bussole
vampiro vampiro vampiro vampiro vampiro vampiro
VISIONI / Aiuto vampiro di Paul Weitz
Canini adolescenti, o la contaminazione
fra horror e teen movie

di Marco Meloni
Riflettere sul rapporto profondo, ma assai complesso, che lega oggi la cultura e la produzione culturale al contesto sociale è un’operazione estremamente difficile, se non impossibile. Non sembra essere sufficiente la visione multipla di Edgar Morin (1962), né tantomeno il diamante di Wendy Griswold (1994). Se, come sottolineato da James Clifford (1988), le società moderne sono frutti puri impazziti, non più legate ad un unico sistema valoriale e culturale di riferimento, ma piuttosto ad un insolito e dinamico multiculturalismo policentrico, è infatti quantomeno pretenzioso supporre di poter analizzare e descrivere un rapporto così esteso. Quel che semmai è possibile fare è trovare alcuni nodi, o problemi più evidenti, e su di essi concentrare la propria attenzione. Ad esempio, sui cambiamenti sempre più rapidi e sempre più stringenti che sono oggi in atto nella produzione audiovisiva internazionale, e, nello specifico, nella cinematografia horror americana.

Uno dei nuovi mali della produzione culturale contemporanea sembra infatti essere la mancanza di idee originali; il mercato ha esaurito i filoni da esplorare e, per questo, si concentra sempre di più su fenomeni di adattamento, remake, rimediazione di prodotti precedenti. In campo musicale, è sempre più frequente l’uso di campionamenti, basi, strofe sottratte ai grandi classici e inserite in nuovi pezzi o brani. Nel mondo dell’editoria, una volta trovato un personaggio o una storia di successo, nascono immediatamente decine di sottoprodotti che ne recuperano trame e atmosfere.

Una povertà di originalità che sembra colpire anche il cinema e la fiction, e sposta l’attenzione più sulle possibili contaminazioni fra generi diversi e sulle opportunità che questi innesti reciproci possono produrre su storie, generi, immaginario collettivo. E che sembra riflettersi, o riflettere a seconda dei momenti, un clima culturale internazionale poco stimolato a rischiare sul nuovo, preferendo un vizioso fenomeno di dejà vu intellettuale.

David J. Skal, in The Monster Show (1993), sottolinea il forte legame che ha unito per tutto il Novecento il cambiamento politico e sociale degli Stati Uniti e la sua produzione horror cinematografica e letteraria. Un rapporto che ha portato avanti, in parallelo, paure concrete e immaginarie, reale e irreale, scienza e tradizione. Dalla dicotomia fra le grandi città della costa e le campagne del centro alle paure per l’eugenetica, dal pericolo sovietico alla sempre minore fiducia nelle autorità e nel loro operato: a ciascuno di questi macromomenti è corrisposta anche una narrazione differente e uno specifico sguardo sul mondo del mostruoso e del sovrannaturale, plasmata e adattata per essere coerente con i temi dell’agenda pubblica.

Barbara Maio (2004), analizzando la serie americana di successo Buffy The Vampire Slayer di Joss Whedon, si concentra sull’importanza avuta da questa fiction nel raccontare, e in alcuni casi anticipare, alcuni importanti cambiamenti dei giovani adolescenti americani degli anni Novanta. Affrontando temi controversi, quali l’omosessualità fra donne, il possesso di armi, la morte e il rapporto con la magia bianca e nera. In questo caso, come sottolineato nello stesso volume anche da Vito Zagarrio e Franco La Polla, l’impatto della serie, che si rivela allo stesso tempo fortemente ancorata all’horror tradizionale ma anche vicina ai camp movies e ai film di azione, è stato talmente forte da fare nascere un notevole interesse accademico su di essa e sui suoi linguaggi. Un esempio virtuoso, quello di Buffy The Vampire Slayer, che si è però perso di vista, come modello da seguire, nel passaggio al nuovo secolo. Oggi, infatti, il rapporto sincronico sembra essere troppo esasperato, e l’attualizzazione dei personaggi ricercata con eccessiva enfasi e sforzo.

