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di Roberto Pacifico

 

Da un lato le terzine incatenate della Divina Commedia, dall’altro i balloon e tutto quello che pensano e dicono, ma non sempre, i personaggi dei fumetti. Due mondi sulle prime distanti: uno regno della cultura storicamente definita alta, l’altro giovane ed esuberante protagonista della cultura popular. La storia li ha progressivamente avvicinati, creando incontri inattesi, talvolta riusciti. Oggi vedere la vita e la grande opera di Dante Alighieri ri-narrate tramite il medium fumetto non scandalizza più nessuno ed è un territorio ancora in gran parte inesplorato. Abbiamo cercato di inquadrare i limiti e le opportunità offerte da imprese del genere, di capirne le logiche, di individuarne i protagonisti parlandone con Luca Boschi.

 

Luca Boschi

Direttore Culturale del Festival Internazionale Napoli Comicon dal 2001 (in precedenza aveva ricoperto questa carica per Lucca Comics), Boschi vanta collaborazioni con tutto quanto conta in materia di fumetto in Italia, da The Walt Disney Company a Sergio Bonelli Editore, da Linea Chra/Nona Arte a RCS e Panini Editore. È autore di decine di saggi, cataloghi e monografie. Ha un blog, The Boschington Post e… un lungo elenco d’attività su più fronti, comics ma non solo, anche televisione e teatro (cfr. it.wikipedia.org/wiki/Luca_Boschi).

La nostra conversazione parte da lontano.

 

Dagli incunaboli medievali ai grandi illustratori, da Gustave Doré a Mœbius e Patrick Waterhouse, la Divina Commedia è da sempre in compagnia di immagini. Perché?
Forse perché offriva dei pretesti per raffigurare l’irraffigurabile: il Sublime del Paradiso e le abiezioni infernali. Immagini spesso forti, come non era possibile realizzarne per i testi sacri come la Bibbia, per esempio. Ma rendere concreto e visibile l’Aldilà ha comunque sminuito la poesia dantesca che lo suggeriva all’immaginazione del lettore. Ho sempre pensato che fosse come ritrarre lo scarafaggio in cui si era trasformato Gregor Samsa. Franz Kafka aveva proibito espressamente al suo editore di raffigurarlo in copertina de La metamorfosi, il lettore doveva immaginarlo e farlo suo.


Da oltre mezzo secolo si raccontano a fumetti la vita di Dante e la Commedia. Talvolta i due filoni si fondono in una sola narrazione, come nel recente Dante Alighieri di Alessio D’Uva, Filippo Rossi e Astrid (pubblicato da Kleiner Fug). Quali sono i pro e i contro dei due approcci?
Sicuramente alla base c’è un ottimo intento divulgativo, che non esaurisce la forza del testo di Dante. Forse ha il pregio di incuriosire chi non avrebbe mai sognato di avvicinarcisi, come accadde nel 1949 con L’Inferno di Topolino. Quanti hanno conosciuto questa versione prima di quella dantesca? Io stesso, per esempio (in una ristampa).

 

La tradizione ci ha consegnato un’immagine di Dante probabilmente fantasiosa ma fortemente caratterizzata, quasi già fumettistica in origine. Che cosa comporta per chi disegna affrontare questa icona?
Forse è facilitato nel suo compito. Una volta Giovan Battista Carpi lo ritrae con le spoglie di Archimede Pitagorico, perfettamente calzanti (il becco adunco del gallinaccio ricorda il nasone di Dante, le proporzioni fisiche possono corrispondere). Dovendo realizzare una striscia, la caricatura di Dante viene spinta alle estreme conseguenze, come ha fatto Marcello Toninelli. A me ricorda molto la fisionomia di Sherlock Holmes, mentre Virgilio, anche se “duca” (guida), lo vedo relegato nel ruolo di spalla senziente; è una specie di Watson. 

