La tartaruga più veloce della luce

 

di Gennaro Fucile

 

Siamo sempre in ritardo nei confronti di Nanof. Siamo perennemente costretti ad inseguirlo. Superuomini zeppi/zippati d’informazioni, novelli Achille beffati da un’ineffabile tartaruga. Sembrerebbe che il graffito* forse possieda le stesse doti magiche del Manuale delle giovani marmotte che Qui, Quo, Qua consultano regolarmente, nei più diversi frangenti, cercando risposte ai quesiti più disparati. Verifichiamo. Vogliamo intenderlo come una raccolta di saperi esoterici (alchimia, telepatia)? È possibile.

Scegliamo una interpretazione borgesiana del testo, ed ecco di fronte a noi una mappa che ricopre fisicamente il territorio dell'impero. Oppure attribuiamo senza sforzo lo stesso ruolo e le medesime motivazioni esistenziali della principessa Scheherazade, costretta ad inventare per Mille e una notte una storia, pena la morte. È un diario, un saggio, una scultura, un poema, un fumetto. Da qualche parte è scritto che l'architettura è musica congelata, allora forse è lecito pensare al graffito anche come a uno spartito. In questo manuale senza qualità, regno del puro possibile, ogni lettura si disfa la mattina dopo come la tela di Penelope. Decidiamo di leggerlo come uno zibaldone del repertorio della fantascienza? Proviamo.

Science fiction’s graffiti
Il signor Nanof è un alieno: veste i panni del folle, il diverso che nel nostro secolo -disciplinato dalla scienza e dalle tecniche applicate alla malattia mentale - ha trasmigrato nello spazio. Non subito e mai del tutto, però; nelle fanzine degli anni Venti l'alieno è l'oscuro che dalle storie di Weird Tales (leggi H.P. Lovecraft o C. Ashton Smith) ci ricorda con frequenti incursioni e logica lapalissiana che i fantasmi (della mente), per "condizione naturale", non muoiono mai. Un'ondata di terrore che solo i gadget della produzione industriale di massa sono in grado di arginare. Abbattuto King Kong, la strada per lo spazio è spianata. Nasce una nuova razza, uomini dello spazio, navigatori celesti: "io sono un ingegnere astronautico minerario" dichiara il signor Nanof, presumibilmente membro di qualche spedizione scientifica su oscuri e freddi asteroidi, dove estrarre elementi preziosi per i grandi reattori nucleari dei vascelli spaziali che navigano tra le galassie. La grande fantascienza delle epopee spaziali, quella raccontata a partire dagli anni Trenta, presidiata dall'artiglieria astrale , che raggiungerà il suo massimo splendore nel decennio successivo - nelle storie di Isaac Asimov e Robert Heinlein soprattutto - abbonda di simili personaggi e di roboanti armamenti che Nanof si guarda bene di escludere dal suo testo (dell'arsenale sono da ricordare almeno il fulminatore microscopico  e il  telequadrante a scariche cosmiche).

Mutanti e telepati del giorno dopo
Il signor Nanof, però, è qualcosa di più che un alieno, ha un suo specifico campo d'azione (letterario): è un telepate, una di quelle grandi solitarie figure che la fantascienza del dopoguerra ci ha regalato, disegnando innumerevoli day after e i miserabili sopravvissuti sui quali le radiazioni operano uno spietato scempio. Il trionfo della natura impazzita, che si ricombina in forme imprevedibili, prefigurando un'evoluzione imprevista del genere umano. Alcuni di questi esseri evoluti sono i telepati.

 

 

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