MAPPE | QDAT 64 | 2016

L'Art Brut si è recentemente arricchita di nuovi creatori in Europa, in Giappone, in Cina, in Ghana, in Brasile. Lucienne Peiry, all'origine di numerose scoperte, dà grande spazio a questi nuovi creatori nella nuova edizione della sua opera di riferimento, rigorosamente documentata: L’Art Brut, edito da Flammarion (Parigi, 2016). La studiosa ripercorre nel suo lavoro la storia dell'Art Brut in relazione alla vicenda del suo iniziatore, Jean Dubuffet, e ricostruisce lo sviluppo dell'Art Brut durante gli ultimi venti anni, così come delinea le sfide attualmente in corso. Le cinquecento opere riprodotte, tratte essenzialmente dalla collezione di Jean Dubuffet ma anche da grandi collezioni internazionali, conservano intatto il loro potere di fascinazione e la loro libertà sovversiva – che hanno ispirato molti artisti contemporanei come Georg Baselitz, Annette Messager, Jean Tinguely, Niki de Saint Phalle, Hervé Di Rosa o Thomas Hirschorn.
Dalla nuova edizione del libro di Lucienne Peiry (400 pp., 500 illustrazioni), pubblichiamo qui di seguito un estratto, prescelto dall’autrice stessa, che l’editore Flammarion ci ha autorizzato a pubblicare in italiano nella traduzione di Eva di Stefano. Il testo che segue è un estratto dal capitolo 6 (del quale conserviamo il titolo originale), più precisamente le pagine 252-261. In queste pagine l’autrice pone in risalto l’evolversi del dibattito intorno all’Art Brut, la moltiplicazione dei punti di vista dell’analisi e le iniziative tese a estenderne la conoscenza a un pubblico più ampio.

 

cover
La copertina dell’edizione riveduta
e ampliata del volume L’Art Brut
di Lucienne Peiry, pubblicato dall’editore Flammarion, Parigi
www.notesartbrut.ch/.
In copertina: Bebado
di Antonio Roseno de Lima.

di Lucienne Peiry (traduzione di Eva di Stefano)

 


Il concetto di Art Brut in discussione


Essendo la Collection de l’Art Brut progettata come una piattaforma di studi e scambi, ne consegue che riflessioni e interrogazioni sono al centro di alcune delle mostre che organizza. Alcune tra queste presentano le opere come elementi di un dossier aperto sotto gli occhi dei visitatori, senza indicare risposte preliminari. Le tematiche affrontate stimolano il dibattito.
Nel 2005, Jean Dubuffet et l’Art Brut, mostra concepita in collaborazione con Jean-Hubert Martin, si interroga sulle relazioni tra le opere di Dubuffet e quelle dei creatori di Art Brut da lui collezionate e tanto ammirate. Parentela o influenza? Ispirazione o plagio? Un tema controverso che viene affrontato per la prima volta in una esposizione1. In seguito, L’Art Brut fribourgeois (2009) mette in questione la nozione di "verginità" culturale degli autori, che, secondo Dubuffet, sarebbero indenni da influenze. Questo allestimento ha proposto un dialogo visivo tra oggetti di arte popolare o religiosa e opere di Art Brut: così i reliquari tradizionali – medaglioni con capelli, urne con figure giacenti, immagini della transumanza2 – stavano a fianco dei collages di Marc Moret e delle pitture di Gaston Savoy. Il confronto invitava a esaminare e discutere le eventuali filiazioni che si potrebbero leggere in filigrana nei soggetti iconografici, nei procedimenti di creazione e nelle tecniche di queste differenti tipologie di espressione. Nel 2008, grazie a Kengo Kitaoka e in seguito a ricerche condotte in diverse regioni del Giappone, una mostra ha riunito nel museo di Losanna dodici creatori giapponesi, aprendo il dibattito sulla nozione di una Art Brut giapponese.

Il concetto di Art Brut, a quasi settant’anni dalla sua formulazione, viene studiato e rivalutato.

La diversità delle origini delle nuove scoperte mette in luce l’universalità del concetto. D’altronde, l’affrancamento culturale non è più considerato così rigidamente come all’epoca di Dubuffet – il quale del resto, rendendosi conto del proprio utopismo, aveva moderato la propria intransigenza iniziale3. Il processo e l’attitudine degli autori d’Art Brut derivano molto più da un uso improprio della cultura – intesa nel senso largo del termine – che hanno dentro. Ciò si traduce in un meticciato e sincretismo bizzarri, molto spesso deliranti e sconcertanti, che attestano una libertà di invenzione e una selvaticheria a briglie sciolte.

