LETTURE / LA SOCIETÀ DEGLI AMATORI. SOCIOLOGIA DELLE PASSIONI ORDINARIE NELL’ERA DIGITALE


di Patrice Flichy / Liguori, Napoli, 2014 / pp. 112, € 11,99


 

Digitalizzazione e bricolage

di Adolfo Fattori

 

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“Se si vuol giocare con i paragoni bisogna dire che la soluzione naturale opera non come un ingegnere ma come un bricoleur, il quale non sa esattamente che cosa produrrà, ma che recupera tutto quello che trova in giro […] Spesso senza progetti a lungo termine, il bricoleur dà ai suoi materiali funzioni non previste per la produzione di un nuovo oggetto” (Jacob, 1978). Così scriveva nel 1978 il premio Nobel per la medicina François Jacob in Evoluzione e bricolage, parlando – effettivamente – d’altro rispetto agli argomenti del saggio del sociologo Patrice Flichy, ma stimolando a posteriori un curioso senso di apparentamento fra le due opere.

Prima di tutto, il bricoleur può essere considerato come una delle declinazioni in cui si incarna l’amateur, l’amatore, nella traduzione italiana del saggio di Patrice Flichy: il dilettante, l’appassionato di un certo ambito, di una certa disciplina.

E poi, se vogliamo estendere la nozione di evoluzione dalla sfera esclusiva della biologia – cui faceva riferimento Jacob – a una sua possibile dimensione umana, possiamo estenderla alle trasformazioni – all’evoluzione – antropologiche che hanno investito l’umanità periodicamente, almeno a partire dalla nascita della modernità, a causa dei mutamenti che hanno interessato le dimensioni sociali della vita quotidiana – e anche l’ambiente fisico, se è per questo.

Così, se dall’homo sapiens siamo passati all’homo œconomicus e poi all’homo communicans, fino all’homo game (cfr. Pecchinenda, 2003), e secondo molti ricercatori stiamo per abbandonare la “condizione umana” per accedere al postumano (cfr. Abruzzese, De Feo), come preconizzato e auspicato da altri (cfr. Moravec, 1998) e anticipato da performer come Stelarc, Orlan e Genesis P-Orridge, allora il tratto di bricolage che secondo Jacob apparterrebbe alla “logica del vivente” (Jacob, 1971) nello svolgersi dei processi evolutivi, può essere attribuito sul piano antropologico all’umano, e interessa quindi l’amatore nel suo trasferirsi dalla materialità della dimensione naturale alla adimensionalità del Web.

Con buona pace dei critici di questo futuro che continuamente diventa il nostro presente, dei catastrofisti delle tecnologie della comunicazione che continuano ad esercitarsi su ogni trasformazione che investa l’umano in termini di tecnologie della comunicazione, dal cinema, alla Tv, fino alla rete Internet.

Perché naturalmente è successo anche a questa categoria di persone, gli amatori, di attirare la preoccupata attenzione dei cacciatori di pericoli tecnologici (i vecchi “apocalittici” di Umberto Eco) che non solo hanno denunciato il rischio di un’ulteriore allontanamento dell’umano dalla realtà naturale, ma addirittura il rischio per loro di diventare inconsapevolmente schiavi al servizio del mercato e dell’impresa, portatori d’acqua alla formazione della ricchezza altrui. O, addirittura, che gli amatori siano un prodotto del web, figure nuove che, sfruttando le opportunità offerte dalla Rete, intercettino e disturbino il primato di professionisti ed esperti in vari settori dell’attività umana – i “sistemi esperti” di cui scrive Anthony Giddens, ad esempio, dobbiamo pensare.

Niente di più falso – o almeno parziale – secondo il sociologo francese, che – chiarito come ormai è scontato che non sono i media o le tecnologie in generale di per sé a produrre rischi – si dedica ad esplorare le nuove dimensioni offerte dal digitale alle attività degli amatori considerando in particolare tre “ambienti” fra quelli in cui costoro operano e praticano le loro passioni, esaltando l’amplificazione alla possibilità di esprimersi che il Web e in generale le tecnologie digitali offrono loro.

Premessa necessaria al suo discorso è che i dilettanti delle varie arti e professioni sono sempre esistiti, almeno dall’affermarsi della società industriale, dalla definizione di aree di tempo libero dedicabili al loisir e quindi al piacere di cimentarsi in pratiche che se per alcuni erano lavoro o professione, per altri potevano essere espressioni di passioni, piaceri, divertimento, senza volersi paragonare ai “maestri” delle discipline praticate per il piacere di farlo. Con le dovute distinzioni, vengono in mente i riferimenti che lo strutturalista praghese Jan Mukařovský dedicava all’artigianato artistico e al suo rapporto con l’arte in senso stretto ne Il significato dell’estetica (Mukařovský, 1973): arte e artigianato non sono paragonabili rispetto al fascio di significati che esprimono, ma appartengono da un certo punto di vista alla stessa sfera dell’agire umano.

