith Scott, Josef Hofer o Curzio di Giovanni, fanno scaturire evidenti benefici secondari e li portano a volgersi verso prospettive nuove, dal punto di vista artistico ovviamente. Certe infermità hanno in sè dei valori euristici. A questo proposito, l’affermazione del poeta Henri Michaux è particolarmente efficace: “Sono i turbamenti dello spirito, le sue disfunzioni che mi saranno da insegnamento. Più che il troppo eccellente saper pensare dei metafisici, sono le demenze, i ritardi mentali, i deliri, le estasi e le agonie, il non saper più pensare, che veramente sono chiamati a farci scoprire noi stessi” (Michaux, 1966, ndr).

 

Cosa pensa delle sempre più frequenti aperture del mondo dell’arte contemporanea e del suo sistema (mostre, musei, collezioni, gallerie, riviste) nei confronti dell’Art Brut? È reale il rischio che il fenomeno si trasformi in una moda per certi versi svuotata del tutto o parzialmente di senso?
Effettivamente, l’Art Brut dai primi anni Duemila e soprattutto dai primi anni di questo decennio s’impone sempre di più negli ambienti della cultura. Ho potuto costatare che sono state organizzate tre tipologie di mostre. I grandi musei di importanti città europee come Parigi, Madrid, Londra, Venezia, Mosca, organizzano eventi interamente consacrati ai creatori di Art Brut, altri adottano la nuova tendenza del crossover, riunendo opere d’Art Brut e d’arte contemporanea; alcuni casi fanno appello alla trasversalità, mettendo insieme opere appartenenti a modalità espressive differenti. Molti di questi eventi fanno epoca, attirando l’attenzione di un pubblico sempre più numeroso. 
Ai miei occhi è essenziale distinguere la valorizzazione delle creazioni marginali e la loro assimilazione all’arte professionale e ufficiale. Come non rallegrarsi del legittimo riconoscimento, stranamente tardivo, delle opere di Darger, Ramirez, Wölfli, Carlo o di Madge Gill nelle esposizioni che sono state loro dedicate da importanti musei europei? Molti curatori, conservatori di musei, intellettuali e amatori attribuiscono infine dei valori a quest’arte, rimasta per così tanto tempo nell’isolamento e quasi nell’infamia, bocciata e declassata, rivendicando anche le ricchezze che essa nasconde. Ma perché voler chiudere gli occhi sulle caratteristiche proprie di queste produzioni, a cominciare da quelle che imprimono all’opera stessa differenze essenziali: la mancanza di bisogno di riconoscimento e di approvazione tipica della maggior parte di questi autori, così come l’assenza di un destinatario o il coincidere di quest’ultimo con un’entità onirica o spirituale? Questi due paradigmi hanno per forza un’incidenza sul processo della creazione e sulla natura stessa delle opere di creatori come Ni Tanjung, Curzio di Giovanni, Fernando Nannetti, Filippo Bentivegna o Alexander Lobanov. Basta frequentare gli autori di Art Brut, trascorrere del tempo con loro, concentrarsi sul loro percorso, sull’itinerario del loro pensiero, esaminare e studiare le loro opere per arrendersi all’evidenza della loro diversità.
Le specificità dell’Art Brut non ostacolano in nulla l’organizzazione di mostre mescolate, che includano questo tipo di produzione accanto a opere d’arte contemporanea o ad altri tipi di espressione, a condizione di realizzarle mettendole in una prospettiva corretta, comunicando al pubblico informazioni sulla natura di queste opere, sulle condizioni in cui sono nate e sulle sfide che aprono. Esse possono allora aprire altre prospettive e permettere approcci diversi e fecondi all’Art Brut e ad altre forme di creatività.

 

Hai un autore del cuore? Qualcuno la cui opera continua a folgorarti come il primo giorno?
A dire il vero…: Podestà, Walla, Zharkikh, Oko, Guo Fengyi, Bosco, Wittlich, Lesage, Schulthess, Bentivegna, Soutter, Jakic, Müller, Abrignani, Charles Jauffret, Gabritschevsky…  ma anche Forestier, Laure Pigeon, Nedjar, Zemankova, Aloïse, Tripier, Mesmer, Nannetti, Python, Daiber, Greaves, Schwartzlin-Berberat, Carlo, Messou, Sawada, Judith Scott, Darger, l’Abbé Fouéré, Fusco, Santoro, Ramirez, Steffen, Hauser, Ratier, Widener. 
E ho dimenticato Bill Traylor, van Genk, Wölfli, Pujolle, Gordon, Agnès Richter, Loubressanes, End, Scottie Wilson, Antonio Roseno de Lima, Teuscher, Tichy, Kosec, Gœtze, e poi gli anonimi… e quelli che stanno per essere scoperti.

 

06. Josef Hofer, Senza titolo, 2005, matita e pastelli colorati su carta, 30 x 42 cm.
Foto: Amélie Blanc, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne, Collection de l’Art Brut, Losanna .
07. Josef Hofer, Senza titolo, 2009, matita e pastelli colorati su carta, 42 x 29,8 cm.
Foto: Kevin Seisdedos, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne, Collection de l’Art Brut, Losanna.

 

 

08. Aleksander Lobanov, Senza titolo, s.d., inchiostro e acquerello su carta, 42,2 x 30 cm.
Foto: Amélie Blanc, Atelier de numérisation - Ville de Lausanne, Collection INYE, Iaroslavl.
09. Aleksander Lobanov, Senza titolo, realizzato tra il 1960 e il 2003, penna a sfera, pastelli colorati, acquerello e pennarello su carta, 29,7 x 21 cm.
Foto: Amélie Blanc, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne, Collection de l’Art Brut, Losanna
10. Antonio Roseno de Lima, Bebado, s.d. , vernice sintetica su truciolato, montaggio su struttura in legno, 49 x 39,5 x 2,4 cm.
Foto: Arnaud Conne, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne Collection de l’Art Brut, Losanna.
Si tratta dell’immagine prescelta per la copertina della nuova edizione di L’Art Brut di Lucienne Peiry, edizioni Flammarion, Parigi.

 


Lucienne Peiry esprime la sua profonda gratitudine a Eva di Stefano, Marina Giordano, Erika Manoni e Pier Nello Manoni per il loro prezioso contributo in questo lavoro e inoltre ringrazia Sarah Lombardi per aver autorizzato la pubblicazione gratuita delle immagini ed è anche molto grata a Gennaro Fucile, all'origine del progetto consacrato all'Art Brut.

 

LETTURE

 

— Bruno Decharme, Barbara Safarova, Art Brut. Collection abcd, Flammarion, Parigi, 2014.
— Eva di Stefano, Irregolari, Art Brut, Outsider Art in Sicilia, Kalòs, Palermo, 2008.
— Jean Dubuffet, Place à l’incivisme, in Prospectus et tous écrits suivants, Tome I, Gallimard, Parigi, 1967.
— Savine Faupin (a cura di), L’Autre de l’art. Art involontaire, art intentionnel en Europe, 1850-1974 Villeneuve-d’Ascq, LaM, 2014.
— Henri Michaux, Les Grandes épreuves de l'esprit, Gallimard, Parigi, 1966.
— Oliver Sacks, Un antropologo su Marte, Adelphi, Milano, 2014.
— Michel Thévoz, L'Art Brut, Skira, Ginevra, 1975, reed. 1980, 1995, nuova edizione 2016.