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di Roberto Paura

 

La prima attrazione che John Hammond aveva realizzato nella sua carriera imprenditoriale era un circo delle pulci a Petticot Lane, a Londra. Così l’eccentrico miliardario nato dalla fantasia di Michael Crichton ma trasformato in icona dal film di Steven Spielberg racconta i suoi esordi in una bizzarra scena in cui mangia gelato mentre i visitatori del suo Jurassic Park stanno lottando contro la morte. In quella scena, senz’altro la più riuscita di un film che ha fatto la storia del cinema e dell’immaginario legato ai dinosauri, Spielberg tratteggia tutta la portata dello scontro titanico – meglio, prometeico – tra i dinosauri e l’uomo. Hammond ha messo su un parco di divertimenti trasformando i dinosauri in attrazioni turistiche, con tanto di merchandising (magliette, cappelli, pupazzi fanno bella mostra di sé nel centro visitatori). Ma le creature riportate in vita dall’ingegneria genetica sono sfuggite al controllo dell’uomo, si sono ribellate rispondendo al richiamo della natura. È la paleobotanica Ellie Sattler a chiarirlo: “È ancora un circo delle pulci, John! È tutta un’illusione. Non avete mai avuto il controllo, questa è l’illusione. Sono stata abbagliata dalle potenzialità di questo parco, ma ho commesso un errore anch’io: non ho avuto rispetto di quelle potenzialità e ora si sono scatenate”. 
Il messaggio di Crichton, come in quasi tutti i suoi romanzi, sta proprio in questo: nella mancanza di rispetto dell’uomo per la forza della natura, che una volta liberata è impossibile domare; non un messaggio luddista – Crichton era un medico, uno scienziato – ma a favore del principio di precauzione che troppo spesso la scienza ha sottovalutato, da Hiroshima a oggi. L’irresponsabilità di Hammond, che ha fondato la InGen, un’azienda di biotecnologie, per trovare il modo di riportare in vita i dinosauri attraverso la clonazione, è quella di voler imbrigliare la forza della natura incarnata nei dinosauri attraverso la più improbabile delle soluzioni: chiudendoli in un parco a tema. Ecco che i dinosauri irrompono nel tardo XX secolo della civiltà umana contemporanea. In che altro modo, dopotutto, potremmo utilizzarli, se non come attrazioni in un mondo vittima della gamification, come si dice oggi? Beniamini di ogni bambino, i dinosauri rappresentano la versione scientifica di Topolino. Così, se esiste Disneyland, un parco a tema dedicato al mondo di Topolino, perché non avere anche un Jurassic Park? La differenza la sottolinea Ian Malcom in un dialogo del film: “Quando aprirono Disneyland, nel 1956, non funzionava niente”, si difende Hammond. E Malcom, tranchant: “Sì, ma se il villaggio dei caraibi va in tilt, i pirati mica si mangiano i turisti!”.

 

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La differenza sta insomma nel fatto che i dinosauri sono animali veri, a differenza di Topolino. Il che fa pensare. Siamo abituati a vedere scheletri di dinosauro nei musei, ricostruzioni più o meno realistiche nei libri, apparizioni di ogni tipo al cinema o in televisione, ma raramente ci soffermiamo sulla loro reale esistenza. Le loro sembianze mostruose li rendono più simili a creature fantasiose e aliene. E invece è proprio il loro essere reali a costituire il problema che farà fallire l’ambizioso progetto di Hammond di un parco a tema con dinosauri. 
In un brano molto importante del romanzo di Crichton, il genetista capo della InGen, Henry Wu, fa visita ad Hammond per proporgli una versione 4.4 degli animali del parco. “In questo momento, John, ci si presenta un’occasione unica. Perché per ora quasi nessuno al mondo ha mai visto un dinosauro in carne e ossa. Nessuno sa che aspetto avessero veramente”, ragiona Wu. “I dinosauri che abbiamo adesso sono veri, ma in qualche modo sono deludenti. Poco credibili. Potremmo migliorarli”. Di fronte alle perplessità di Hammond, Wu si spiega meglio:
“Tanto per cominciare, si muovono con troppa rapidità. La gente non è abituata ad associare la velocità a una mole simile. Avranno l’impressione che si muovano a un ritmo accelerato, come un film proiettato ad alta velocità… Ma potremmo benissimo allevare dinosauri più lenti, più addomesticati”. 
Hammond ribatte che nessuno vuole vedere dinosauri addomesticati, che la gente vuole l’articolo genuino, ma Wu è di tutt’altro avviso: “Non credo affatto che vogliano l’articolo genuino. Vogliono vedere realizzate le loro aspettative, il che è del tutto diverso”. E prosegue: “Lo hai detto tu stesso che questo è un parco di divertimenti. E il divertimento non ha nulla a che vedere con la realtà. Il divertimento è l’antitesi della realtà”.