Se Rick Riordan e il suo eroe Percy Jackson riescono ad ottenere un successo globale rivisitando la mitologia greca in salsa pop, con evidenti e a volte irritanti cambiamenti dettati dal marketing, o semplicemente da un benchmarking eccessivamente orientato al contesto di arrivo, questo tipo di processi si rileva assai più arduo e delicato con la figura del vampiro, o del mostro in generale. L’appiattimento verso il mondo dei teen movies, una soluzione sempre più frequente fra i registi dell’orrore americano, può infatti portare a interessanti fenomeni di contaminazione e rimediazione, ma anche, o sarebbe meglio dire più spesso, al tentativo di inserire, su personaggi e trame già modellati sulla tradizione, un diverso plot narrativo, o differenti topoi non coerenti e non funzionali alla storia.

Il giovane vampiro del XXI secolo risulta essere un personaggio molto più libero che in passato, multiforme, caratterizzato da comportamenti e aspetti divergenti, ma allo stesso tempo anche molto più circoscritto temporalmente, schiacciato sull’attualità e poco capace di estendersi sulla dimensione temporale, incidendo così in maniera meno profonda sull’immaginario collettivo e sulle diverse generazioni. Più trickster che ombra (Voegler, 1992), più un adolescente ribelle non sempre pienamente consapevole del suo potere che una vera minaccia allo status quo.

Così, in Twilight brilla al sole come una pietra preziosa, in Vampire’s Diary combatte fra pon pon e lezioni di matematica, in True Blood fa molto sesso, e si diverte come un qualsiasi rampollo di una famiglia ricca. L’eccentricità del personaggio non deriva più dal suo essere esterno al contesto sociale, ma nell’esservi pienamente inserito: più il vampiro è accanto a noi o in noi, maggiore è la capacità di immedesimarsi in lui, di adottarne stili, habitus, comportamenti, anche di consumo. I canoni classici della figura sono ripresi e adattati ai tempi e al linguaggio delle nuove generazioni. O, meglio, a quello dei programmi e dei canali young-oriented oggi presenti nel flusso mainstream della narrazione televisiva. Un po’ Gossip Girl, un po’ MTV, un po’ anime giapponese.

Il legame con la tradizione, o meglio con le tradizioni, rimane tuttavia un nodo assai difficile da sciogliere. Un personaggio che cerca di presentarsi come nuovo, ma che è ben radicato nell’immaginario collettivo e caricato di valori ormai universalmente riconosciuti, deve infatti necessariamente attingere a questo importante serbatoio senza scadere nel cliché, nel già visto, nel vecchio. Ecco così che tutte le regole vengono stressate, i contenuti sovrapposti e miscelati, creando un melting pot non semplice da accettare, e non sempre così fortunato.

Nel tentativo di sostituire il sudario con una maglia alla moda e il vecchio calesse con una spider fiammante, si può correre il rischio di lasciare per strada anche quegli indizi, “paletti” per dirla alla Umberto Eco, che orientano il fruitore nella lettura e decodifica di un testo. Il pericolo è tuttavia duplice: una eccessiva rigidità potrebbe infatti portare ad un pesante anacronismo di alcune figure, che, come le istituzioni tarmate di Maffesoli (2003), rimarrebbero confezioni vuote private di ogni sostanza interna, o di sostegno narrativo.

La scelta fondamentale da compiere risulta quindi essere legata al posizionamento del proprio prodotto culturale, e del personaggio o personaggi che si vuole rappresentare: saranno ancora dei terrificanti, umbratili, esseri notturni che spaventano lo spettatore, o, invece, come sempre più spesso accade, degli eroi neri, delle figure solitarie che combattono a loro modo, e con i loro superpoteri, i mali di una società ormai divenuta essa stessa un mostro?

