Il Remake ha un effetto speciale nel film di fantascienza: abolisce il futuro

 

di Roberto Paura



Prima o poi tutti i registi, grandi e non, si confrontano con un classico d’altri tempi, una sorta di sfida alle loro capacità artistiche. Il fenomeno del remake non è una novità ma è di recente assurto a moda: che sia dovuto a un legittimo desiderio di far appassionare i giovani spettatori ai vecchi film o che la ragione vada piuttosto ricercata in un fisiologico calo di idee, fatto sta che come tutte le mode anche i remake sono diventati un puro meccanismo commerciale per fare molti soldi in breve tempo senza tirare fuori dal cilindro una nuova idea ma sfruttando qualcosa di già ben collaudato. La fantascienza non sfugge affatto a questo fenomeno e anzi sembra essere il campo più fertile. La cosa parrebbe a prima vista una contraddizione: la fantascienza, per definizione, non invecchia perché non è legata a situazioni contingenti ma descrive il futuro o almeno una realtà che si discosta da quella in cui viviamo. Tuttavia ciò non è del tutto vero, basti pensare a un romanzo come L’invasione degli ultracorpi di Finney o a un film come Ultimatum alla Terra di Wise per rendersi conto che la contemporaneità influenza non poco la fantascienza, come tutta la letteratura e la cinematografia in generale. Può essere quindi una buona idea tentare di “aggiornare” un film di fantascienza per permetterne una rilettura alla luce di eventi odierni o uno spostamento interpretativo in favore di un nuovo aspetto che oggi appare maggiormente centrale, o più semplicemente per rinnovare le acconciature anni 60 dei protagonisti e i risibili effetti speciali e adeguarli a gusti più moderni.

Eppure, tutti coloro che hanno potuto vedere nei cinema il risultato di un simile esperimento si ritroveranno concordi nell’esprimere quella che è apparentemente una banalità ma che come tutte le banalità è certamente vera: il remake non ha il fascino del film originale, è una sua pallida imitazione quando non trascende nel tradimento del suo senso originario per prestarsi a una mera operazione commerciale. La ragione potrebbe risiedere, per molti nostalgici, nell’altrettanta banale verità che “non ci sono più i bei film di una volta”; sarà però il caso di andare oltre i luoghi comuni e ragionare sul fenomeno.

Un caso emblematico può essere quello di The Time Machine (2002), rifacimento del classico letterario di H.G. Wells e di un piccolo gioiello del cinema di fantascienza dei primi anni 60 che in Italia uscì col titolo L’uomo che visse nel futuro. Quest’ultimo, diretto da George Pal, riprendeva il romanzo di Wells e riusciva a trasporlo quasi alla perfezione, aggiornandolo con una bella digressione nel breve futuro quando il protagonista, George (interpretato da Rod Taylor), scienziato dell’Inghilterra tardo-vittoriana, si ritrova a vivere la Prima, la Seconda e infine anche la Terza guerra mondiale assistendo alla distruzione di Londra tramite armi atomiche. Nel romanzo wellsiano la critica, pungente e dissacrante, verso la società del suo tempo, va interpretata alla luce degli sconvolgimenti dell’epoca: Eloi e Morloch rappresentavano la proiezione nel lontano futuro della divisione societaria in classi, che però al di là delle apparenze risultava poi rovesciata, con i padroni immersi nell’ozio ma vittime dei loro servi lavoratori che prima li rimpinzano e poi li divorano. Nel film di Pal la divisione dell’umanità è frutto della guerra termonucleare, ma il senso di fondo è lo stesso: l’uomo ha perso la propria anima ingegnosa, buttando al vento millenni di evoluzione culturale e tornando allo stadio bestiale a causa della sua volontà di potenza.

Nel remake realizzato da Simon Wells, discendente dello scrittore inglese, tutto si sposta sul piano personale: il protagonista, lo scienziato americano Alexander (la Londra del romanzo si trasforma in una New York che sembra anticipare i deliri steampunk de La leggenda degli uomini straordinari) crea una macchina del tempo per salvare dalla morte la fidanzata uccisa da un banale ladruncolo ma, giunto nel passato, scopre che gli eventi non possono essere modificati e decide di recarsi nel futuro per scoprire il perché, certo che la scienza si sarà evoluta al punto da dargli una risposta. Anche qui il viaggio nel prossimo futuro segue le mode del momento: non c’è più una guerra termonucleare ma una Luna che si disintegra e nei musei del XXI secolo ci sono guide olografiche che ci assistono nel percorso.


 

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