In questo brano, Wu chiarisce ad Hammond che loro non devono tradire le aspettative del pubblico su com’è un dinosauro. Se l’immaginario popolare ha sempre associato ai dinosauri la lentezza, chi sono loro per dimostrare il contrario? Wu propone allora di sostituire l’attuale popolazione di Jurassic Park con una versione modificata, la 4.4, come fosse la release di un programma o la patch di un videogioco che ha qualche bug imprevisto dai programmatori. Difatti, i dinosauri hanno un difetto: non sono come il pubblico li immagina. E poiché Jurassic Park è un parco di divertimenti, un mondo irreale, perché loro dovrebbero proporre al pubblico dinosauri reali? “Non dobbiamo farci illusioni. Qui non abbiamo ricreato il passato. Il passato è svanito e non può essere ricreato. Non esiste più. Noi qui abbiamo ricostruito il passato. E sto solo dicendo che possiamo farne una versione migliore”, conclude Wu.
È un dialogo, questo, che sta al cuore del romanzo di Crichton. Lo scrittore ci mostra lo scienziato e l’imprenditore che ragionano di esseri viventi come se fossero prodotti industriali, senza alcun rispetto per la loro natura, per la loro realtà. Un concetto reso ancora più vivido nel sequel del romanzo, Il mondo perduto, dove i protagonisti scoprono su un’altra isola al largo del Costa Rica, Isla Sorna (anch’essa, come Isla Nublar, dove si trova Jurassic Park, assolutamente di fantasia), la “fabbrica dei dinosauri”. Nella descrizione di Crichton, la fabbrica abbandonata non differisce molto dalle catene di montaggio delle automobili. I dinosauri vengono creati dalla InGen come macchine, o meglio: come farmaci. Dopotutto, la InGen è una società di biotecnologie. Hammond lo chiarisce bene in un altro passo del romanzo, ancora in un dialogo con Wu: “Se tu dovessi avviare una società di bioingegneria, Henry, che faresti? Fabbricheresti prodotti per aiutare il genere umano, per combattere infermità e malattie? Ahimè, no. Questa è un’idea terribile…”. E spiega il perché:
“Supponi di fare un farmaco miracoloso per il cancro o i disturbi di cuore: come fece la Genentech. Supponi di voler adesso farti pagare mille o duemila dollari a dose. Potresti immaginare che sia tuo diritto. Dopo tutto, hai inventato il farmaco, hai pagato lo sviluppo e il collaudo; dovresti riuscire a farlo pagare quanto vuoi. Ma pensi davvero che il governo te lo lascerebbe fare? No, Henry, non te lo lascerebbe fare. I malati non pagherebbero mille dollari per la cura di cui hanno bisogno: non te ne sarebbero grati, si sentirebbero oltraggiati. Il Servizio Sanitario non lo rimborserebbe. Urlerebbero al brigantaggio”.

 

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Ecco allora perché, di fronte alla scoperta di un metodo d’ingegneria genetica per ricreare i dinosauri, la InGen ha optato per metterli in un parco a tema: 
“Ora pensa quant’è diverso quando ti occupi di intrattenimento. Nessuno ha bisogno d’intrattenimento. Non è una questione per interventi del governo. Se io chiedo cinquemila dollari al giorno per una visita al mio parco, chi mi ferma? Dopotutto, nessuno è obbligato a venire qua. E lungi dall’essere una rapina, la mia costosa tariffa aumenta l’attrazione per il parco. Una visita qui diventa uno status symbol e agli americani questo piace”.

