Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline


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  [MIAMI]
di
Stefano Bory


È Miami che ospita il James Bond “conneryano” di Goldfinger (Hamilton, 1964) e Thunderball (Young, 1964), cosí come il primo Ace Ventura (Shadyac, 1994). Ma soprattutto è la città di Miami Vice (Yerkovitch, 1984-1986), serie poliziesca fondamentale dell’immaginario anni Ottanta, prodotta da Michael Mann, con la coppia di sbirri antidroga più riuscita e più realistica della storia della fiction seriale a stelle e strisce. In effetti, quello poliziesco può essere considerato come il vero filo rosso della produzione filmica su questa città. Passando da agenti segreti a poliziotti di città, a volte duri ed in borghese (come nel primo e secondo Badboys, Bay, 1995 e 2003), a volte ridicoli ed in divisa ( si pensi al genere Scuola di Polizia, anch’esso ambientato nella “porta delle Americhe”, ed al più nostrano Miami Supercops (Corbucci, 1985) con la coppia Bud Spencer-terence Hill). Questa tendenza continua, perché Miami è una realtà fatta di contraddizioni, di opposizioni convergenti, dove ai piaceri ed ai vizi consumistici alla luce del giorno fanno eco violenze ed anomie nell’oscurità della notte. Una recente serie televisiva ne dà testimonianza. Tutto nasce, come molto spesso accade, da un romanzo. Jeff Lindsay, scrittore e marito di Hillary Hemingway (nipote di Ernst Hemingway, ed anch’ella scrittrice), dopo quattro romanzi tra il fantastico e il fantascientifico si dà al poliziesco con un romanzo che, uscito nel 2004, ottiene un discreto successo: Darkly Dreaming Dexter. Il personaggio piace, l’anno successivo Dearly Devoted Dexter esce nelle librerie americane, seguito da Dexter by Design nel 2007. Il personaggio piace, appunto. E quando un personaggio piace lo si riadatta spesso sullo schermo, sia quello grande che quello piccolo. Questa volta, la serialità narrativa spinge, per coerenza narrativa, verso quella televisiva. Nasce Dexter: tre stagioni da dodici episodi ciascuna trasmesse a partire dal 2006 negli Stati Uniti. 
Il contesto non é nuovo, siamo nella “muy caliente” Miami, dove un reparto anticrimine di polizia deve far fronte ai numerosi omicidi che vi hanno luogo. Dexter, figlio adottivo di un dignitoso e rispettato poliziotto oramai defunto, vi lavora – insieme alla sorella – come specialista in proiezioni di sangue. Sulle orme di C.S.I., ma con un’attenzione meno pronunciata per gli aspetti tecnico-scientifici, questa squadra di polizia indaga con successi alterni su una popolazione di assassini più o meno occasionali. Attraverso le forme e le distanze che il sangue presenta sul luogo del crimine, con spirito gestaltiano Dexter permette di ricostruire gli eventi, ricomporre i movimenti delle colluttazioni, identificare i corpi contundenti, calcolarne le durate e la distanza nel tempo rispetto all’osservazione. Il sangue parla, più di quanto si potrebbe immaginare. Ma fin qui, ancora niente di particolarmente nuovo. Fuori dal lavoro, Dexter non potrebbe condurre una vita più normale: come molti a Miami, possiede una barca su cui passa buona parte del suo tempo libero; ha una compagna già madre di due figli con cui intrattiene una relazione alquanto monotona; con i colleghi beve di tanto in tanto una birra e gioca a bowling. Insomma, socialmente parlando, Dexter è un tipico uomo medio americano.


 
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