Ferdinand Cheval, maratoneta dell’immaginario di Giorgio Bedonii

 


Cheval divenne noto negli ambienti surrealisti e Hauterives la meta per diversi artisti delle avanguardie.

Roland Penrose racconta che, per lungo tempo, il Postino venne considerato un maestro indiscusso: della scultura medianica, come scrisse Andrè Breton, dopo la visita del 1931, su indicazione dello scrittore Jacques Brunius, che negli anni venti raccolse in un album fotografie e materiali sul Palais Ideal.

Nel saggio “L’arte magica”,  infatti, Breton celebra Cheval come precursore del surrealismo, in antitesi polemica con quelli che verranno definiti “sedicenti inventori specialisti del bizzarro”. 

Breton vide nel Palais un caso esemplare di surrealismo realizzato. Gli ingredienti c’erano tutti, ed in grande abbondanza, tali da soddisfare ogni aspirante surrealista: sogno e discordanza, gioco e deriva poetica, quel gioco valorizzato attraverso la pratica collettiva del cadavre exquis che genialmente rimetteva in campo le  energie e gli umori dell’esperienza infantile.

Per i surrealisti, dunque, il Palais Ideal era bello, però nel senso indicato da Isidore Ducasse, conte di Lautréamont, nel suo celebre aforisma: bello nel segno dell’alterità e dello spaesamento, “come l’incontro fortuito su un tavolo anatomico di una macchina per cucire e di un ombrello”. Isidore Ducasse fu l’indiscusso ispiratore di Andrè Breton, maestro della bellezza “convulsiva”e come Cheval interprete di quella raffinata casualità che fa prender forma l’inusuale da ciò che in origine ci appare rassicurante e familiare.

Cheval scriverà nei suoi diari che il Palais era un sogno che attraverso la pietra diviene realtà: una realtà “altra”, tuttavia, prossima al mondo onirico e alle sue regole, bizzarra al punto giusto ma capace di innescare immagini e racconti visivi.

Non c’è trucco nel Palais, non c’è inganno: nel suo sogno Cheval è nudo di fronte all’incanto, con lo stesso malizioso candore del Doganiere Rousseau. Tuttavia il suo lavoro, il progetto che nasce dal desiderio, non è riducibile ad un sotterfugio infantile e nemmeno ad una banale celebrazione dell’immaturità del mondo, perché Cheval è nudo di fronte alla modernità, come lo è l’uomo inerme ed indifeso che ci consegna Thomas S. Eliot nelle pagine della Terra Desolata. Con un sogno, però, che individua nella visibilità del Palais il valore del gioco e la natura ambigua e necessaria dell’illusione.

Dunque Cheval non è l’idiot savant di certa, ormai logora letteratura che ricerca nel visionario e ancor di più nella differenza spettacolo ed intrattenimento perché il Palais è, in fondo, l’elogio del viaggio come fuga, ricerca di identità e nostalgia di luoghi che assumono sempre la tinta ingenua dell’esotico.

Il postino di Hauterives compirà un viaggio “interno” proprio nell’epoca in cui nasce il turismo diffuso, che attraverso il passaggio obbligato in quelli che Marc Augé ha definito “nonluoghi”, scoprirà in questo secolo l’omologazione e l’indifferenziato laddove cercava differenze e sensazioni vitali di unicità.

Riferimenti bibliografici

Bedoni G. (2004), Visionari. Arte, sogno,follia in Europa, Selene Ed., Milano

Bedoni G., Tosatti B. (2000), Arte e psichiatria. Uno sguardo sottile, Mazzotta, Milano

Belpoliti M. (2003), Doppio zero. Una mappa portatile della contemporaneità, Einaudi, Torino

Focillon H. (1926), Esthétique des visionnaires, in: «Journal de psychologie normale et pathologique», XXIII, Paris

 

 

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