I dinosauri ridotti a status symbol sono esattamente il modo in cui l’uomo del tardo XX secolo (o del XXI) deciderebbe di impiegarli. Lungi dall’utilizzarli per scopi di studio scientifico, come vorrebbe Alan Grant, il paleontologo del romanzo, i dinosauri vanno spettacolarizzati e trasformati in attrazione turistica. La scienza, in questo modo, diventa mero strumento per finalità di business. In un brano di Il mondo perduto, l’alter ego di Hammond, Lewis Dodgson, a capo di un’industria biotecnologica concorrente, dimostra che esistono ben altri progetti di sfruttamento economico dei dinosauri, oltre ai parchi a tema. Per esempio, i test di nuovi farmaci. Di fronte alle proteste degli animalisti, diventa sempre più difficile per le industrie farmaceutiche testare nuovi prodotti sui cani o altri animali. “A meno che non abbiamo un animale genuinamente creato ex novo”, ragiona Dodgson. “Prova a pensarci: un animale estinto e riportato alla vita in pratica non è affatto un animale. Non può avere dei diritti, essendo già estinto. Quindi, se esiste, può essere solo qualcosa fatto da noi. Noi lo facciamo, lo brevettiamo, ed è di nostra proprietà”. Un dinosauro, dopotutto, non è altro che un rettile; e, come ricorda Dodgson, a nessuno piacciono i rettili. Nel suo discorso, l’imprenditore si spinge oltre:
“Jeff, qui si tratta di avere una libertà completa. Dato che al momento tutte le questioni relative ad animali vivi presentano inghippi legali ed etici. Oggi chi si dedica alla caccia grossa non può più sparare a un leone o a un elefante... quegli stessi animali che i loro padri o nonni uccidevano per poi farsi fotografare orgogliosamente accanto alla preda. Adesso tutto questo comporta richieste di permessi e molte spese... e un gran senso di colpa. Ormai nessuno oserebbe sparare a una tigre e ammettere di averlo fatto. Nel mondo moderno questa è una trasgressione più grave del parricidio. Le tigri hanno i loro difensori. Ma prova a immaginare una riserva di caccia appositamente popolata, magari da qualche parte in Asia, in cui i ricchi e i potenti potessero dar la caccia a tirannosauri e triceratopi in un ambiente naturale. Sarebbe un’attrazione pazzesca. Quanti cacciatori esibiscono teste di alce imbalsamate sulla parete? Il mondo ne è pieno. Ma quanti possono vantarsi di avere una ghignante testa di tirannosauro sopra il mobile bar? (…) Sto cercando di farti capire una cosa, Jeff: questi animali possono essere sfruttati senza alcun vincolo. Di loro si può fare quel che si vuole”.

 

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Un altro progetto che la compagnia di Dodgson crede sia tra i piani di commercializzazione della InGen riguarda i cuccioli di dinosauro. Chi impedirebbe all’azienda di Hammond di creare dinosauri che non crescono, assolutamente sicuri e affidabili, da vendere come animali da compagnia? E naturalmente, grazie all’ingegneria genetica, si potrebbe far sì che questi cuccioli mangino solo alimenti prodotti dalla InGen. Come ci si può immaginare, entrambi i personaggi fanno poi la fine che meritano: uccisi dai dinosauri che ritenevano di poter controllare (nel film, Hammond è trasformato da Spielberg in un mite vecchietto e quindi scampa alla legge del contrappasso per riapparire nel sequel trasformato “da capitalista ad ambientalista in appena cinque anni”, come gli fa notare Malcolm).

