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LETTURE / TEOLOGIA DELL’ELETTRICITÀ


di Ernst Benz / Medusa, Milano, 2013 / pp. 124, € 14,00


 

I Trust the Life Electric

di Adolfo Fattori

 

Il procedere del mutamento è tortuoso, come è sinuoso il corso delle cose. E a volte produce risultati paradossali. E così è successo per la scoperta dell’elettricità negli anni centrali del Settecento, quando da una parte la razionalità della ricerca empirica esplorava le qualità della nuova energia, e dall’altra la stessa energia ridava fiato ai discorsi della teologia, che già da due secoli doveva difendersi dagli attacchi dell’Umanesimo, e, “in diretta” dai prodromi dell’Illuminismo.

“Era altresì nota l’energia del calore sotto forma di radiazione invisibile… Gli esperimenti condotti per stabilire se la luce stessa possedesse energia produssero alcuni effetti positivi… (il) più importante (dei quali) fu forse la rivelazione di una nuova forma di energia, l’elettricità” (Hall, 1976). Così si esprime per esempio A. Rupert Hall nel suo saggio, ormai classico, sulla rivoluzione scientifica che investì l’Occidente fra il XVI e il XIX secolo. Qui scrive in particolare del Settecento, conosciuto anche come il “secolo dei Lumi”. Il riferimento immediato è all’Illuminismo, la corrente filosofica che si propose, appunto, di “illuminare” le menti degli uomini con la forza della ragione, dissipando le nebbie della superstizione e delle credenze nel soprannaturale. Ma, pensando ad Hall e all’elettricità, possiamo ben dare alla locuzione “secolo dei Lumi” un significato ben più ampio, che va oltre quello relativo ai philosophes francesi.

La scoperta dell’elettricità – e i primi tentativi, a volte piuttosto maldestri – di ingabbiarla e sfruttarla, oltre che di capirla, avrebbero fatto fare dopo circa un secolo un passo immenso, definitivo, all’affermazione della modernità industriale. Laddove gli Illuministi partecipavano a quei mutamenti che sarebbero sfociati in una sempre più ampia “demagizzazione del mondo”. La luce elettrica davvero avrebbe illuminato il mondo, nella maniera più letterale possibile.

Il Settecento è un secolo in cui il metodo scientifico così come lo definiamo oggi dopo la pubblicazione avvenuta nel 1962 di La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn (1999), attraversati i secoli subito precedenti, e sopravvissuto all’opposizione delle istituzioni religiose occidentali e alle persecuzioni di alcuni suoi araldi come Galileo Galilei, in modo sempre più deciso si radica, getta le sue fondamenta, si rafforza. Nell’intreccio dello sviluppo di scoperte scientifiche e invenzioni tecnologiche, il mito del progresso in senso laico, anche se non è ancora emerso in pieno, comincia a germogliare.

Pure, anche in questo caso vale il principio generale in base al quale i fenomeni sociali, lungi dall’essere monodirezionali, producono effetti a raggiera, anche in direzioni opposte, per cui ciò che accompagna il mutamento da una parte, dall’altra conferma e performa la conservazione, le dà nuovi strumenti, nuove “parole”.

E così, mentre la logica razionalizzante del metodo sperimentale si fa strada, pur non dimenticando, almeno inizialmente, le sue radici “alchemiche”, la nuova scoperta dà linfa all’avversario della secolarizzazione, il sacro, alimentando la teosofia, la filosofia sacra, la teologia.

È di questo aspetto meno noto dei discorsi sull’elettricità che tratta Teologia dell’elettricità, il saggio pubblicato postumo (1989) di Ernst Benz, teologo del Novecento, che analizza gli scritti di due teologi dell’epoca, che di fronte alla nuova forma di energia si impegnano a cercarne il senso nelle sacre scritture, a dimostrarne e rivendicarne l’origine senz’altro divina, specie in un periodo come quello di cui scriviamo, quando elettricità e magnetismo venivano assimilati ampiamente l’uno all’altro.

Pensiamoci: l’elettricità è invisibile, immateriale, inconsistente, eppure risiede – nella sua forma magnetica – nelle cose; viene generata (evocata?) strofinando le giuste sostanze fra loro: ambra e lana, per esempio. Anzi, l’ambra gli dà il nome: in greco antico ambra si dice ήλεκτρον, elektron… È contemporaneamente una forza benefica, curativa, come nelle applicazioni di Anton Mesmer (non ancora definito ufficialmente un ciarlatano), e può scatenarsi con una violenza incontrollabile, come avviene attraverso i fulmini. Anzi, proprio in questo dimostra la sua natura divina, quasi una metafora della natura di Dio, quello del perdono, ma anche della vendetta. Cosa può essere, quindi, se non il “fluido vitale”, la sostanza divina che dà la vita a tutti gli esseri viventi? Certo, non all’anima, quella viene da altrove, ma ai corpi sì.

