ASCOLTI / LE TEMPS DES MOISSONS


di Ariel Kalma / Wah Wah Records, 2015


 

Cantando sotto la pioggia a Bombay


di Gennaro Fucile

 

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Salvatore Adamo, in arte semplicemente Adamo, spopolava negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. A conti fatti, nella sua carriera ha venduto qualcosa come cento milioni di dischi, risultando tra i 100 top sellers di sempre. Un bel risultato per il figlio di un emigrante siciliano in Belgio. Le sue canzoni volavano sulle ali di un vibrato inconfondibile: La nuit (La notte), Inch Allah, Accroche une larme aux nuages (Affida una lacrima la vento), canzoni, niente di più, arrangiate con gusto, cantate anche in italiano, vendute ovunque.

Non è questa, però la storia su cui dilungarci. Adamo, fenomeno della musica leggera ai tempi del beat prima e delle infinite diramazioni pop dopo, è una vicenda che ha singolarmente incrociato quella di un altro musicista quando era ancora alla ricerca di una propria identità, un girovago nato in Francia: Ariel Kalma. Incontro altamente improbabile sulla carta, perché Kalma è stato un esploratore dei suoni, animato dal più autentico spirito di ricerca dell’epoca, ma fatto sta che Adamo lo ingaggiò nel gruppo che lo accompagnò in tournée in giro per il mondo a cavallo tra le due decadi summenzionate. Kalma venne arruolato come flautista, ma fino a quel momento il giovane ex studente di computer science aveva suonato il sassofono in diversi complessini, dove si esibiva nel più classico dei tòpoi del rock 'n' roll, “facendo, quello che a un certo punto si inginocchia e si produce in un assolo mentre il cantante urla nel microfono”, come ricorda egli stesso nelle note allegate allo zibaldone del giovane Ariel, An Evolutionary Music (Original Recordings: 1972-1979), raccolta di incisioni su nastro quasi del tutto inedite, pubblicata nel 2014. Kalma era già all’epoca di Adamo catturato da altri suoni, innamorato del free jazz e dei suoi eroi che avevano visitato la Francia. In primis Albert Ayler e Sun Ra, che lo aveva folgorato, quando aveva assistito alla performance dell’Arkestra esibitasi nel sud della Francia nel corso delle avventurose Nuits de la Fondation Maeght.

Spirito nomade, non poteva però perdersi l’occasione di andare ai quattro angoli del mondo, e la band di Adamo si prestava magnificamente a far da mezzo di trasporto, così mollò le varie formazioni in cui militava, tra cui tali Les Vikings, pose fine al duo con il batterista Jean-My Troung con cui faceva pratica di free e si imbarcò con Adamo. Rientrò a Parigi nel 1971, ricco di esperienza, di nuove conoscenze e di illuminazioni. Aveva incontrato il chitarrista brasiliano Baden Powell con il quale in seguito si ritroverà anche a suonare e, soprattutto, aveva conosciuto l’India, meta di un’intera generazione, terra di suoni dal fascino irresistibile e di dimensioni dello spirito necessarie per aprire le porte della percezione. Il passaggio in India cambiò per sempre Kalma, così come prima e dopo di lui segnò un’intera generazione non solo in Francia.

La via delle spezie aveva ripreso a essere molto trafficata sin dai primi anni Sessanta, solo che a spostarsi non erano più le merci ma le menti, in particolare quelle di musicisti illuminati, pionieri ed esploratori della materia sonora. Arrivavano dagli Stati Uniti, John Coltrane, John Fahey, Tony Scott, Angus MacLise, La Monte Young, poi sarà il turno del raga rock e si cimenteranno i Kaleidoscope, la Paul Butterfield Blues Band, mentre nella vecchia Europa daranno il via alla migrazione gli inglesi della Third Ear Band e prima ancora l’indo-jazz di Joe Harriott e in seguito John McLaughlin; altre conversioni avvengono in Germania e tra i nomi maggiori ecco Florian Fricke e i suoi Popol Vuh, Peter Michael Hamel e i suoi Between, Deuter, poi ci saranno gli italiani Juri Camisasca e Lino Capra Vaccina, i Futuro Antico. Un lungo elenco, un pellegrinaggio colorato, bizzarro, eterogeneo, ramificato. Retroterra culturali anche radicalmente diversi tra di loro, ma tutti attirati e catturati dall’India. Fondamentale sarà il 1968, anno cruciale che vedrà Beatles e Donovan (altro hit-makers del tempo) recarsi in meditazione intorno al guru Maharishi Mahesh Yogi. Tutte le correnti di pensiero del subcontinente indiano divennero letteralmente pop, inghiottendo, blobbando, progressivamente tutte le culture asiatiche.