Ma torniamo all’immaginario del dinosauro di cui Wu parlava ad Hammond nel brano che abbiamo citato poco sopra. Anche Spielberg riprende questo tema nel suo Jurassic Park. Nel corso della prima visita guidata al parco, il gruppo di visitatori resta alquanto deluso dal non riuscire a scorgere i dinosauri che la voce guida cerca invano di illustrare loro. Non essendo attrazioni artificiali, ma animali, i dinosauri si comportano come gli esemplari di uno zoo safari, sfuggendo spesso agli occhi dell’uomo che è venuto lì apposta per osservarli. Per evitare che incappino nella stessa delusione, giunti al recinto del Tyrannosaurus Rex, ovviamente la principale attrazione del parco, i visitatori assistono al sacrificio di una capra messa a disposizione della bestia per sfamarsi. L’idea è di costringere così il dinosauro a uscire allo scoperto e mostrarsi in tutta la sua maestosità. Ma c’è poco da fare: il Tirannosauro ha l’istinto del cacciatore e non gradisce l’idea di trovarsi un pasto gratis di fronte ai suoi occhi, senza nemmeno un minimo di sforzo per guadagnarselo. Malcom sottolinea il suo disappunto, chiedendo ironicamente ad Hammond: “Senta, è previsto che si vedano dei dinosauri nel suo parco dei dinosauri?”.

Tutto dimostra, fin da subito, l’assurda pretesa del Jurassic Park di “controllare” la natura preistorica e offrirla all’uomo moderno sotto forma di spettacolo. L’errore più grande viene commesso con l’illusione di un controllo rigoroso delle nascite. Gli ingegneri della InGen hanno fatto in modo che tutti i dinosauri da loro creati siano femmine, così da impedirne la riproduzione. Eppure, grazie all’utilizzo, per coprire i “buchi” del Dna preistorico, di una sequenza genetica tratta dal Dna di anfibi contemporanei, i dinosauri acquisiscono la capacità di cambiare spontaneamente sesso all’occorrenza. In tal modo, la popolazione del Jurassic Park sfugge rapidamente al controllo dei progettisti. Non solo: sebbene siano stati creati con una dipendenza artificiale da lisina, cosicché, in assenza di quell’amminoacido nella loro dieta, gli animali muoiono dopo poche ore, i dinosauri imparano a cibarsi selettivamente di alimenti ricchi di lisina trovati in natura. In questo modo, nel romanzo di Crichton, riescono a fuggire da Isla Nublar e penetrare nel Costa Rica. Ne Il mondo perduto, Malcolm scopre che anche nel sito B della InGen, Isla Sorna, qualcosa era andato storto. Nel corso della produzione industriale dei dinosauri, si era diffusa una misteriosa malattia che aveva fatto schizzare alle stelle la mortalità infantile dei nuovi esemplari, compromettendo i piani di business dell’azienda. Cosicché, di fronte all’incapacità di controllare la malattia, gli uomini della InGen decidono di liberare i dinosauri nell’isola per scoprire se, in questo modo, fosse stato possibile risolvere il problema. Un’abdicazione: poco dopo, l’incidente di Isla Nublar e un terribile uragano costringono gli uomini della InGen a evacuare il sito B, lasciato a se stesso. I dinosauri prendono rapidamente possesso dell’isola, sancendo ancora una volta la vittoria della natura.

Il fascino dei romanzi di Michael Crichton e dei film di Steven Spielberg sta proprio in questo particolare punto di vista del tema del dinosauro, nella sua “fenomenologia” postmoderna. Scompare l’immagine del dinosauro immerso nel suo ambiente preistorico, come ne Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle o nel Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, e appare il dinosauro inserito nell’ambiente tecnologico e post-industriale dell’Occidente contemporaneo. Nella sua rilettura cinematografica del sequel di Crichton, Spielberg si spinge oltre lungo questo binario e mette in scena l’irruzione del dinosauro nella metropoli americana rappresentata da San Diego. Il nipote di Hammond, acquisito il controllo della InGen, vorrebbe aprire nella città californiana una versione “in piccolo” del Jurassic Park: una sorta di arena dove esibire, come al circo, diversi esemplari di dinosauro, tra cui soprattutto il temibile Tyrannosaurus Rex. Ma, ancora una volta, il progetto deraglia e il Tirannosauro sfugge al controllo, finendo per seminare morte e distruzione mentre scorrazza indisturbato per San Diego. La battuta del bambino che sveglia i suoi genitori per segnalargli che “c’è un dinosauro in giardino” dimostra, nel puro stile spielberghiano, l’ingenuità con cui i bambini moderni accetterebbero, senza scomporsi, l’idea che i dinosauri possano improvvisamente materializzarsi nel giardino di casa.

