tigre

DALL’AQUILA BIANCA
ALL’AQUILA DELLA NOTTE

di Vittorio Frigerio


walter molinoL’influenza di un autore non si misura esclusivamente dalla presenza dei suoi volumi sugli scaffali delle librerie o del suo nome nelle storie della letteratura. Vi sono influssi più diffusi, più impercettibili, ma nondimeno importanti, che si esercitano a vari livelli nella lingua o nella sensibilità di un popolo. Tutta la retorica di una nazione può essere marcata da un libro, come è stato il caso per l’Inghilterra con la versione della Bibbia comandata nel primo decennio del 1600 dal re Giacomo, i cui ritmi, le cui frasi ed espressioni hanno penetrato così profondamente la lingua da forgiarla quasi a nuovo, fornendo alla nazione, e per estensione alle popolazioni anglofone sparsesi per il mondo, una riserva comune di modi di dire – e per conseguenza di sensi – che le unificava attraverso i confini e attraverso il tempo. Avrebbe chiaramente un che di ridicolo pretendere per le opere di Emilio Salgari un potere di questo genere nel contesto italiano. L’autore dei Misteri della Jungla nera – ce l’hanno ripetuto a sazietà nelle scuole e nelle antologie – valeva ben poco come poeta e di sicuro non aveva il tempo, pressato com’era da contratti d’edizione stringenti e date da rispettare, di limare le sue frasi e pesare sulle bilance dello stile l’armonia dei suoi suoni. Sarebbe poco caritatevole rilevare nei suoi scritti le ripetizioni costanti, l’enfasi esagerata, i termini approssimativi e la sintassi talvolta brutale come i sentimenti d’alcuni suoi personaggi. Alla sua penna si concede volentieri un’altra magia, quella esotica che ha fatto penetrare nella lingua parole d’altri luoghi capaci d’affascinare attraverso il loro mistero; e sicuramente la poesia, in senso lato, non è affatto assente dalle sue minuziose descrizioni di lande tropicali e di foreste impenetrabili generosamente infarcite di parolone altisonanti imprestate da manuali di botanica e riviste francesi di viaggi. Non mancano le figure importanti della cultura che hanno confessato d’aver sprecato lunghe ore della loro gioventù sui libri riccamente illustrati del romanziere veronese, e d’averne tratto un nutrimento sui generis, senza peraltro riconoscere debiti letterari verso le sue opere. Vorremmo qui suggerire che esistono però anche altri generi di influenza, e che se Salgari non è stato la musa nascosta di stilisti d’eccezione e romanzieri benvoluti dalle accademie, la sua scrittura ha lasciato pur sempre tracce sparse e profonde nell’immaginazione nazionale, e in particolare, come d’altronde non poteva essere altrimenti, nell’universo della cultura di massa italiana, che gli deve sicuramente almeno altrettanto di quanto debba alle influenze pervicaci dell’industria culturale americana.

 

Per tratteggiare alcuni aspetti particolari di questa presenza salgariana diffusa nell’immaginario nazionale, proveremo qui un’escursione, breve e limitata, in un campo della cultura di massa d’origine americana dove l’influenza italiana di ritorno si è fatta sentire con particolare vigore: il western (Cfr. Manfredi, 2009, pp. 25-29). Salgari ha esplorato anche le grandi praterie dell’ovest americano, e perfino i boschi del Canada, in una serie di sette romanzi – Il Re della Prateria (1896), I Minatori dell’Alaska (1900), Avventure tra le Pelli Rosse (1900), La Sovrana del Campo d’Oro (1905), Sulle Frontiere del Far West (1908), La Scotennatrice (1909), Le Selve Ardenti (1910), oltre che in una decina di racconti (Cfr. Pozzo, 2009, pp. 19-29). È stato detto che gli inizi del fumetto western in Italia – un genere che ha riscosso sempre un enorme successo di pubblico – siano in effetti in gran parte dovuti alla disponibilità dei disegnatori ad adattare le storie salgariane, e all’interesse mostrato dai lettori:

 

“Non è un caso che il primissimo fumetto italiano di genere sia stato, nel 1935, «Ulceda, la figlia del Gran Falco della Prateria», cioè una riduzione a fumetti di un omonimo romanzo di Salgari (l’autore fu l’illustratore Guido Moroni Celsi), che non aveva certo le caratteristiche di un veritiero romanzo storico; a esso seguirono altre versioni a fumetti di altri racconti «americani» di Salgari (a opera di Rino Albertarelli) mentre storie originali ad ambientazione western, illustrate dal grande Walter Molino, trovavano spazio quasi esclusivamente su Il giornale di Salgari .”