 

Quanto alla Divina Commedia: ma può essere fatta a fumetti? Nel 1959, Cesare Zavattini interrogò l’amico Arrigo Polillo sulla questione e aggiunse che l'opera dantesca presentava “tutte le qualità per essere fatta a fumetti, tradotta in fumetti, divulgata in fumetti, comunicando certi suoi valori storici e morali, tipici per noi italiani, fra l'altro, senza bisogno di esprimere capillarmente la poesia”. Stanno così le cose?
La traduzione di un’opera da un medium all’altro è sempre problematica, come ben sappiamo. Si guadagna qualcosa e qualcos’altro si perde. In una traduzione a fumetti si tralascia comunque lo specifico poetico di Dante, che nasce per suscitare immagini nella mente del lettore e non ha bisogno di traduzioni grafiche for dummies. Riflettendo oggi, penso che alcuni valori morali di Dante siano da salvare, ma non tutto quello che esprime. Alcune affermazioni non sono nemmeno storicamente attendibili, in quanto il testo è percorso da passioni, amori, soprattutto risentimenti e vendette personali legate allo scrittore. Una Divina Commedia a fumetti, anche se pedissequamente raccontata, sarebbe una cosa diversa, con i balloons in sostituzione delle strofe. Mi risulta che questa operazione non sia mai stata effettivamente compiuta con serietà. È vero, esiste la versione giapponese di Kiyoshi Nagai, meglio noto come Gō Nagai, ma è talmente originale e lontana dallo spirito dantesco da risultare un’opera a sé. Pregevole, ma poco fedele, rispettosa forse dell’apparenza ma non dello spirito. Della Divina Commedia resta l’epidermide, poi riempita, nei tessuti muscolari, con estranee figurazioni manga.
A parte questa interpretazione, quando in altri fumetti ci si riferisce alla Divina Commedia si sfodera di solito lo strumento della parodia. Poi, per rispetto alla divinità, delle tre Cantiche ci si limita a citare l’Inferno.

 

topolinoL’Inferno è il dispositivo narrativo per eccellenza, oppure via via che gli scenari si fanno astratti nel corso della narrazione dantesca, si crea più spazio per l’immaginazione, per disegnare con maggiore libertà?
Credo che i diavoli, i demoni, i mostri, siano una fonte di ispirazione più significativa degli angeli, dei santi… Ma… come si raffigura a fumetti la Madonna (per esempio)? Come non correre il rischio di mancare di rispetto ai credenti cattolici? Con i personaggi dell’Inferno è possibile andare giù duro: una presa in giro del demonio non offende nessuno, anzi… E, come è risaputo, il Male è più accattivante del Bene, stimola chi lo raffigura e intriga chi ne fruisce l’interpretazione. La saga, pur bonaria e per ragazzi, del diavolo Geppo è il miglior esempio di questo atteggiamento. Uno dei personaggi più longevi e memorabili del Fumetto italiano, il diavolo buono, prende le mosse da Dante (e dall’Inferno di Topolino), quindi parte per la tangente.

 

Ogni versione, interpretazione e rilettura della Divina Commedia opera una selezione, estrae momenti salienti, episodi chiave. Avrebbe senso disegnare un’edizione integrale? 
Lo avrebbe, perché no? Senza intenti parodici, penso a quello che avrebbe potuto darci un Gianni De Luca, che aveva realizzato riduzioni leggendarie di alcuni capolavori di Shakespeare. Avrebbe usato rispetto, sia nei contenuti, sia nella loro rappresentazione, e probabilmente avrebbe adottato un taglio impaginativo di tavole che avrebbero sorpreso lettori e studiosi di arte. Anche oggi potrebbero esserci fumettisti, italiani e non, in grado di restituire risultati memorabili. Robert Crumb ha da poco illustrato La Genesi. All’opera sull’Inferno (e forse anche sul Purgatorio) lo vedrei benissimo.

 

Quanto bisogna conoscere Dante e la sua opera per farne un fumetto?
È sempre fondamentale conoscere il punto di partenza dal quale ci si muove. Nel caso delle tre Cantiche, chi cominciasse a impegnarsi per disegnarne la versione a fumetti non potrebbe nemmeno limitarsi allo studio del testo dantesco, prescindendo dalle rappresentazioni grafiche che negli anni ne sono state date. Per noi italiani penso alle illustrazioni di riferimento (un po’ tronfie, ma caratteristiche e puntuali) di Tancredi Scarpelli e, per chiunque nel mondo, alla versione di Gustave Doré. Angelo Bioletto, nel disegnare l’Inferno di Topolino, aveva gli scenari di Doré sotto gli occhi, come testimoniano alcune vignette, soprattutto nella prima parte del fumetto.

