Corpo e anticorpo nell'arte
di
Paolo Rosa

 


Di fronte a questo assedio lo spettatore ha bisogno di essere coinvolto, responsabilizzato, deve riacquistare il senso della sua carne e dei suoi sensi. Anche nel momento in cui carne e sensi si intrecciano inevitabilmente, ormai, con le conseguenze della tecnologia. È un corpo che ha bisogno di reagire, di coinvolgersi attingendo alle proprie risorse creative e originali, al residuo di genialità che c’è in tutti. Diventando lui, performativo, attivo, interattivo. Perché esso vuole partecipare ad un nuovo rito in cui possa, non solo assistere bensì depositare il proprio segno.




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In questa situazione estrema è proprio l’arte che può disincagliare la tendenza omologante, può  proporre una nuova “bellezza”. Ma occorre un’altra arte, lontana dalle tentazioni conservatrici, dai furori reazionari di chi sposando le idee di Ortega y Gasset, nella sua indigestione di “contemporaneo”, asserisce che “si avvicina l’epoca in cui la società, dalla politica all’arte, tornerà ad organizzarsi, com’è giusto, in due ordini o ranghi: quello degli uomini egregi e quelli del volgo… perché l’arte non è per tutti e la massa è ignorante” (Angela Vettese, Il Sole 24 Ore del 9 ottobre 2005).

Il corpo privilegiato dell’arte infine.

Ma l’arte non corrisponde a un corpo, né a un privilegio. Semmai è parte di un corpo che è più complesso e universale che è fatto di uomini, di elementi, di dinamiche che corrispondono al nostro cosmo. E questo è un corpo sofferente. Questo passaggio epocale che stiamo attraversando mette in luce le contraddizioni e i drammi, le emergenze e la caduta di molti equilibri. Anche l’arte, in quanto parte di questo organismo non può prescindere, non può fare finta di essere concentrata sui propri ombelichi. Deve agire perché il suo punto di vista è indispensabile, il suo muoversi è capace di disincagliare pensieri e sentimenti, la sua presenza genera nuove bellezze che a volte contano più di fredde etiche, perché non imposte, ma proposte. Per questo forse occorre pensare che l’arte più che un corpo privilegiato sia un “anticorpo”. Che agisce non esternamente ad un organismo, ma internamente. Una piccola particella di sensibilità che può contrastare la patologica precarietà di un grande sistema. Un anticorpo silenzioso (perché no?) ma che sa agire sugli stessi strumenti sofisticati e complessi che determinano questo stato delle cose, ribaltandone i valori. Azione preziosa e non invasiva che non danneggia per aggiustare.

Ma questa è un arte tutta politica, nel senso che indicava Walter Benjamin, altro che arte teologica come si vuol far credere. Politica perché sa relazionarsi con i suoi spettatori, sa offrirsi ai suoi spettatori, e sa prendersi cura dei loro corpi.

 

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