Un numero speciale, una donna fuori dal comune e una dozzina di cartoline


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  [BARCELLONA]
di
Livio Santoro


 
Carrer de Còrsega, incrocio con Carrer de Padilla. A Barcellona c’è un bar, uno degli innumerevoli bar della città catalana. Pochi clienti perlopiù anzianotti, sguaiati, intenti a deglutire dozzine e dozzine di cañas. Una pittoresca esposizione di vivande stantie e visibilmente ammuffite fa il paio con qualche ragnatela e i lampadari polverosi. Un’immagine che forse stride con quella che si ha facendo solo pochi passi, scendendo verso Carrer de Provença, dove si impone immobile il profilo immenso della Sagrada Familia. Allora, nell’immediato, appare un’altra Barcellona, quella dei turisti che rimbalzano e che consumano, col naso all’insù a cercare di scorgere fino all’ultimo particolare della basilica. Mandrie di inglesotti alticci, diligenti gruppi di ordinati giapponesi e gl’immancabili chiassosi italiani che si divertono nell’aggiungere una esse alla fine di ogni parola, tutti tremendamente conformi agli stereotipi che di loro si raccontano. È un’altra Barcellona questa, una Barcellona da esportazione. Nonostante l’ombra della Sagrada Familia, per quanto si estenda anche attraverso l’Europa e più lontano, oltreoceano, non sia altro che la più intima sostanza di una città alle prese con la sua storia più recente.
L’Architetto di Dio, così i catalani chiamano Antoni Gaudì, e questo non solo per aver accompagnato l’innalzamento della casa della Sacra Famiglia. Le diverse anime di Barcellona convivono a braccetto sotto l’orizzonte della Sagrada Familia, si sfiorano e si accompagnano in quel gioco di colori, di regolarità e di storture giocato alternativamente da due giocatori: una volta dal modernismo, una volta dal razionalismo. È la storia dell’alternarsi dei rigidi dettami dell’abitare nazionalista e del caleidoscopico sentire delle visioni altocelesti dell’arte.
Non c’era che verde e vegetazione attorno ai luoghi in cui ora sorge la Sagrada, le case, lontane, giù al Barri Gòtic, al Born ed al Raval, verso il mare, intorno al porto della Barceloneta, ma quella è la Ciutat Vella. Attorno alla basilica solo verde, campagne e greggi al pascolo, nulla che facesse presupporre a quello scacchiere regolare, fatto di quadrati tutti uguali a susseguirsi l’un l’altro nell’assenza generale di qualsiasi facile ed immediato riferimento. Perché bisogna aver visto e rivisto quelle strade per riconoscerle, per sapere a quale angolo svoltare, per trovare la via di casa. Ecco perché i barcellonesi, quando gli si chiede dove abitano, se abitano nella parte alta della città, rispondono “Còrsega con Padilla”, oppure “Castillejos con Rossellò”, perché indicano l’incrocio di due strade lunghissime, orizzontali e drittissime, così lunghe e dritte che non se ne vede la fine, oscurata dalla linea curva dell’orizzonte. Si potrebbe camminare per lunghi chilometri, e supporre di non essersi mossi.


 
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