 

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Sennonché, Jurassic Park – almeno nella sua versione cinematografica – ha consegnato all’immaginario di massa un’idea del dinosauro che la ricerca scientifica ha poi dimostrato essere molto distante dalla realtà. Dopo Spielberg, le ricostruzioni dei dinosauri nei documentari e nei musei non hanno potuto fare a meno di confrontarsi con l’immagine dell’animale ricoperto di una pelle grigia e umida, “rettilesca” appunto. Probabilmente, nonostante le reticenze dei paleontologi nel condividere questa particolare immagine del dinosauro, le strutture di divulgazione hanno dovuto abdicare alla scientificità per consegnare al loro pubblico l’immagine del dinosauro che esso si aspetta, esattamente come ragionava Wu nel romanzo di Crichton. Solo recentemente hanno cominciato a farsi strada le ricostruzioni di dinosauri ricoperte da piume, come indicato dai paleontologi. Eppure difficilmente vedremo mai al cinema un Tyrannosaurus Rex coperto da un piumaggio variopinto come quello di un pappagallo. Tant’è che Colin Trevorrow, regista del prossimo Jurassic World, quarto film del ciclo cinematografico (slegato dai romanzi di Crichton come già Jurassic Park 3) ha chiarito in un suo tweet che i dinosauri del film sarebbero stati sprovvisti di piume e avrebbero conservato il “design” consolidato nei precedenti episodi della saga. Nel mondo della paleontologia, la notizia non è piaciuta. Sul suo blog, Mark Witton ha commentato: “Si perde così l’occasione di riportare al punto di partenza il tema del rapporto dinosauri-uccelli accennato nel primo film, mostrando prove schiaccianti del fatto che alcuni dei dinosauri di Jurassic Park avevano le piume. Ed è anche una formidabile occasione persa per affermare tra il vasto pubblico la moderna concezione della paleobiologia” (http://markwitton-com.blogspot.co.uk). 
Ma siamo davvero sicuri che il vasto pubblico voglia il “prodotto genuino”, come sosteneva Hammond? Non sarà forse vero che, ormai assuefatti alle immagini dei Velociraptor grigi e silenziosi e dai Tyrannosaurus ringhianti (il verso del T-Rex di Jurassic Park è a sua volta divenuto un’icona), l’idea di dinosauri piumati non ci piaccia affatto? Ormai i dinosauri sono diventati immagini troppo popolari per restare confinati nel mondo della paleontologia. Sono protagonisti di cartoni animati, di telefilm, di romanzi, declinati in mille modi diversi; ma diversi, in primo luogo, dalla loro effettiva realtà. Il dinosauro “pop” non è quello della paleontologia, né vuole esserlo. Il personaggio di John Arnold nel romanzo di Crichton diceva bene quando sosteneva “che tutto il mondo, pian piano, si avvicinava al punto in cui poteva essere descritto con la metafora di un parco tematico”, un classico non-luogo (cfr. Augè, 1999), un’isola felice dove il visitatore non vuole scoprire ma vedere confermate le sue aspettative (cfr. Calabrese e Codeluppi 2009). E così come a Disneyland non ci sono topi, ma solo Topolini, tenetevi i dinosauri veri nei musei e lasciateci quelli di Jurassic Park.

 

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LETTURE

  Augè Marc, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Milano, 1999.
  Calabrese Stefano e Codeluppi Vanni, Nel paese delle meraviglie. Che cosa sono i parchi di divertimento,
  Carocci, Roma, 2009.
  Crichton Michael, Jurassic Park, Garzanti, Milano, 1990.
  Crichton Michael, Il mondo perduto, Garzanti, Milano, 1996.

 


 

VISIONI

  Steven Spielberg, Jurassic Park, 1993; Universal Pictures, 2012.
  Steven Spielberg, Il mondo perduto – Jurassic Park, 1997; Universal Pictures, 2012.