VISIONI / ALICE NELLE CITTÀ


di Wim Wenders / Ripley's Home Video, 2015


 

Fanciulla in fiore tra due mondi


di Andrea Sanseverino

 

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Nel 1993 esce nelle sale Così lontano così vicino, ambizioso sequel de Il cielo sopra Berlino, uno dei film più noti e premiati dal consenso di critica e pubblico del regista Wim Wenders, il quale ebbe in serbo per gli affezionati del suo cinema una sorpresa velata di nostalgia: far comparire insieme in una breve scena Rüdiger Vogler e Yella Rottländer, interpreti dei rispettivi ruoli del giornalista e della bambina in Alice nelle città, portato sul grande schermo esattamente venti anni prima. Yella aveva allora solo otto anni ed era già al secondo film con il regista tedesco. Il primo e terzo lungometraggio del regista fu la trasposizione cinematografica di un classico della letteratura nordamericana, La lettera scarlatta (1973) di Nathaniel Hawthorne, in cui compare anche Rüdiger Vogler in un ruolo minore, quello di un marinaio.

Alice nelle città è il primo capitolo di quella che è ricordata, con Falso movimento (1975) e Nel corso del tempo (1976), come la trilogia della strada, sebbene quello del viaggio, così come quello del ritorno, siano temi molto presenti nella filmografia wendersiana, e inevitabilmente, uno dei generi più frequentati dal regista sia proprio il road movie. L’attrazione nei riguardi di questa tipologia di racconto è forse conseguenza del forte fascino su di lui esercitato da parte del paese che ha maggiormente valorizzato il genere, ossia gli Stati Uniti, una sorta di patria adottiva per il regista. Del resto, la Germania della sua adolescenza, quella occidentale di Konrad Adenauer, può per certi versi identificarsi in una colonia politica e culturale degli Usa, dove ha origine anche il rock‘n’roll, “la sola alternativa a Beethoven” (Spagnoletti, 1978), come Wenders definì, durante un’intervista negli anni Settanta, quei ritmi diegeticamente presenti in Alice nelle città: il bambino appoggiato a un juke-box in un bar di Wuppertal che ascolta On the Road Again del gruppo californiano dei Canned Heat è forse l’emblema di questo debito nutrito nei riguardi dell’America, per quel che concerne la sua formazione e, allo stesso tempo, testimone delle sue preferenze. 

Il dettaglio della macchina da presa che scova su un giornale la notizia della morte di John Ford, è, a sua volta, ulteriore indizio di una filiazione di Wenders e del movimento artistico di cui aveva fatto parte, il Neuer Deutscher Film, dai maestri del nuovo continente. Sebbene il regista di Düsseldorf abbia tratto più ispirazione da Nicholas Ray e Samuel Fuller che dall’autore di Ombre rosse, per quanto riguarda gli Stati Uniti, e, in generale, da Yasujirō Ozu, la cui essenzialità narrativa sorregge quello sguardo fenomenologico esaltato dal primo Wenders, questi appartiene a una generazione che, nella settima arte come altrove, non ebbe padri in patria ai quali rivolgersi, compromessi con gli scellerati progetti di Goebbels, se non a quei tedeschi come Billy Wilder o al viennese Fritz Lang che proprio negli Usa trovarono riparo e tanta fortuna. Considerando tali premesse, non risulta del tutto insolito che la pellicola d’esordio della trilogia avvenga negli Stati Uniti, seguendo un percorso che da New York City, originariamente la Nuova Amsterdam, porti i protagonisti nella Amsterdam del vecchio continente, dove i due atterrano per poi raggiungere la Germania Federale, spartiacque fra il regime nazista e quella nata attraverso la riunificazione con la ex Germania dell’Est.

Quanto ai personaggi principali, da un lato c’è Felix Winter (cognome ricorrente nella filmografia di Wenders), un giornalista inconcludente che ama scattare foto con la Polaroid invece di mettere su carta le proprie riflessioni, e, dall’altro c’è Alice, una bambina curiosa e a suo modo pratica, al seguito di una madre confusa. La storia, raccontata secondo i tratti distintivi dell’antinarrazione, tipica dei lavori del primo Wenders, dà modo a questi di sondare quei temi che ritroviamo in successive pellicole: ricordiamo, tra i tanti, il confronto uomo-donna (si pensi agli incontri di Felix con le donne durante il suo girovagare, compresa Lisa, la madre di Alice), quello uomo-paesaggio (l’ultimo ingaggio incompiuto da Felix è, tra l’altro, quello di scrivere un libro che abbia come oggetto il territorio americano) e quello personaggio-immagini, che, a sua volta, sottende il rapporto che lega l’autore con il proprio tentativo di rappresentazione del mondo e della realtà. 