 

Chi tra gli sceneggiatori e disegnatori italiani di oggi sarebbe in grado di fare una trasposizione completa della Commedia?
Il primo che mi viene in mente è Giuseppe Palumbo, che oltre ad appassionarsi alle scene più truculente possiede l’attenzione e l’umiltà necessarie a calarsi nello spirito di quanto raffigura, limitando la tentazione di attrarre il testo a sé. Trovo che abbia degli strumenti di autocritica e di autocontrollo superiori a quelli di altri suoi colleghi. Filippo Scozzari, se ne avesse voglia, potrebbe sfornare una versione buffa e deformata del tutto. Sintetica, perché non credo che vorrebbe mai impegnarsi per un lavoro che richiederebbe anni di dedizione. Claudio Nizzi lo vedo come uno sceneggiatore adatto, già rodato sulla trasposizione in tavole di testi popolari. Avrei visto bene anche i disegni di un cesellatore come Paolo Piffarerio, purtroppo scomparso recentemente. Forse anche altri disegnatori sotto i Cinquanta potrebbero impegnarsi in questa opera titanica, avendo il tempo per portarla avanti compiutamente. Ne cito due: Daniele Caluri e Alberto Pagliaro. Chissà se ci hanno mai pensato e se si stupiranno davanti a questa mia “designazione”. Fra i disegnatori di tratto più grottesco (anche se non solo: realistico all’occorrenza) penso a Fabio Celoni e a Paolo Mottura.

 

Un approccio che non risparmia né la Commedia né Dante stesso è quello parodistico, finanche caricaturale, da Jacovitti ai personaggi di Walt Disney per eccellenza, Topolino e Paperino. Perché così tanti casi? È solo goliardia verso un testo (e un autore) temuto da studenti?
Perché una delle caratteristiche imprescindibili della parodia riguarda la notorietà del testo di base da reinterpretare. Una parodia di Anna Karenina, per esempio, non avrebbe alcun effetto, perché nessuno conosce quel romanzo di Tolstoj, a parte gli iniziati. Tutti gli studenti italiani, invece, hanno sofferto a lungo dovendo ingoiare forzatamente la Divina Commedia. È un capolavoro, ma non è certo apprezzato da tutti i palati. Per quanti ragazzi ha avuto una valenza paragonabile all’olio di fegato di merluzzo? Così, da un lato, la parodia esorcizza un testo la cui obbligatorietà di lettura rende detestabile, dall’altro lo rende più simpatico e potabile.

 

C’è più di un Dante nelle interpretazioni e ce ne sono molti anche nel fumetto, dal manga di Gō Nagai che omaggia Doré alla deriva punk nella storia di Gary Panter. 
Per molti invece è solo una suggestione, un bagaglio culturale da cui attingere? Ci sono autori o almeno storie a fumetti influenzate da Dante e dalla Commedia?

Gli autori di fumetti italiani sono più che altro influenzati dalla parodia che ne disegnò appunto Bioletto, su soggetto di Guido Martina. A parte quelli già citati, aggiungerei Luciano Bottaro e Franco Aloisi. Entrambi avevano un debole per raffigurare i diavoli. E poi, Giovan Battista Carpi, Giulio Chierchini, Pierluigi Sangalli, Sandro Dossi… E uno che quasi nessuno conosce: l’animatore Pio Laner, in forza per un certo periodo presso le Edizioni Dardo di Milano.

 

In questa selva di strisce, qual è il tuo Dante a fumetti preferito? 
Dovrei dire quello del mio amico Marcello Toninelli, che di Dante ha descritto la vita a fumetti, con un originale salto di prospettiva rispetto all’analisi, più o meno giocosa, di parte della sua opera. Ma non posso sottrarmi all’influenza irresistibile che su tutti noi baby boomers ha avuto L’Inferno di Topolino. A dieci anni circa, perduto il volumetto che la pubblicava, provai a memoria a ridisegnare quella esperienza, scrivendo anche delle rime ingenue, mettendo però dei personaggi creati da me al posto di Topolino-Dante e Pippo-Virgilio. Si chiamavano Max e Silver. Ho ancora quei disegni, che con la narrazione della vicenda infernale si interrompevano alla trasvolata sugli avelli dei due visitatori dell’aldilà, a cavallo di un drago volante.