Quanto a Kalma, la sua illuminazione avvenne sulla via del ritorno da Bombay, all’aeroporto, dove i musicisti rimasero bloccati per quattro ore sotto una pioggia torrenziale. Tempo di monsoni. Kalma fissando le gocce di piogge picchiettare sul tetto metallico dell’hangar, venne pervaso da un nuovo modo di sentire il mondo. Tornato in patria cercò di intrecciare i suoi studi universitari in materia di elettronica con le logiche della musica modale indiana e dell’improvvisazione jazzistica. Tutto prese a ruotare intorno a un registratore a bobine Revox G 36 che Kalma acquistò non appena rientrato a Parigi. Lì, nel suo monolocale in un sottotetto di Rue de la Gaîté a Montparnasse, da vero bohémien iniziò a cercare soluzioni non convenzionali per fare musica. Manipolava i suoni, li registrava, li sovrapponeva, li replicava, strutturava ripetizioni, reiterava interi blocchi, improvvisava librandosi sopra queste sezioni che si susseguivano e si accumulavano, creando rifrazioni e risonanze, echi e riverberi. Kalma suonava flauti, sassofoni e una serie di strumenti a tastiera dall’organetto Bontempi all’harmonium, dal pianoforte a un rudimentale sintetizzatore. Ogni tanto un amico dava una mano, chi suonava le tablas, chi si dava da fare con una ghironda o con le nacchere e talvolta Kalma registrava anche la sua voce, come documentato in An Evolutionary Music. Raga-jazz filtrato da un’elettronica minimalista. In quegli anni un’ulteriore suggestione lo rapisce: suonare nelle chiese o semplicemente visitarle, scoprendone le meraviglie acustiche. È un ascolto profondo, Kalma diventa vegetariano, si immerge nella lettura di Herman Hesse, di Siddartha e lascia tutto tornandosene per nove mesi in India. Qui si immerge nell’armonia primordiale che tutto avvolge e che in tutto risuona. Fa pratica di respirazione circolare con un incantatore di serpenti. Meditazione e yoga diventano esercizi spirituali quotidiani. Suona con musicisti locali, si sposta dal Kashmir a New Delhi, ritorna a casa attraversando Pakistan, Afghanistan, Iran, Turchia e infine Israele. Le parole scritte da Bruce Chatwin nel 1969 gli aderiscono alla perfezione, sembrano pronunciate da lui: “Ho una coazione a vagare e una coaziome a tornare – un istinto di rimpatrio, come gli uccelli migratori” (Chatwin, 2008). Rientra a Parigi a metà anni Settanta e nello zaino le sue preferenze musicali sono più numerose, vanno dalle miscele dei Weather Report e di Miles Davis, ricche di jazz, di rock e di musiche non occidentali alle frugali ossessioni minimaliste di Charlemagne Palestine e soprattutto Terry Riley. Riprende a occuparsi di elettronica lavorando nel prestigioso laboratorio di esperimenti sonori Ina-GRM (Institut National de l'Audiovisuel – Groupe de Recherche Musicale). L’eco dei monsoni che lo avevano bloccato a Bombay si trasforma nel suo primo disco: Le Temps des Moissons. Lo dà alle stampe in sole 1.000 copie con la consulenza del suo amico Richard Pinhas, chitarrista visionario, un Robert Fripp francese allora leader della band Heldon, tra le protagoniste della nuova scena musicale d’oltralpe. L’album, che includeva tre composizioni, oggi è integrato da due brani composti all’epoca, che vennero già inclusi nella ristampa su cd del 2008 a opera della Beta-lactam Ring Records. Il brano eponimo che apre la prima facciata è un mantra per sassofono tenore, harmonium ed effetti assortiti ottenuti lavorando sui nastri. Siamo all’ombra del basilare A Rainbow In Curved Air di Terry Riley (1968), ma l’afflato di Kalma è più gentile e meno concettuale. Il secondo capitolo originale è Bakafrika, una pozione a base di chitarra, percussioni, sassofono ed effetti d’eco, che sposta l’ago della bussola più nella direzione di un altro protagonista della musica senza confini dei tempi: Don Cherry. Quella che banalizzata si indicherà successivamente come world music o peggio ancora come ambient new age, emana invece da questi solchi un’inafferrabilità d’altri tempi.

Seguono le due bonus tracks: Voyage Reternelle e Fast Road To Nowhere. Ipnotico e inarrestabile il primo brano srotola sassofoni in loop, mentre il secondo è piccolo inno interiore alla natura per flauto e scacciapensieri. La composizione che concludeva il disco originale, Reternelle, altro non è che la versione molto estesa (con una durata quattro volte maggiore) di Voyage Reternelle. Si ha così modo di capire come Kalma operasse per stesure successive sulla sua musica. Qui una lunga intro elettronica, insistente, ossessiva si stempera lentamente mentre un coro di sassofoni si amplia progressivamente sempre grazie al re-invio ripetuto di registrazioni su nastro per poi ripiegarsi su se stesso. Ipnotico, stordente, pura trance music.