In The Daybreakers di Michael e Peeter Spierig (2009), Ethan Hawke è un vampiro redento in una società di suoi pari che, invece, vive sulle spalle, in stile “Matrix”, degli uomini e del loro sangue. All’idea della lotta contro il sistema si aggiunge un blando tentativo di riflessione sociale (il sangue come risorsa finita e l’ipocrisia di basare la sopravvivenza di una specie su qualcosa di così etereo), ma la trama non è solida, e la narrazione è frammentaria, simile più ad una sequenza di videoclip che ad un prodotto unico, dotato di una propria coerenza interna.

Il prodotto però più interessante, anche perché sostenuto da ingenti investimenti delle majors, è Cirque Du Freak, The Vampire’s Assistant di Paul Weitz (2009), in italiano Aiuto Vampiro. Il film unisce almeno tre grandi linee narrative, prendendo spunto dai film di maggior successo al botteghino e cercando una impossibile mediazione fra di esse: il fantasy a puntate, il teen movie sentimentale e l’horror sui vampiri. Ne esce un film complesso, ricco di citazioni e spunti che rallentano la storia e la rendono poco appassionante. Il circo dei mostri è un riferimento diretto a Tod Browning ma anche alla saga degli Xmen, eroi costretti ad isolarsi per la loro eccezionalità, così come la differenza fra vampiri “buoni” e vampiri “cattivi” si inserisce in un filone ormai consolidato della narrativa e della cinematografia di genere. Il tutto è inoltre edulcorato grazie a un’abbondante ma superficiale riflessione sull’amore, l’amicizia e la lealtà fra adolescenti, che sfocia nel contrasto fra il protagonista, capace di fare la scelta giusta, e il suo miglior amico, lasciatosi vincere dal lato oscuro.

Più che di ricerca e di lavoro sul personaggio del vampiro, che può essere attualizzato e modificato anche attraverso soluzioni più credibili e positive, come è riuscita a fare Anne Rice creando una società vampirica parallela a quella umana, i pochi esempi presentati testimoniano invece una difficoltà di fondo a investire nella sperimentazione e un ritorno prepotente dell’idea di serialità, intesa come riproposizione infinita di uno stesso canovaccio, di volta in volta piegato a generi e target differenti. Il regista assomiglia così sempre di più ad un giocattolaio che cuce le sue bambole unendo parti di bambole precedenti, senza curarsi del fatto che una gamba è più piccola dell’altra, che le braccia hanno un colore diverso e che un occhio è fatto con una biglia e uno con un bottone. Il vampiro, come tutto l’horror in generale, soffre di questa trasformazione perché non basata su una reale volontà di innovazione, ma soltanto sull’idea di replicare, con atmosfere e chiavi di lettura diverse, tematiche e situazioni già ampiamente sfruttate nei film per adolescenti, alle prese con i primi turbamenti amorosi, con il sesso, con le amicizie. Il vampiro non si nutre però di torte di mele, ma di sangue, non va in campeggio a rimorchiare e non ha bisogno di un amico studioso che faccia i compiti per lui. Può anche avere sedici anni, ma li ha da secoli e li avrà per sempre. Non deve piegarsi al tempo, è il tempo che si piegherà a lui.



Letture
× Clifford J., The Predicament of Culture. Twentieth-Century Ethnography, Litterature and Art, 1988, trad. it. I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
× Griswold W., Cultures and Societies in a Changing World, 1994, trad. it. Sociologia della Cultura, il Mulino, Bologna, 1997.
× Maffesoli M., Notes sur la postmodernité, 2003, trad. it. Note sulla postmodernità, Milano, Lupetti, 2005.
× Morin E., L’esprit du temps, Nevrose, 1962, trad. it. Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma, 2002.
× Skal D. J., The Monster Show, 1993, trad. it. The Monster Show. Storia e cultura dell’horror, Baldini e Castoldi, Milano, 1998.
× Riordan R., Percy Jackson and the Lightning Thief, 2005, trad. it Percy Jackson e il ladro di fulmini, Mondadori, Milano, 2010.
× Voegler C., The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers, 1992, trad. it. Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma, 2004.

Visioni
× Spierig M. e Spiering P., The Daybreakers, 2009, The Daybreakers, Lionsgate, 2010.