 

dettaglio giornale

 

Se vi è tuttavia un personaggio dell’epopea del West in versione italiana il cui nome viene spontaneamente sulle labbra, non appena si evocano cavalcate e sparatorie tra tribù indiane e in saloons affollati, questo non è la Minnehaha de La scotennatrice o il Buffalo Bill de La Sovrana del Campo d’Oro, ma piuttosto il Tex Willer di Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini. È successo sovente che si ravvicini il nome di Bonelli, prolificissimo scenarista di fumetti, con quello di Salgari. Egli aveva d’altronde pubblicato negli anni Trenta dei romanzi d’avventure i cui titoli tradiscono chiaramente l’ammirazione per il romanziere veronese, come Il Crociato Nero, o Le Tigri dell’Atlantico. Sicuramente le loro opere hanno avuto una penetrazione molto simile e hanno riempito dei ruoli equivalenti di stimolo immaginativo e di escapismo esotico per età differenti, a una cinquantina d’anni di distanza l’uno dall’altro, ma anche con una sensibile coincidenza generazionale che diventa talvolta sovrapposizione. Paolo Fabbri ha notato che “Sulla derivazione di Tex dal mondo salgariano e in particolare dal Ciclo della Prateria una ricerca resta da fare” (Fabbri, 2002). In effetti, fino a che punto si può parlare di una reale influenza di Salgari sui fumetti di Bonelli al di là di qualche rassomiglianza macroscopica? Escludendo l’omaggio dichiarato di Bonelli e Galleppini all’universo salgariano che è la storia cominciata nel numero 312 della serie, Gli Strangolatori, e continuata poi nei due numeri seguenti, La Caverna dei Thugs e Labirinto Mortale, dove si vede persino un Tex col turbante, né tantomeno del personaggio della Tigre Nera, specie di Sandokan malefico che appare a varie riprese nel Tex sceneggiato da Claudio Nizzi a partire dagli anni Novanta (Cfr. Fattori, 2008, pp. 24-26).
E in che misura e con quali effetti può questa influenza essersi manifestata? 
Per provare a rispondere a queste domande occorre soffermarsi un istante su un racconto di Salgari pubblicato dapprima sotto lo pseudonimo di Guido Altieri, intitolato L’Aquila Bianca. Felice Pozzo ha già notato come questa storia fu l’oggetto di un adattamento a fumetti pubblicato nel 1941 su “Il Vittorioso” (o piuttosto, come il suo titolo e poco più sia stato ripreso per altri scopi). Pozzo rivela anche come un’altra celebre serie a fumetti degli anni Cinquanta, Kinowa, sia stata abbondantemente influenzata dalle Avventure tra le Pelli Rosse di Salgari (cit., p. 20). 

La trama del racconto è alquanto semplice e si riassume con facilità. Aquila Bianca, guerriero irochese (tribù alleata dei Francesi) viene fatto prigioniero dagli Algonchini (alleati, loro, degli Inglesi). È condannato ad essere sacrificato al palo della tortura, durante una festa dedicata ai serpenti, totem della tribù. Al momento dell’esecuzione, egli è però salvato dalla figlia del capo tribù, Girasole della Prateria, che lo richiede in sposo. 
Un’influenza possibile si può certamente ritrovare nell’Atala (1801) del visconte di Chateaubriand. Ambientato anch’esso nelle foreste del Canada, questo racconto, che marca, insieme al suo seguito René, il vero inizio del romanticismo francese, narra la storia dell’indiano Chactas, appartenente alla tribù dei Natchez, che viene fatto prigioniero di una tribù rivale. La figlia del capo di questa tribù, Atala, si invaghisce di lui e lo aiuta a fuggire. I due vanno insieme a rifugiarsi presso dei missionari. 
Alcune differenze interessanti e significative separano però queste narrazioni così simili sul piano del loro pretesto iniziale. Aquila Bianca, valoroso guerriero la cui “sola presenza bastava [...] per mettere in rotta gli avversari più audaci” (Salgari, 1971, p. 32), è sicuramente molto distante dal piagnucoloso e sentimentale eroe dello scrittore francese. Soprattutto, la sua cattura non avviene per caso, ma a seguito delle trame di un nemico, il capo Orso Nero.  Egli cade in trappola perché risponde all’appello di una traditrice, la seconda moglie di questo capo, che si presenta a lui sotto mentite spoglie e richiede l’aiuto di colui che si autodefinisce “il protettore dei deboli e delle donne” (ivi p. 35). E infine, Aquila Bianca e Girasole della Prateria non devono fuggire raminghi nella foresta come Atala e Chactas: Il tema autobiografico dell’esilio dalla propria comunità, piuttosto, è tipico di Chateaubriand, scrittore di nobile famiglia costretto a vagare per il mondo dalle conseguenze della Rivoluzione Francese. 
La loro unione suggella anche l’alleanza delle loro tribù “contro il comune nemico: l’uomo bianco” (ivi, p. 49). 
Agli inizi della pluridecennale saga di Tex Willer, si ritrova una situazione simile a quella evocata da Chateaubriand e da Salgari. Si tratta di un momento fondamentale nello sviluppo dell’eroe, che marca la sua transizione da personaggio relativamente generico – pistolero vagabondo alla Tom Mix, con i guanti bianchi, mezzo fuorilegge e mezzo ranger, senza passato e senza radici – a quel ruolo che fisserà il carattere e molti dei compiti di Tex: capo dei Navajos. 