 

01. Marc Moret, L’œuvre à maman, realizzato tra il 1998 e il 2001, montaggio di colla, vetro filato e materiali diversi, 31 x 75 x 85 cm.
Archives de la Collection de l’Art Brut, Losanna. Foto: Arnaud Conne, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne, Collezione privata, Svizzera.
02. Rosa Zharkikh, The Chameleon, 2006, ricamo di cotone su tessuto sintetico, 30,5 x 35 cm.
Foto: Amélie Blanc, Atelier de numèrisation – Ville de Lausanne, Collection de l’Art Brut, Losanna.

 


Fecondità del vuoto e dell’aldilà


D’altra parte, altri principi propri alla nozione di Art Brut restano, a mio parere, fondamentali e si vanno precisando attraverso mostre, studi e pubblicazioni. 

Isolamento e silenzio formano l’ascissa e l’ordinata dell’esistenza della grande maggioranza degli autori di Art Brut. Se queste due situazioni sono vissute concretamente, nel caso di questi creatori fuori dalle norme vanno considerate anche e soprattutto in senso figurato, acquistando perfino un valore filosofico. L’esilio sottomette quotidianamente Zharkikh, Nannetti, Obata e Lobanov all’esperienza dell’esclusione e del vuoto. Paradossalmente questa situazione si rivela non solo propizia, ma anche indispensabile alla concezione della loro produzione e alla concentrazione necessaria alla sua realizzazione. Questo profondo isolamento proprio agli autori di Art Brut – questo scarto – può essere interpretato per la maggior parte di loro come causa e conseguenza dell’atto stesso della creazione. Il loro antro è uno spazio privilegiato, riservato o sacro. Si tratta infatti di una eterotopia, nel senso che le ha dato Michel Foucault: un luogo affrancato dal tempo, in conflitto con la società, che ospita l’immaginario, l’illusione e l’utopia. Rifugio prezioso, spazio intimo. I fini ricami di Rosa Zharkikh, fatti di fili trovati qua e là, o la costruzione di Francesco Toris, realizzata con ossa di bovino intagliate, cesellate e assemblate, prendono corpo. Come talismani protettori ad alto valore simbolico, queste produzioni diventano opere della sopravvivenza. Il modo in cui tutti loro si scollano dalla realtà, si assentano dalla comunità o ne vengono sottratti è inquietante. L’eccesso e il disordine che raggiungono con le loro stravaganze e utopie, "il pensiero selvaggio" che li anima, donano loro una vitalità inaudita. 

L’osservazione di Claude Lévi-Strauss può essere applicata a numerosi creatori d’Art Brut: "Uno dei grandi malesseri della nostra società consiste nell’avere separato totalmente l’ordine del razionale e l’ordine del poetico, mentre in tutte le civiltà dette primitive […] si tratta di due ordini strettamente uniti4". Molti di loro hanno conservato questa alleanza originaria per fare coabitare con naturalezza questi due ordini. Nella loro vita quotidiana, la poesia si declina in forme multiple.

Alcuni coltivano legami con la natura e il cosmo, come Gustav Mesmer che tenta di lanciarsi in cielo con le sue macchine volanti – biciclette dotate di grandi ali e dispositivi mobili che chiama doppia–bicicletta-aquilone, bicicletta volante-a vela-aquilone, bicicletta-a dondolo-aquilone coperto, aquilone–navicella spaziale5. Altri si dichiarano accompagnati da potenze celesti o astrali, guidati da un dio, da spiriti, da defunti o da voci. Nek Chand, Ataa Oko, o anche Anarqaq, unico autore inuit di Art Brut attualmente conosciuto, sono in relazione con l’aldilà, procedono nelle loro produzioni a fianco di entità spirituali come i creatori medianici. Essi accettano questo ascendente attribuendo agli spiriti la paternità delle loro opere – almeno parzialmente. Chand e Oko attribuiscono la loro stessa capacità creativa a un dono divino; in questo senso sono a mille miglia dall’artista occidentale che si percepisce spesso come un individuo eccezionale che padroneggia e dirige la propria opera. Loro si considerano come dei vettori, attraverso i quali passano le energie e la volontà di Dio e degli spiriti. Ni Tanjung è in comunicazione con i suoi antenati grazie alla propria opera, così come Marc Moret per mezzo dei suoi altorilievi dedicati principalmente ai nonni e alla madre. Alcuni evocano relazioni con lo spazio interstellare, o con le viscere della terra, e avvertono una presenza cosmica che guida il loro lavoro. 