Adamo è veramente un ricordo. La Francia après mai sperimenta non poco. Gli Heldon dell’amico Pinhas avevano esordito nel 1974 con Electronique Guerilla e andranno avanti per tutto il resto della decade che chiuderanno con un album Stand By figlio minore del Red crimsoniano e che avrà anche la benedizione dello stesso Fripp. Prima di loro, maestosi, alieni, oscuri, epici e marziali i Magma di Christian Vander avevano scritto e pubblicato i primi e fondamentali episodi della saga del pianeta Kobaia, incluso il caposaldo del genere zeuhl e della saga: Mëkanïk Destruktïw Kommandöh. Da una costola dei Magma aveva preso vita un’altra formazione più orientata al jazz-rock, ma che conservava alcuni tratti enigmatici della casa madre: gli Zao. Ne facevano parte il tastierista François "Faton" Cahen e il sassofonista Jeff "Yochk'o" Seffer, la coppia che arrivava da Kobaia, ma nella formazione di partenza era finito anche il batterista Troung, partner di Kalma qualche anno prima. Tra le avanguardie rivoluzionarie vanno annoverati i Lard Free del batterista Gilbert Artman, che aprono le danze nel 1973. Pubblicheranno tre album a cavallo tra rock ed elettronica culminanti nello stratosferico Spirale Malax (1978); in anni recenti salteranno fuori registrazioni risalenti al 1971. In seguito Artman si dedicherà al progetto degli Urban Sax, collettivo dall’organico variabile, oscillando da una dozzina di sassofonisti finanche a una cinquantina. Artman si ritroverà a suonare con Kalma in una formazione estemporanea, i Delired Cameleon Family, allestita per eseguire le musiche del film sperimentale Visa de Censure nºX per la regia di Pierre Clementi, icona del cinema francese (e italiano) degli anni Settanta. La regia musicale del collettivo era di un altro protagonista della scena avant d’oltralpe, Cyrille Verdeaux, autore di un altro progetto all’insegna dello sconfinamento, i Clearlight (ancora con Artman e alcuni Gong, Didier Malherbe e Steve Hillage). Degno di nota l’esordio nel 1975: Clearlight Symphony. A completare la scena principale, due formazioni che finirono con affiliarsi a Rock In Opposition, la congrega ideata dagli Henry Cow con ramificazioni in tutta Europa (in Italia aderirono gli Stormy Six): gli Etron Fou Leloublan, ludici, dadaisti, metà chansonnier, metà free improvisers e gli Art Zoyd, interpreti di una musica più minacciosa, ricca di accenti cameristici e echi magmiani. Alla fine degli anni Settanta, Adamo è veramente un ricordo.