Impegnato in un’investigazione, alla ricerca di una banda di trafficanti di armi, Tex viene fatto prigioniero dai Navajos e portato al loro campo. Nel racconto di Salgari, la prigionia dell’eroe dura vari giorni, ed è proprio questo tempo che gli permette di fare dapprima la conoscenza della figlia del capo, e poi d’innamorarsene e d’esserne amato. Il ritmo necessariamente accelerato del fumetto, dove l’azione deve dominare, preclude questo genere di sviluppo narrativo. Tex viene legato al palo immediatamente, e gli indiani si apprestano subito a torturarlo ed a ucciderlo. L’Aquila Bianca di Salgari si mostra fieramente sprezzante della sorte che l’attende, affermando “io non ho paura della morte e sono pronto a sfidarla”. Il Tex di Bonelli reagisce alla medesima situazione con parole quasi identiche: “Il viso pallido non ha mai avuto paura di morire! Ricordalo, cane rosso!” (Bonelli, Galeppini, 1960 76-3-3*). Nel racconto salgariano gli Algonchini si preparano a torturare lungamente il loro prigioniero prima d’ucciderlo. A questo fine “Dinanzi [al palo della tortura] era stato acceso un fuoco gigantesco per arrossare le lame e i ferri che dovevano servire a tormentarlo” (Salgari, p. 44). Tex non dovrà affrontare torture esplicite (la cui rappresentazione grafica non sarebbe certamente stata permessa nel contesto delle pubblicazioni per ragazzi degli anni cinquanta), e si limita a sopportare stoicamente il lancio di tomahawks, che s’infiggono sul palo a poca distanza dalla sua testa. Ciò malgrado, la storia narra che gli indiani cominciano la loro “sinistra danza della morte” solo “dopo aver acceso un gran fuoco a quattro metri dal palo” (Bonelli, Galeppini, 77-1-2), nonostante il fatto che questo fuoco non avrà alcuna funzione nello sviluppo della vicenda. In Salgari, tra i prolegomeni della tortura figura una scena dove lo stregone della tribù “si era avvicinato ad Aquila Bianca, tenendo in mano una penna tinta in un miscuglio di terra rossa e gialla e gli aveva tracciato sul nudo petto due circoli. – Le frecce degli Algonchini si pianteranno qui, – gli aveva detto” (Salgari, p. 47). Ancora una volta con rimarchevole parallelismo, seppure in modo più cruento, Bonelli propone una “cerimonia del cerchio” durante la quale “Lo stregone si avvicina a Tex e gli strappa di dosso la camicia... poi, con la punta carbonizzata di un tizzone, gli traccia un cerchio sul petto” (78-2-2/3). Gli indiani tireranno a sorte una freccia nera, che il vincitore avrà l’onore di tirare con il suo arco su questo bersaglio vivente. Dopo l’intervento in extremis di Girasole della Prateria, Aquila Bianca si dice disposto ad accettare “tua figlia che io amo e l’alleanza che tu mi offri, ma a una condizione” (Salgari, p. 49), che la perfida moglie del capo sia scacciata dal campo. Sempre facendo mostra di una simile indipendenza e di un simile sprezzo del pericolo malgrado la sua situazione più che precaria, Tex, pure lui sempre legato al palo della tortura, dopo essere stato salvato all’ultimo minuto da Lilyth, risponde all’offerta di suo padre: “Il viso pallido accetta ma... a patto che gli si spieghi perché i fratelli rossi lo hanno attaccato senza alcuna provocazione” (Bonelli, Galeppini, 80-1-1). Entrambi gli eroi significano così, ponendo condizioni, che la loro decisione non è dettata dalla paura di morire ma liberamente assunta. Salgari non dà particolari sulla cerimonia con la quale “Il giorno stesso Aquila Bianca e il gentile Girasole della Prateria si univano in matrimonio” (p. 49), mentre Bonelli non esita a mettere in scena il “patto di sangue” tra Tex e Lilyth che dà il titolo all’albo e avviene, anche quello, nel corso della stessa giornata. E se Girasole della Prateria e Aquila Bianca sono innamorati, Tex e Lilyth, dapprima, non lo sono per nulla. La fanciulla spiega all’eroe che  è intervenuta in suo favore perchè “è stata educata nella missione delle sorelle bianche di Alamosa e odia questa inutile guerra” (Bonelli, Galeppini, 80-3-2). Qui Lilyth ritrova una volta ancora l’Atala di Chateaubriand, anche lei educata cristianamente – con la differenza però che il vero amore sboccerà tra i due e vivranno (per un certo tempo) un’unione armoniosa, mentre ad Atala una concezione eccessivamente rigida della religione impedirà di trovare la felicità con colui che ama.