"Sensibili a ogni sorta di attrazioni contro le quali i nostri condizionamenti ci inibiscono e ci immunizzano6", questi esseri marginali hanno il privilegio di avere salvaguardato alcune attitudini che noi abbiamo perduto. Lo stato esploratorio dove la ragione si allenta ed essi si staccano dalla realtà, facendo spazio alla vuotezza, sollecita ed esacerba la loro percezione e la loro immaginazione. 

Gli autori del margine e dell’ombra riattivano alcuni principi arcaici della pulsione creatrice. Tutte le proprietà e le virtù originali dell’arte – terapeutica, mitica, religiosa, magica, propiziatoria, protettrice – sono pienamente all’opera. E conferiscono un carattere sacro al processo creativo e alle produzioni che ne derivano. Pitture, sculture, disegni, scritti acquistano una risonanza spirituale, filosofica, metafisica. 

Questo approccio all’Art Brut dove un posto importante viene accordato alla parte spirituale delle opere – studiato e investigato in esposizioni come L’Art Brut fribourgeois (2009) e L’Art Brut dans le monde (2014) – è radicalmente nuovo. Dichiaratamente materialista, perfino nichilista, il primo conservatore del museo, Michel Thévoz, non ha mai collocato le opere di Art Brut in questa prospettiva: "[…] tra mitologia, religione, razionalismo scientifico, mitologia individuale etc., è ancora la capacità di relativizzarle che mi interessa di più, «lo sguardo da lontano» di Lévi-Strauss, precisamente7".

 

03. Gustav Mesmer. Ph: Stefan Hartmaier, Collezione Gustav Mesmer, 1989.
04. Francesco Toris, Nuovo Mondo, scultura in osso, inizio XX secolo. Foto: Paolo Giagheddu.

 


Incremento delle pubblicazioni 


Le monografie continuano a mantenere un ruolo fondamentale nella storia dell’Art Brut. Il numero delle pubblicazioni cresce considerevolmente, così come quello dei redattori che vi collaborano. Ventidue opere – cataloghi di mostre, fascicoli, opuscoli – sono state pubblicate in dieci anni, dando la parola a cinquantatre autori, provenienti da orizzonti disciplinari multipli8. Gli amici e le persone vicine ai creatori vengono sollecitati, come già faceva Dubuffet all’epoca della Compagnia. Sono invitati a collaborare anche storici dell’arte, psichiatri, psicoanalisti, seguendo la consuetudine editoriale di Thévoz. Molti altri si aggregano – sociologi, linguisti, esperti di etica, teologi, etnologi, neuroscienziati –, apportando una diversità di punti di vista. L’interdisciplinarietà viene privilegiata presso la Collection de l’Art Brut dall’inizio degli anni 2000.

L’autore di un articolo su un creatore di Art Brut, che l’abbia conosciuto e frequentato, riunisce nel testo i dati relativi alla sua personalità e alla sua pratica, secondo il principio di non-omissione caro a Dubuffet, anche se alcuni aspetti o dettagli possono sembrare a prima vista secondari, perfino trascurabili. Il lettore scopre così, insieme alle opere, il creatore Raphaël Lonné, "affascinante, affabile, innamorato delle parole […] che emanava ingenuità e innocenza9", o ancora Ataa Oko, "prolifico, [che] disegna imperturbabile, […] con la mano con tre dita tagliate, [che] non si lascia distrarre [e] appena ha finito un disegno ne comincia un altro, poi un altro ancora10". Come al tempo di Dubuffet e di Thévoz, i testi pubblicati costituiscono le prime monografie su autori marginali come per esempio Ezekiel Messou, Marc Moret, Helga Goetze, Rosa Zharkikh. Inoltre, le informazioni di prima mano vengono tutte raccolte per costituire le fonti in previsione di ricerche e studi ulteriori.

A questo tipo di testimonianze personali, gli studi aggiungono la lettura delle opere, a volte anche nel senso proprio del termine, come la decifrazione degli scritti di Nannetti, della lettera di Ottalo o di quelle di Python. E apportano anche interpretazioni di tipo etnologico e psicoanalitico su produzioni scoperte recentemente, come quelle di Anarqaq, Toris et Blackstock. I sociologi Paul Beaud e Francesco Panese, l’antropologo Ilario Rossi, la psicoanalista e medico Lise Maurer o l’esperto di etica Denis Müller contestualizzano le produzioni, tessendo dei legami e arricchendo le analisi che diventano plurali, conferendo una sempre maggiore ampiezza alle creazioni di Art Brut. 

