A colloquio con lo sciamano Erik Davis

 

 

di Adolfo Fattori*

 

 

Erik Davis ha concluso il suo dottorato con una tesi su Philip K. Dick. Collabora con le riviste Wired, Gnosis, Rolling Stones e altre. In italiano ha pubblicato Techgnosis Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione, tradotto dalla Ipermedium di Napoli nel 2001. In questo affascinante e complesso saggio, Davis esplora le affinità e i legami fra l’immaginario tradizionale legato al soprannaturale e l’immaginario contemporaneo. Dal 1990 vive sulla West Coast degli Stati Uniti.

Mentre è in pubblicazione negli Stati Uniti il suo ultimo saggio, The Spiritual State A JourneyThrough California’s Spiritual Landscape, illustrato dalle foto di Michael Rauner, gli abbiamo chiesto di illustrarci il suo punto di vista sul disincanto del mondo, il suo reincanto e l’attuale statuto del sacro.

Comincerei con una domanda preliminare: per noi europei i termini sacro e secolarizzazione hanno un senso leggermente diverso da quello che gli assegnate voi americani. Vuole precisare quali sono i più forti marcatori di queste differenze dal suo punto di vista?

C’è un’idea che aleggia, ovvero che la secolarizzazione sia un aspetto inevitabile della modernizzazione. Questa idea è divenuta così stabile in parte perché è molto vera in Europa, che in pochi secoli è passata da una modalità teocratica medievale ad una società profondamente secolare. Oggi è molto difficile incontrare un professionista europeo, a parte gli intellettuali o gli artisti sofisticati, che sia religioso o persino particolarmente “spirituale”.  Persino se si considera un artista tedesco di successo come Anselm Keifer, il cui lavoro ha esplicitamente a che fare con tematiche mistiche, religiose ed esoteriche che traggono ispirazione da fonti profondamente europee, si scoprirà che questi interessi coesistono con una visione molto disincantata basata sulla scienza e sul nostro essere gettati senza senso nel mondo.

Questo semplicemente non è vero in America, e non soltanto nei cosi detti “stati rossi”, dove vivono i Cristiani conservatori. Il lato inventivo, progressivo e alla ricerca della novità della cultura americana è sempre stato legato a forze religiose e spirituali, sublimate o meno. Io vivo in California, che presenta in un certo senso una storia opposta rispetto all’Europa. Il territorio divenne stato a metà del XIX secolo, era insolitamente diverso e multiculturale, fu sempre caratterizzato dall’innovazione tecnologica e fu caratterizzato da una industrializzazione più rapida rispetto alla maggior parte degli Stati Uniti. Quindi ci si sarebbe aspettati una super secolarizzazione. Ma ciò non è vero. In realtà è vero il contrario: oltre ad aver fatto nascere alcuni forti movimenti cristiani come il Pentecostalismo, la California ha svolto un ruolo importantissimo nello sviluppo della New Age, del Misticismo contemporaneo, della traslazione delle tradizioni orientali in occidente, della ricerca del sacro attraverso il corpo. In California come ad Hollywood, il disincanto è andato sottobraccio con il ri-incantamento. Ho il sospetto che gli europei abbiano un senso più sottile, attento, incantato e storicamente informato di dove sia il sacro.

Ma questa chiarezza è accompagnata dal sospetto che la cosa stessa sia scomparsa, che il sacro sia semplicemente la rovina della cultura della coscienza. In America c’è ancora la percezione che il sacro sia accessibile – forse come altra estensione del consumismo. Ma ha anche a che fare con la terra, con il fatto che qui ci sono ancora così tanti spazi selvaggi ed aperti, o almeno relativamente selvaggi ed aperti. Così il ruolo del sacro in America può essere più rozzo e naif ma anche, forse, più energico e vivo.

Come sembra mostrare Kenneth J. Harvey nel suo The Town that Forgot how to Breathe (La città che smise di respirare, Einaudi, Torino, 2006), il dominio del sacro è stato sempre popolato di forze che potevano apparire sia rassicuranti sia inquietanti e spaventose. Ammettendo che il sacro sopravviva tuttora, in quali ambiti possiamo trovare le une e le altre?

Concordo che il sacro sopravvive oggi, ma lo fa in un modo moderno che forse lo ha totalmente trasformato. Nelle ere precedenti, il sacro esisteva al di fuori della nostra esperienza individuale, ma non sono tanto sicuro che sia ancora così, soprattutto in un senso strettamente antropologico. Ora l’oggettivamente sacro appartiene sempre all’Altro. Così il sacro oggi si scopre attraverso il sentimento, l’esperienza, le immagini fluttuanti e le energie che abitano le estremità del corpo e della mente. Ed è per questo che per molte persone le potenti esperienze “estetiche” esistono in un continuum con il sacro o le esperienze mistiche.

Così l’aspetto rassicurante, ricco e pieno di vita del sacro può essere ritrovato in molti luoghi, nella musica, nelle montagne e ei fiumi, nelle celebrazioni, nell’immobilità, nei luoghi sacri, nel gioco dell’amore. Un altro percorso è attraverso il terrore, la confusione, il perturbante. Nella mia stessa esistenza posso talvolta notare che nei miei giorni peggiori sono ancora in qualche modo vicino alle fonti ultime, il che non rende le cose più semplici!

Poiché entrambi questi percorsi verso il sacro – la luce ed il buio – esercitano un potere sulle persone, sono stati sfruttati e mercificati in vario modo – forse la parola migliore è “tecnologizzati”. Così il nostro sacro spesso sembra giacere nelle vicinanze del kitsch, di trucchi a buon mercato, dell’ingenuità. Eppure il suo richiamo continua ancora. Potete sentirlo? Di che altro avete bisogno? Ma ora arriva solo come l’ospite inatteso; non può essere forzato né ci si può contare. In questo senso, il sacro è ora più simile alla grazia o alla meraviglia, perde risonanza quando è troppo calcolato. Dipende da noi e dal tempo allo stesso modo in cui dipende dal luogo o dalla cosa. Un giorno un pozzo sacro in Cornovaglia ci può colpire in quanto sacro; un altro giorno è solo un buco fangoso circondato da superstiziosi appartenenti alla New Age che hanno necessità di ottenere un’altra vita!

 

* Traduzione dall'inglese di Angela Carcatella

 

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