 

giornaleCome si è visto, le corrispondenze tra le due narrazioni sono tali e tante da rendere perlomeno verosimile come Bonelli si sia coscientemente ispirato al racconto di Salgari e alla figura di Aquila Bianca per raccontare la scena chiave della nascita di Aquila della Notte. Si può ancora rilevare che nel romanzo Sulle frontiere del Far West appare al primo capitolo il personaggio di un giovane indiano di nome Uccello della Notte. Egli, si scoprirà, è figlio di Yalla, una specie di versione in chiave belle dame sans merci di Girasole della Prateria, “una fanciulla bellissima [...] feroce come tutti quelli della sua razza, che combatteva sempre in prima fila e che si mostrava, verso i prigionieri, di una crudeltà inaudita” (Salgari, 1928, p. 15). Un personaggio molto vicino a Yalla appare d’altronde nella storia di Tex intitolata Vendetta indiana (Bonelli, Ticci, 1968). L’indiana Nashiya sfugge, cavalcando un mustang di nome Blanco, al massacro della sua tribù da parte delle truppe del colonnello Arlington, uno spietato e borioso ufficiale di carriera che Tex descrive come un “individuo privo d’esperienza e accecato dall’ambizione e dalla presunzione” (ivi, 74-3-2). Arlington perderà il suo grado grazie all’intervento di Tex e sarà poi crudelmente ucciso da Nashiya per vendicare la morte dei suoi. Sulle frontiere del Far West metteva in scena il celebre massacro avvenuto il 29 settembre 1864 a Sand Creek per mano delle truppe del colonnello Chivington – di cui Arlington è chiaramente uno pseudonimo esplicito – dove, ci dice Salgari, “il sanguinario ha perduto il suo onore ed anche il suo grado” (ivi, p. 209). Il cavallo di Uccello della Notte, il figlio diYalla, è guarda caso “un meraviglioso quadrupede tutto bianco” (p. 13) che dà anche il titolo al secondo capitolo, “Il grande cavallo bianco”. Infine, val la pena di rilevare che nel romanzo di Salgari il sakem dei Corvi, secondo marito di Yalla, si chiama Nuvola Rossa, mentre nell’avventura di Tex Nuvola Rossa è il padre di Nashiya. Al di là di queste analogie perlomeno singolari se fossero dovute unicamente al caso, e delle quali una lettura più approfondita dei due autori riuscirebbe senza dubbio a scovarne altre, si potrebbe allargare il discorso alla presenza nell’universo di Tex di una sensibilità e di temi che lo avvicinano anche in altri modi al romanziere veronese di fine Ottocento. L’anticolonialismo salgariano e le battaglie dei pirati malesi contro la dominazione inglese hanno più di un’aria di famiglia con il ruolo del ranger che si mette alla testa “di quegli indiani che i visi pallidi vogliono sterminare” (Il Patto di sangue 76-2-2) e li guida varie volte in lotte senza speranza contro le forze nettamente superiori dell’esercito americano, come anche in Sangue navajo e Guerriglia (Bonelli, Galeppini, Muzzi, 1965), Grido di guerra e La vendetta di Tiger Jack (Nolitta, Galeppini, 1984 Nolitta, Galeppini, Fusco 1984) e ad altri ancora. 