A tal proposito, qualche riflessione nasce dall’abitudine di Felix di utilizzare l’inseparabile Polaroid. Tra le macchine fotografiche tradizionali, legate alla ineluttabile separazione tra lo scatto e lo sviluppo e, di conseguenza, a una smaniosa attesa, e le attuali fotocamere, che, di fatto, azzerano quell’intervallo, e quell’attesa, c’è (stata) la Polaroid, che deve la propria particolarità nella storia della rappresentazione bidimensionale della realtà al suo stesso procedimento, basato sull’intervento di rapidissime sostanze sviluppatrici agenti in un apparecchio in cui è già presente la carta fotosensibile. Una delle sue caratteristiche, oltre all’assenza di terzi per lo sviluppo delle foto, è nell’impossibilità della propria duplicazione: i suoi scatti s’accostano, dunque, ai manufatti dell’arte pittorica e, seguendo le linee del pensiero di Walter Benjamin, costituiscono un tentativo di recupero dell’aura sempre più smarrita col dilagare dei mezzi di riproducibilità tecnica dell’opera d’arte (cfr. D’Angelo, 1995).

La Polaroid, la stessa che più tardi Wenders lascerà maneggiare a un'altra figura inquieta della sulla filmografia, ossia quel Tom Ripley de L’amico americano che il regista tedesco ritaglia dalla fantasia di Patricia Highsmith, si rivela uno formidabile medium per avvicinarsi alle cose del mondo e per separarsi, allo stesso tempo, da esse, ma sarà il fortuito incontro con la piccola Alice ad offrire a Felix una nuova prospettiva per confrontarsi con la realtà che lo circonda, della quale non sa più scrivere, una realtà che evolve col mutare di uno scenario che i due protagonisti attraversano nelle maniere più diverse. Ai consueti mezzi di trasporto (autobus, automobili e treni) si aggiungono i traghetti che solcano canali olandesi e fiumi tedeschi e persino una teleferica, la Wuppertaler Schwebebahn. Con Alice nelle città ha inizio un percorso, è il caso di dire, che trova compimento nell’ultimo capitolo della trilogia, Im Lauf der Zeit, dove il camion di Bruno (un altro Winter), in cui trova ospitalità l’altro protagonista, Robert, si identifica con l’abitazione, recuperando le caratteristiche del destriero, un tempo veicolo, casa e compagno di viaggio della tradizionale figura del nomade (cfr. Antoccia, 1994).

Vent’anni dopo, ancora un altro Winter, il detective Philip stavolta, si aggirerà in un paese che ha rimesso insieme le due Germanie e le due Berlino, e nella città della Siegessäule anche lui, come gran parte dei personaggi di Così lontano così vicino, avrà il suo angelo custode che ha il volto e il corpo di una Alice ormai donna. Un anno dopo, un’altra declinazione di Philip Winter, stavolta abile tecnico del suono, protagonista di Lisbon Story (1994), si lascerà trascinare con la sua gamba rotta dai ragazzini portoghesi per le vie della capitale lusitana, raggiunta attraverso un rocambolesco viaggio in auto, in cui, dice: “sembra che l'Europa si sia fatta davvero molto piccola. Cambiano le lingue, la musica, le notizie sono diverse, ma i panorami parlano lo stesso linguaggio. Raccontano tutti le stesse storie di un vecchio continente pieno delle sue guerre e delle sue tregue. È bello guidare così senza pensare a niente, lasciando che le vicende e i fantasmi della storia […] vengano incontro da un’epoca all’altra”.

 


 

ASCOLTI

  Canned Heat, On The Road Again (compilation), Pegasus Entertainment, 2012.

 

LETTURE

Luca Antoccia, Il viaggio nel cinema di Wim Wenders, Dedalo, Bari, 1994.
Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino, 2000.
Filippo D’Angelo, Wim Wenders, Il Castoro, Milano, 1995.
Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, Crescere, Varese, 2014.
Patricia Highsmith, L’amico americano, Bompiani, Milano, 2002.
Giovanni Spagnoletti, Nove film del cinema tedesco (1970-1976), Imola, Galeati, 1978.
 

VISIONI

Wim Wenders, Falso movimento, Ripley's Home Video, 2009.
Wim Wenders, Nel corso del tempo, Terminal Video, 2009.
Wim Wenders, Lisbon Story, Dall'Angelo Pictures, 2011.
Wim Wenders, L’amico americano, Terminal Video, 2012.
Wim Wenders, Il cielo sopra Berlino, Ripley's Home Video, 2015.
Wim Wenders, Così lontano così vicino, Ripley's Home Video, 2016.