La pubblicazione che dà luogo alle ricerche più vaste concerne Fernando Nannetti. All’interno, un leporello di più di sette metri di lunghezza presenta in maniera panoramica e in extenso l’opera di Nannetti, fotografata da Pier Nello Manoni. La totalità degli scritti, decifrati, trascritti e tradotti in due lingue, dà accesso all’opera di questo autore italiano – elementi della sua vita quotidiana, enunciati biografici, racconti di guerra e descrizioni fantastiche. Immagini dell’ospedale psichiatrico, del cortile e delle facciate – supporto della creazione – si sgranano nel corso delle pagine; un film documentario in dvd allegato propone inoltre più chiavi di lettura. Una pluralità di autori, tra cui lo scrittore Antonio Tabucchi e l’antropologa medica Anne M. Lovell, fa rilevare la polisemia di questa produzione scritturale. Lo specialista di Art Brut e Outsider Art John M. MacGregor considera questa pubblicazione come "un lavoro stupefacente di archeologia e conservazione di un’opera che è in via di sparizione11".

In altri cataloghi di mostre, come Art Brut du Japon che raccoglie dodici creatori, alcuni sguardi incrociati ampliano l’approccio alle opere nipponiche. L’angolazione adottata dallo storico dell’arte e specialista Tadashi Hattori si distingue da quella di Kengo Kitaoka, che privilegia la prospettiva sociale, differenziandosi ambedue dalla mia visione occidentale. Così, l’opera di Art Brut diviene multiculturale. 

L’Art Brut interessa sempre più gli ambienti accademici e scolastici; il museo risponde a una domanda crescente. Tesi di laurea e master vengono realizzati in numerose università e istituzioni di Europa, degli Stati Uniti e dell’America del Sud. Alcuni studi basati su ricerche in situ o su soggetti ancora non affrontati vengono pubblicati nel quadro del programma editoriale del museo – come quello di Léonore Lidy su George Widener o quello di Vincent Capt su Samuel Daiber. 

La celebre collana L’Art Brut, iniziata da Jean Dubuffet nel 1964 e arricchita da Michel Thévoz, viene fedelmente proseguita. Per assicurare una diversificazione editoriale alla Collection de l’Art Brut, una nuova collana di tascabili viene lanciata nel 2012 Contre-courant, destinata a raccogliere saggi accademici di autori provenienti da ambiti differenti, come storia dell’arte, linguistica, neuroscienze. La coedizione con editori svizzeri e francesi viene ormai privilegiata per assicurare una collaborazione e un’ampia diffusione dei libri.

 

05. Ataa Oko, Senza titolo, 2008, matita e pastelli colorati su carta, 29,7 x 42 cm.
Foto: Amélie Blanc, Atelier de numérisation – Ville de Lausanne, Collection de l’Art Brut, Losanna.
06. Masao Obata, Senza titolo, realizzato tra il 1990 e il 2007, matita e pastelli colorati su cartone, 47,5 x 56,4 cm.
Foto: Onishi Nobuo, Collection de l’Art Brut, Losanna.
07. Nek Chand, Personaggio, ferro per calcestruzzo, cemento, frammenti di ceramica.
Foto: Lucienne Peiry, Archives de la Collection de l’Art Brut, Losanna, Rock Garden, Chandigarh.

 


 

note

 

1.  Inizialmente presentata a Düsseldorf (2005), la mostra è stata in seguito esposta a Losanna (2005), poi a Villeneuve d’Ascq (2005-2006).
2. Sono chiamate poyas: grandi pitture popolari tradizionali che rappresentano la partenza delle mandrie per la montagna.
3. Vedi "Guardare all’Art Brut come un polo", capitolo 3.
4. Da una intervista a Claude Lévi-Strauss realizzata da Jacques Chancel, trasmissione Radioscopie, France Inter, 1988.
5. Doppel Drachen Flugrad, Luftstrom Drachen Flugrad, Luftschaukel Drachen Deck Flugfahrad, Drachen-Raum.
6. Michel Thévoz, e-mail all’autrice, 23 aprile 2003.
7. Michel Thévoz, e-mail all’autrice, 26 gennaio 2016.
8. Tra i redattori, oltre le conservatrici e alcuni collaboratori scientifici del museo, anche incaricati esterni all’istituzione.
9. Laurent Danchin, Raphaël Lonné : souvenirs d’un tournage, in L’Art spirite, Losanna, Collection de l’Art Brut, 2005, p. 37.
10. Philippe Lespinasse, De l’au-delà à ici. Ataa Oko Addo, artiste eschatologique, in Ataa Oko, Losanna,
Collection de l’Art Brut, Gollion, Infolio, p. 35-36.
11. Lettera di John M. MacGregor a Lucienne Peiry, 20 luglio 2011 (Losanna, archivi della Collection de l’Art Brut).