Ironicamente, questo “scaltro genio dell’oggetto”, come si sarebbe espresso Jean Baudrillard (2011), seduce i filosofi della religione mentre si prepara a diventare la forza motrice della modernità. Come scrisse Lenin: “Il socialismo è il potere sovietico più l'elettrificazione di tutto il paese” (Lenin, 1965). Certo, l’elettricità è servita a poco, per edificare il socialismo, ma sicuramente ha contribuito alla modernizzazione: direttamente, fornendo l’energia per la produzione delle merci e quella per i comfort quotidiani (la luce in casa, la radio, gli elettrodomestici…); e indirettamente, perché fu il passaggio all’illuminazione elettrica negli ultimi decenni dell’Ottocento a rendere obsoleto e svantaggioso il kerosene, allora il prodotto principale che si produceva dal petrolio, e a promuovere la benzina (fino ad allora un sottoprodotto di scarto) come carburante per le automobili: il “modello T” di Henry Ford, tanto per dire, uno dei totem – e dei talismani – della società di massa.

E insieme alla benzina e alle automobili, a favorire modernizzazione e secolarizzazione della società occidentale. Ma torniamo alle origini di questo movimento: prima di introdurre il pensiero dei “teologi elettrici”, Johann Ludwig Fricker, Prokop Diviš (per molti inventore del parafulmine alla pari di Benjamin Franklin) e Friedrich Christoph Oetinger, Ernst Benz parte dalle radici profonde del loro pensiero, che risalgono da un lato al pietismo religioso, dall’altro alle ricerche degli alchimisti, e che gli fanno attribuire all’elettricità l’attributo di “fuoco quintessenziale”, per poi riallacciare le origini delle loro ricerche ad Athanasius Kircher e Rudolf Goclenius, due grandi figure di scienziati “moderni”.

Sono tutti personaggi ai nostri occhi sincretici, che studiano e lavorano non solo stando a cavallo o approfondendo vari campi del sapere, ma anche corrispondendo con esponenti di altre religioni o tendenze, cattolici, protestanti ed ebrei, senza preclusioni e pregiudizi, che si espongono alle censure delle gerarchie religiose, a dimostrazione di come, da una parte il demone della ricerca scientifica, per dirla con Max Weber, si imponesse, e dall’altra di come lo spirito scientifico del tempo fosse un crogiolo caotico, ribollente, alchemico di per sé.

E così, nel periodo in cui elettricità e magnetismo invadono il campo della scienza – con Benjamin Franklin e il suo parafulmine, su tutti – e dei primi vagiti delle psicoterapie – con Anton Mesmer, ad esempio (cfr. Ellenberger, 1976) – Friedrich Oetinger li riporta, in particolare l’elettricità, nell’alveo della teologia, reinterpretando le prime parole della Genesi, e il senso che bisogna dare alla frase “Le tenebre erano sopra gli abissi e Dio creò la luce”: questa non poteva essere la luce del sole, che fu creato – stando alle scritture – il quarto giorno. E allora? La prima luce cosa poteva essere se non il “fuoco elettrico”? Fuoco elettrico che quindi si impone come l’energia, la sostanza incorporea che permette la vita nel cosmo.

E che anche gli uomini possono incanalare e sfruttare per vivere con maggiore sicurezza. Giustificando così anche invenzioni come quella del parafulmine – che fosse di Diviš o Franklin non ha importanza – che pure era stata condannata alla sua nascita dai teologi più conservatori come un atto di superbia nei confronti di Dio, l’unico che può maneggiare la potenza dei fulmini, e che quando li scaglia lo fa – sicuramente – a ragion veduta…