D’altra parte in terra di Francia sin dalla fine della decade precedente erano sbarcati tutti i maggiori protagonisti della scena free statunitense, non solo i citati Albert Ayler e Sun Ra, ma anche Cecil Taylor, Steve Lacy, l’Art Ensemble of Chicago. Avevano fatto più di un’incursione dall’altro lato della Manica, i giovanissimi Soft Machine e così via. Presenze istruttive, ma non solo per i jazzisti in erba da quelle parti. In questo contesto dove fiorivano concezioni di larghe vedute, Ariel Kalma continuava a essere inquieto e riprese a viaggiare. Questa volta il viaggio conduceva a Occidente, a New York, Manhattan, sulla Cinquantasettesima, alla sede dell’Arica Institute, fondato dal boliviano Oscar Ichazo, che aveva lavorato presso l’Istituto di Psicologia Aplicada di Santiago. Prendeva il nome dalla cittadina che ospitò i ritiri spirituali organizzati da Ichazo per pochi eletti e che contribuirono a fare dell’istituto un luogo esoterico dove espandere la coscienza. Siamo nei paraggi di Don Juan, delle scuole di stregoni, come nelle cronache di Carlos Castaneda, siamo nel clima dell’epoca. Un cileno autentico ma apolide come Alejandro Jodorowsky porta in ritiro all’Arica la troupe de La montagna sacra e qui Kalma farà un training di quaranta giorni (come qualcun altro nel deserto?), bazzicando la divisione musicale dell’istituto. Qui si autoproducono dischi e la musica all’ombra delle teorie musicali di Georges Gurdjieff, esplorazioni modali che ripartono dal jazz estatico del coltraniano A Love Supreme. Insomma, c’è un po’ di tutto, pasticci, fuffa, coraggio di osare, di varcare soglie, genialità e derive che anticipano future involuzioni, degenerazioni new age e quant’altro. È lo spirito del tempo. Qui, a New York, Kalma incontra Don Cherry, altro girovago, curioso, esploratore dei suoni senza latitudine, figlio del mondo. È il 1976, non registrano nulla, ma suonano insieme in più occasioni. Kalma si arrangia anche suonando per strada e trova modo di esibirsi anche in chiesa. Il cerchio si chiude, anzi si sviluppa un nuovo anello. L’anno prima Don Cherry e Terry Riley avevano incrociato i loro destini in Europa. Una buona testimonianza è trasmessa da un bootleg in circolazione anche sulla rete, Live Köln 1975. Quando Kalma ritorna a Parigi, incrocia altri viaggiatori e il primo è proprio Riley che a sua volta gli apre le porte della Dream House di La Monte Young, un ambiente predisposto per generare musica fino a tramutarsi in un “organismo vivente con una propria vita” (Toop, 1999). La Monte Young l’aveva concepito a partire da un lavoro del 1962, The Four Dreams of China, nel quale per la prima volta aveva riflettuto “sull’eventualità del non inizio e della non fine” (ibidem). Riley, a sua volta, aveva iniziato a coniugare minimalismo e raga tra il 1971 e il 1972, come documentano le registrazioni di due concerti tenuti a Los Angeles e proprio Parigi. L’album è Persian Surgery Dervishes: “a quel tempo mi appassionai molto seriamente alla musica classica indiana […] faceva il tipo di cose che stavo cercando di produrre da solo. Nella musica che creavo iniziavo a percepire […] l’effetto psicologico e spirituale che i raga comportano” (ibidem). La coscienza espansa è il filo che lega anche gli altri incontri di Kalma e gli apprendimenti a venire, a iniziare dalla Dreamachine, il congegno allucinatorio messo a punto dal sodale di William Burroughs, il poeta Brion Gysin. Se la coscienza si espande, si immerge inevitabilmente nella natura cercando di essere parte e tutto. Nasce così il secondo disco di Kalma, Osmose. I Settanta vanno spegnendosi. Dal Borneo rientra un altro viaggiatore, Richard Tinti, scultore, fotografo e chissà che altro ancora, che si è avventurato nella foresta pluviale con un registratore, due microfoni e una piccola macchina fotografica. Riprende e registra uccelli, una moltitudine, immersi in oceani di luce e all’ombra di alberi secolari; di giorno, ma anche di notte Tinti archivia una moltitudine di suoni. I due entrano in contatto e il profumo d’Oriente che emana da quelle registrazioni convincono Kalma a fonderli con i suoni dei mezzi elettronici e degli strumenti a fiato. Cinguettii come loop per ricreare un mondo sonoro che solo a tratti prefigura la new age, restituendone invece la dimensione più oscura e aliena. Tratti più distesi si ritroveranno nelle due cassette uscite nei primi anni Ottanta, Open Like A Flute (volume I e II) prodotte ancora in giro per il mondo, tra Montreal, Parigi e Amburgo, con echi delle avvolgenti spirali di sassofoni in brani come Saxman, ma prevalenza di atmosfere etno-ambient.

Oggi Kalma vive in Australia e negli ultimi trent’anni ha prodotto una discreta serie di album. Le sue musiche hanno trovato impiego nel teatro e nel cinema, si è adoperato con un collettivo chiamato Cosmic Consciousness, con il quale si è esibito finanche al Planetarium di Parigi, ma tutto si è stemperato, diluito, evaporato. Nel frattempo è stato Buddha a spostarsi a Parigi, finendo in un bar e in giro non si trova un ugola melodica, sognante e gentile come quella di Salvatore Adamo. Sarà perché non solo la musica di Kalma è appassita.

 

 


 

ASCOLTI

  Don Cherry, The Sonet Recordings: Eternal Now/Live Ankara, Verve, 1996.
Don Cherry, Organic Music Society, Caprice Records, 2012.
Don Cherry, "Mu" First Part / "Mu" Second Part / Orient, Charly, 2013.
Don Cherry & The Jazz Composer’s Orchestra, Relativity Suite, Klimt Records, 2013.
Don Cherry, Terry Riley, Live Köln 1975, bootleg, 2013.
Ariel Kalma, Osmose, Black Sweat Records, 2013.
Ariel Kalma, An Evolutionary Music (Original Recordings: 1972 - 1979), Rvng Intl., 2014.
Ariel Kalma, Open Like A Flute, Black Sweat Records, 2015.
Terry Riley, Shri Camel, Cbs, 1990.
Terry Riley, Persian Surgery Dervishes, New Tone Records, 1993.
Terry Riley, The Last Camel in Paris, Elision Fields, 2008.
Terry Riley, A Rainbow In Curved Air, Esoteric, 2012.

 

LETTURE

  Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza, Adelphi, Milano, 2008.
David Toop, Oceano di Suono, Costa&Nolan, Ancona-Milano, 1999.