Il rapporto con la natura, fondamentale in Salgari, occupa anche un grande spazio nelle storie di Tex, personaggio che risiede malvolentieri nelle città e preferisce sempre di gran lunga un bivacco a cielo aperto, o la sua tenda nel villaggio Navajo, a una comoda camera d’hotel (dove peraltro diventa troppo spesso il bersaglio d’assassini). Il mondo salgariano, come quello di Tex, è anche privo d’ogni idea di religione. Si sa che tipo di personaggi siano i suoi bramini, unici rappresentanti d’una fede qualsiasi che risaltino nei suoi romanzi. In modo essenzialmente simile, la fede dei pionieri, forza notevole nel West storico, rimane totalmente invisibile nelle avventure del ranger, dove non appaiono mai né chiese né preti, ma solo sette sanguinarie, stregoni infidi o mormoni barbuti e fanatici. Il rifiuto dell’autorità superiore e l’esigenza di farsi giustizia da sè sono altri punti importanti in comune tra gli eroi di Salgari e quello di Bonelli. Sandokan regna sulla sua Mompracem come Tex nella sua riserva, e la giustizia spiccia che elargiscono non sa che farsene di regole sociali condivise, ma si basa esclusivamente su una nozione di legge superiore a qualsiasi regolamento, di cui l’eroe si fa autonomamente l’interprete. Sia Salgari che Bonelli hanno saputo offrire “una rappresentazione del West che entusiasmava, nonostante sviste madornali” (Pozzo, cit.) (o forse talvolta grazie ad esse), ed è sicuramente più che legittimo affermare che la saga di Tex è intrisa di “… quell’immaginario avventuroso ottocentesco, distribuito fra Verne e Salgari, che è alla base di gran parte dell’immaginario figurativo del Novecento – nei fumetti e nel cinema” (Fattori, cit., p. 25). Speriamo di esser riusciti a mostrare con questa breve lettura di una scena capitale nella formazione del personaggio di Tex Willer, che i rapporti tra il romanziere veronese e il fumettista milanese sono in realtà ancora più solidi che se fossero semplicemente dovuti all’assorbimento, da parte di Bonelli, di un’air du temps abbondantemente pervasa di vibrazioni salgariane. Ci auguriamo al contempo d’aver potuto mostrare uno dei tanti modi in cui la sensibilità di Salgari continua a rivelarsi determinante nella cultura popolare dei nostri giorni.

 


* I riferimenti al fumetto indicano dapprima il numero della pagina, poi quello della striscia, e infine quello della vignetta.

 

LETTURE

× Fabbri P., “De Tex fabula narratur”, in I. Pezzini (a cura di), Saggi per Alberto Abruzzese, Sossella, Roma, 2002, www.paolofabbri.it/articoli/tex.html (Consultato il 7 febbraio 2011).

× Fattori A., Per il West, oltre il tramonto, Cagliostro E-press, Cassino, 2008.

× Manfredi G., “L’invenzione del West”, in Il Corsaronero 9, Marzo 2009.

× Milani A., “Alla riconquista del West”: erewhon.ticonuno.it/primavera2005/west.htm; (consultato il 7 febbraio 2011).

× Pozzo F., “Il Far West nei romanzi di Emilio Salgari: volti, luoghi, paesaggi”, in Il profumo della prateria. Il Far West in Emilio Salgari e dintorni, (Atti del Convegno), Udine, 2009.

× Salgari E., Sulle frontiere del Far West. Bemporad, Firenze, 1928.

× Salgari E., Avventure di prateria, di giungla e di mare, Einaudi, Torino, 1971.


VISIONI

× Bonelli G. L., Galleppini A., Tex Gigante n. 7, 1/1960.

× Bonelli G. L., Galleppini A., Muzzi V., Tex Gigante n. 51, 1/1965.

× Bonelli G. L., Galleppini A., Tex Gigante n. 52, 2/1965.

× Bonelli G. L., Ticci G., Tex Gigante n. 91, 5/1968.

× Nolitta G., Galleppini A., Tex Gigante n. 288, 10/1984.

× Nolitta G., Galleppini A., Fusco F., Tex Gigante n. 289, 11/1984.