Qui emerge un altro nodo della dinamica del processo di modernizzazione: lo scontro che si svolgeva fra la concezione del mondo tradizionale, che vedeva nella realtà un cosmo ordinato, perfetto, governato sì, dalle leggi fisiche e matematiche (almeno da Isaac Newton in poi), ma che promanavano da Dio, e in cui tutto era il frutto della sua volontà – anche le distruzioni provocate dalle forze naturali scatenate – e un universo in cui l’uomo, sempre per volontà di Dio, proprio perché era la sua creatura prediletta, poteva essere autore del cambiamento e del progresso (cfr. Taylor, 2009). Per cui anche il parafulmine, che apparentemente contrastava il corso naturale delle cose, era legittimo. Così come gli argini dei fiumi, i frangivento, e quanto altro l’uomo apparecchiava per contrastare le forze della natura. Friedrich Oetinger si pone, insomma, al centro e cerca di realizzare, per certi versi, quella che nel linguaggio attuale della scienza definiremmo una “teoria unificata”. Così ne scrive ad esempio quella bizzarra figura di “sciamano elettrico” (vedi "Quaderni d'Altri Tempi" n. 7) Erik Davis in Techgnosis: “Lontano dall’includere, semplicemente, l’elettricità nella cosmologia cristiana dell’epoca, Oetinger aprì le porte ad una visione radicale ed animistica della natura […] Anzi, le magiche scintille raccolte dagli acchiappafulmini di Divisch fornirono ad Oetinger la prova dell’esistenza dell’anima mundi, lo spirito vivente del mondo […] Oetinger era d’accordo con i suoi compagni teologi nel credere che quando Dio modellò il fango per creare Adamo, infuse nel suo corpo uno spirito razionale. Ma per Oetinger quella polvere, quel fango, erano già animati dal fuoco elettrico, il «balsamo della natura» che permetteva al copro di guarire e rigenerarsi continuamente” (Davis, 2001, corsivo nel testo).

Siamo su un piano in cui il corpo comincia ad essere accettato, anche dai religiosi come un qualcosa da rispettare, e legittima per certi versi anche il “mesmerismo” e le ipotesi simili.

Ma c’è un’altra riflessione da fare: proseguendo nel suo discorso, Davis tira in ballo – e non poteva fare diversamente – il Mito principe fondatore della Modernità: Frankenstein, o il moderno Prometeo (Shelley, 2009), a proposito del quale scrive: “Questo tipico racconto di elettro-prometeismo, in cui l’elettricità è il ponte tra la scienza e la creazione della vita […] fu un racconto ammonitore, che partiva da una reazione romantica all’arroganza dell’Illuminismo” (ibidem).

Ma, in realtà, a parte qualche vago accenno nella parte iniziale del romanzo: “Forse un corpo poteva essere rianimato; il galvanismo aveva dato speranze in questo senso” (p. 9), “… la scarica (di un fulmine) non l’aveva spezzato, ma ridotto a un sottile involucro di legno […] Prima di questo episodio già avevo qualche nozione delle leggi elementari dell’elettricità” (p. 44), “Ma questi filosofi (i chimici) […] possono comandare ai fulmini del cielo” (p. 51), mancano riferimenti diretti all’uso dell’elettricità per dare la vita alla “creatura”.

Riferimenti che invece abbondano nei film tratti dal romanzo. Niente di strano. Nell’immaginario della Modernità, elettricità e vita sono legati indissolubilmente fra loro, dal Frankenstein in poi, a partire dal sottotitolo del romanzo: il fuoco che Prometeo donò agli uomini rubandolo agli dei assomiglia troppo al fulmine che Franklin e Diviš ingabbiano sottraendolo alla maestà di dio… E la carica di peccaminoso orgoglio, di superbia blasfema che comunque queste azioni si portano dietro rimane intatta – forse – tutt’oggi, a dimostrazione del legame che il romanzo di Mary Shelley ha non solo col Romanticismo, ma, nella sua genesi, con le riflessioni e le ricerche dei “teologi elettrici” di cui scrive Benz.

 


 

LETTURE

  Baudrillard Jean, Le strategie fatali, Feltrinelli, Milano, 2011.
Davis Erik, Techgnosis. Miti magia e misticismo nell’era dell’informazione, Ipermedium, Napoli, 2001.
Ellenberger Henri F., La scoperta dell’inconscio. Storia della psicologia dimanica, Boringhieri, Torino, 1976.
Hall A. Rupert, La rivoluzione scientifica 1550/1800, Feltrinelli, Milano, 1976.
Kuhn Thomas, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1999.
Lenin, Le cooperative sotto il socialismo, in Opere scelte, Editori Riuniti, Roma, 1965.
Shelley Wollstonecraft Mary, Frankenstein ovvero il moderno Prometeo
(in Shelley, Stoker, Stevenson, Creature dell’orrore, Einaudi, Torino, 2009).
Taylor Charles, L’età secolare, Feltrinelli, Milano, 2009.