LETTURE / COMPONIBILE 62


 di Julio Cortázar / Sur, Roma / 2015 / pp. 316, € 16


 

Finzioni, istruzioni per il montaggio


di Anna Boccuti

 

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62: è ormai ora che ti spieghi il facilissimo enigma, non è il caso che Sara continui ad avere visioni all'angolo tra Piedras e Garay, of all places, né che tu ti laceri l'endoderma rigirando le cifre e andando a cercare nella Genesi, visto che il posto dove devi andare a cercare è semplicemente Il gioco del mondo e dare uno sguardo al capitolo... 62. Lì troverai un'ipotesi di lavoro che, rather dubiously, ho tentato di materializzare in un nuovo libro” (Cortázar, 2000).

Il “nuovo libro” di cui Julio Cortázar scrive in una lettera dell'ottobre del 1966 a Francisco – Paco – Porrúa, l'editore a cui si deve, tra le altre, la pubblicazione di Il gioco del mondo (1963), è Componibile 62, edito in Italia nel 1970 per i tipi di Einaudi e ristampato dalla casa editrice Sur, che ha affidato a Giulia Zavagna l'aggiornamento della traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini. 

Un romanzo coraggioso ed ermetico sin dal titolo, che in spagnolo doveva inizialmente essere soltanto 62 ma che, nel febbraio del '68, ormai in prossimità della pubblicazione, Cortazar avrebbe deciso di accompagnare con un sottotitolo esplicativo, “un sottotitolo che risponde esattamente alla struttura del libro: Modelo para armar” (ibidem). 

Un libro che va montato, dunque, un componibile, per l'appunto, come componibili e scomponibili erano pure gli altri suoi libri miscellanei di quegli anni di intensa sperimentazione, Il giro del giorno in ottanta mondi (uscito nel 1967), oppure Ultimo round (del 1969): qui venivano infatti riuniti testi eterogenei, poesie, frammenti, racconti, ma anche foto, illustrazioni, riproduzioni di manifesti, e dalla loro giustapposizione, dalla loro libera associazione, una pagina dopo l'altra scaturivano inediti e luminosi significati. 

Del resto, il lettore familiare con la letteratura di Cortázar sa bene che questa tensione verso la disgregazione della forma convenzionale percorre tutta l'opera dello scrittore argentino, che effettivamente si dedicò a una molteplicità di generi letterari – poesia, racconto, microtesti, fumetti – senza preoccupazione per le etichette e le classificazioni. Per il nostro autore, infatti, la letteratura è il terreno privilegiato di una continua invenzione, di una rivoluzione che deve procedere senza soluzione di continuità dal livello retorico e formale a quello più prettamente umano, come aveva già ampiamente teorizzato e messo in pratica attraverso le creazioni linguistiche e formali fortemente ludiche del suo romanzo più celebre, Il gioco del mondo. Romanzo che si può leggere in più maniere, saltando da un capitolo all'altro secondo le indicazioni dell'autore, oppure no, seguire nell'ordine cronologico con cui sono disposti i capitoli, Il gioco del mondo è in realtà un romanzo totale sull'amore, sulla ricerca esistenziale, sulle vie di accesso alla pienezza dell'essere e sul potere della letteratura, che però nega la forma romanzo stessa, un anti-romanzo – come altri in quegli anni Sessanta di vivaci sperimentazioni nel continente latinoamericano – che racchiude tutta la filosofia di Cortázar e tutta la sua concezione della letteratura, espressa tramite le riflessioni di Morelli, una sorta di alter ego dello scrittore argentino. C'è senz'altro una contiguità tra questo romanzo e Componibile 62 (benché quest'ultimo non sia in nessun modo una prosecuzione di Il gioco del mondo, come qualcuno ha asserito), un'affinità innegabile nelle atmosfere e nella caratterizzazione dei personaggi, delle risonanze nel linguaggio e nelle ossessioni... Protagonista di Componibile è un gruppo di amici, legati l'uno all'altro da amori diversamente frustrati ma ciascuno accompagnato dal proprio “paredro”, termine inventato con cui si designa quello del gruppo con cui si stabilisce uno speciale, seppur temporaneo, sodalizio. Juan, Hélène, Marrast, Nicole, Tell, Calac, Polanco, Celia, Feuille Morte hanno scelto il rifiuto della serietà e lo praticano non solo nelle loro avventure bizzarre, ma anche nell'invenzione di una sorta di gergo umoristico, una lingua immaginaria che sfocia in dialoghi tanto esilaranti quanto assurdi: 

“«Di tutte le persone che conosco lei è il più cronco», dice Calac. / «E lei è il più petiforro», dice Polanco. «Lei dà del cronco a me, ma si vede che non ha mai snuffiato il muso in uno specchio». / «Lei vuole sfrugliarmi, avanti, lo dica», dice Calac. / I due si snuffiano con una gulga tremenda” (Cortázar, 2015).

Come in Il gioco del mondo, il ludico è l'antidoto alle convenzioni routinarie, è la risposta al non-sense cui è destinato a naufragare ogni tentativo di decifrazione, di costruzione di un senso univoco, che viene tuttavia strenuamente, ossessivamente perseguito. Tale impossibilità viene in Componibile 62 esibita a tutti i livelli del testo, sia nelle scelte formali che nella logica narrativa, come Morelli-Cortázar aveva auspicato. 

Nel capitolo 62 di Il gioco del mondo, infatti, Morelli-Cortázar traccia la fisionomia del libro futuro, sogna una letteratura in cui “comportamenti standard […] sarebbero inesplicabili con gli strumenti psicologici correnti. Gli attori sembrerebbero privi di senno o completamente idioti. […] Tutto sarebbe come un'irrequietezza, un'inquietudine, una lacerazione continua, un campo in cui la causalità psicologica cederebbe sconcertata” (Cortázar, 2002).