Così, ad esempio, è successo per gli appassionati di particolari generi letterari come la science fiction, che appena si è data l’opportunità di scrivere a basso costo hanno cominciato a far circolare rivistine amatoriali, le fanzine, su cui recensivano, proponevano, discutevano le pubblicazioni dei loro autori preferiti facendo critica e informazione, e proponevano anche loro lavori. Lo stesso in campo musicale, con l’unica differenza che alla carta stampata si aggiungeva la possibilità di realizzare audiocassette o nastri con i brani dei propri autori preferiti, magari mixati in maniera originale, o anche con brani propri. Il digitale ha solo trasferito queste attività sulla Rete, potenziandole enormemente per la possibilità di praticarle utilizzando i programmi di gestione dei testi e del suono disponibili su computer, e poi offrendo una possibilità praticamente illimitata di diffonderli grazie al Web, con in più il diretto confronto e la partecipazione di altri appassionati stimolando dibattiti, confronti, ulteriore circolazione degli oggetti delle loro passioni e del loro desiderio.

Un’altra sfera cui Flichy dedica la sua attenzione è quella della “condivisione delle esperienze” derivanti dall’uso di beni di consumo. Amatori che, potremmo dire, non producono oggetti simili a quelli che amano, ma conoscenze – quindi consigli e giudizi – basati sulla loro esperienza di ciò che usano nella vita quotidiana: libri, capi di abbigliamento, elettrodomestici, ma anche i siti e gli shop on line dove è possibile trovarli… tutto ciò che popola la nostra vita quotidiana e la rende possibile, insomma, inserendo ciò che è “economia della singolarità”, connessa alle scelte strumentali dei singoli, in una “economia della condivisione”, grazie alla possibilità di confrontare e condividere pareri sulle qualità, le prestazioni, i vantaggi e i difetti dei singoli oggetti.

È il dominio della “bacheca” in cui le comunità di consumatori ed estimatori digitali inseriscono le loro opinioni e i risultati delle loro “prove”, facendo così mercato: il compiersi dell’identità del prosumer, per certi versi, che completa il suo ciclo producendo la bocciatura o la promozione dei beni economici di largo consumo che sperimenta – e dei circuiti attraverso i quali giungono fino a noi.

L’altra sfera di azione degli amatori analizzata dal sociologo francese – e qui davvero appaiono paradossale gli allarmi delle cassandre del digitale è quella dell’esercizio della cittadinanza: l’ambito della promozione, della difesa, della rivendicazione e della discussione su diritti, valori, principi. La politica, insomma, digitalizzata. Se c’è un settore dell’agire sociale che sin dalla nascita delle prime forme di “opinione pubblica” hanno utilizzato gli strumenti e i mezzi della comunicazione quanto più di massa fosse possibile è proprio questa,a partire dai salotti e dalle gazzette degli albori della democrazia liberale (Habermas, 2006).

Ancora una volta, Internet potenzia ed esalta le possibilità di esprimersi a coloro che non fanno politica per professione (anche se con la diffusione di spazi virtuali come Twitter anche questa affermazione dovrebbe essere rivista: Flichy ha pubblicato in originale il suo saggio nel 2011), ma che sentono forte la spinta a partecipare sui più svariati temi etici, politici, sociali: forum, blog, e altri luoghi simili ne sono le sedi politiche in cui si discute, ci si confronta e si lanciano parole d’ordine, appelli, anche invettive. E che, non per caso, nelle nazioni in cui la democrazia non è di casa, hanno portato spesso all’oscuramento della Rete – tentazione spesso minacciata anche in Occidente, magari non in termini radicali, ma comunque tali da ridimensionare e mutilare il libero accesso e la libera presenza in Rete.

Ancora una volta, a scapito del vizio di usare vecchie categorie per descrivere e ragionare sul nuovo, Internet si propone come un luogo che simula e riproduce il mondo naturale, semmai, semplicemente in termini di realtà aumentata.

 


 

LETTURE

  Abruzzese Alberto, Il crepuscolo dei barbari, Bevivino, Milano, 2011.
De Feo Linda, Dai corpi cibernetici agli spazi virtuali, Rubettino, Soveria Mannelli, 2009.
Giddens Anthony, Identità e società moderna, Ipermedium, Napoli, 1999.
Habermas Jürgen, Teoria e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari, 2006.
Jacob François, La logica del vivente, Einaudi, Torino, 1971.
Jacob François, Evoluzione e bricolage, Einaudi, Torino, 1978.
Moravec Hans, Robot: Mere Machine to Transcendent Mind, Oxford University Press, 1998, Usa.
Mukařovský Jan, Il significato dell’estetica, Einaudi, Torino, 1973.
Pecchinenda Gianfranco, Videogiochi e cultura della simulazione. La nascita dell’«homo game», Laterza, Roma-Bari, 2003.