E in effetti, irrequietezza e sconcerto si scatenano nel lettore sin dalla prima pagina del libro di cui stiamo parlando: il lungo monologo interiore di Juan, uno dei protagonisti e narratori, procede liberamente di associazione in associazione a partire dalle immagini destate in lui dall'ordinazione di uno dei clienti del Polidori, ristorante dove sta trascorrendo la notte di Natale: uno “chateau saignant”. Come in altre opere di Cortázar, il linguaggio e la sua polisemia creano una realtà dentro la realtà: l'abbreviazione di “chateaubriand”, termine con cui si designa un tipo di bistecca e la parola che indica la preferenza per la cottura al sangue – malamente tradotta – danno vita allo scenario macabro di un castello insanguinato, legato alla vicenda di un altro dei personaggi, Frau Marta: 

“Impossibile separare le parti, il sentimento frammentario del libro, la contessa, il Polidor, il castello insanguinato, magari anche la bottiglia di Sylvaner […] la richiesta del cliente corpulento […] imponeva di domandarsi se l'aver dato un'occhiata distratta al libro di Michel Butor un secondo prima di sentire la voce che chiedeva un castello insanguinato non avesse stabilito un'accettabile relazione causale, o se non avendo aperto il libro e non essendo incappato nel nome dell'autore di Atala, la richiesta del cliente corpulento sarebbe ugualmente risuonata nel ristorante Polidor per agglutinare gli elementi isolati o successivi invece di mescolarsi anodinamente con tante altre voci e mormorii nel letargo distratto di quell'uomo che beveva Sylvaner” (Cortázar, 2015).

Questo è il primo e più suggestivo esempio della dissoluzione della logica causa-effetto attuata da Cortázar in Componibile, che viene ottenuta e amplificata mediante temerarie strategie narrative: l'abbandono del ruolo autoriale – Juan, Tell, Nicole, Marrast, Calac, Polanco, Hélène sono di volta in volta narratori in prima persona e oggetto della narrazione – il dilagare delle magmatiche elucubrazioni dei personaggi e dei loro flussi di coscienza interiori, la moltiplicazione dei luoghi in cui si svolge l'azione – Londra, Vienna, Parigi, Buenos Aires, è la stessa cosa – e solo lo spazio bianco segnala il passaggio da un luogo a un altro, da un narratore a un altro, da una situazione all'altra. 

Non che non sia possibile dipanare una storia, anzi, più storie, che procedono parallelamente quasi in modo rapsodico, intersecandosi in modo aleatorio l'una con l'altra nella narrazione (la vicenda di un amore fallito e impossibile, una storia di vampirismo, il naufragio in uno stagno, una cospirazione di nevrotici anonimi, l’inaugurazione di una statua di Vercingetorige alla rovescia), tuttavia il cuore pulsante del romanzo risiede altrove. Forse in quegli anfratti che al lettore non è dato conoscere: la zona dalla natura onirica – la Città – che ai protagonisti può soltanto accadere, indipendentemente dalla loro volontà, e dove succedono incontri, amori, omicidi (altra realtà dentro la realtà). Forse in quella ricerca del senso che si nega, “dimostrazione di come una volta ancora il prima e il dopo gli si frantumavano fra le mani” (Cortázar, 2015) così cortazariana, ma che ciascun lettore può cercare di ricomporre assemblando come meglio crede le parti del romanzo. Forse, ancora, nell'ambizioso tentativo di costruire un racconto facendo saltare in aria la narrazione stessa, sempre insufficiente, sempre falsificatrice: 

“Ma raccontare, tu lo sai, sarebbe mettere ordine come chi imbalsama gli uccelli, e poi nella zona lo sanno e il primo a sorriderne sarebbe il mio paredro, il primo a sbadigliare sarebbe Polanco, e anche tu, Hélène, quando al posto del tuo nome cominciassi a metter anelli di fumo o immagini di parole” (ibidem).

E allora, alle consuetudini del discorso narrativo, subentrano le frasi lasciate intenzionalmente inconcluse e quindi aperte (secondo un gioco inventato da uno del gruppo e poi ripreso dagli altri), le enumerazioni barocche (specialmente per l'amore), la potente evocazione della poesia, la moltiplicazione delle lingue e dei linguaggi, il tutto denso e vibrante del più cortazariano degli accenti.

Certo, Componibile non è un libro per tutti: per quanto abbiamo detto finora, si tratta di una lettura ostica, a tratti disturbante, se ci si pone in una logica tradizionale e si cerca di “capire” cosa stia succedendo (difatti il volume non ebbe grande accoglienza alla sua prima uscita). La dissoluzione a cui assistiamo è duplice (la struttura del romanzo, l'articolazione del linguaggio), se non triplice (la sintassi narrativa, ossia la logica degli eventi), pertanto appare meno gestibile di altri libri “componibili” di Cortázar. Eppure, dopo le prime resistenze – lo sconcerto, l'irrequietezza di cui si parlava prima – il lettore disposto a mettersi in gioco finisce per abbandonarsi all'atmosfera onirica e irreale in cui si muovono i protagonisti, vagando come loro nei meandri della Città, trasformato a sua volta in paredro dell'autore e in protagonista della propria esplorazione dei territori componibili del romanzo. 

 


 

LETTURE

  Julio Cortázar, Cartas (1964 1968), a cura di Aurora Bernárdez, Alfaguara, Madrid, 2000.
  Julio Cortázar, Il gioco del mondo, Einaudi, Torino, 2002.
  Julio Cortázar, Il giro del giorno in ottanta mondi, Alet, Padova, 2006.
  Julio Cortázar, Ultimo Round, Alet, Padova 2007.