Il Grande palinsesto: 
sorvegliare, premiare, forse punire

 

di Carmine Treanni



Un noto commentatore televisivo, in crisi di ascolti, annuncia il suicidio davanti alle telecamere: il pubblico è elettrizzato e la trasmissione fa registrare un'impennata degli ascolti. Immediatamente, una giornalista e la rete televisiva decidono di sfruttare la situazione, trasformando il conduttore in una specie di predicatore dell’etere. Da quel momento ha un successo strepitoso, specie da quando - credendosi direttamente in contatto con Dio - diventa una sorta di profeta. Quando, però, il suo indice riprende a scendere, il commentatore televisivo viene ucciso in diretta da un terrorista.

Non è un fatto di cronaca, ma la trama del film Quinto Potere[1] (1976), del regista americano Sidney Lumet. Un film che allora, come oggi, suona come una denuncia sullo strapotere della televisione e la presa di coscienza sul ruolo guida assunto dal piccolo schermo nel sistema dei mass-media, da cinquant’anni a questa parte. Ma la trama del film è anche un precursore dei tanti reality show che impazzano in tv, a cominciare dal capostipite Il Grande Fratello.

Nel film di Lumet, nel momento in cui l’anchormen televisivo annuncia il proprio suicidio in diretta televisiva, supera un confine, rende minima - se non l’abolisce del tutto – quella distanza sempre esistita tra chi la televisione la fa e chi la guarda. E questo il meccanismo che c’è alle spalle del format de Il Grande Fratello. Ma è solo la punta di un iceberg molto più grande, di un fenomeno che lo studioso canadese David Lyon ha definito “gabbia elettronica”[2].

La sorveglianza delle nostre città – guarda caso attuata proprio con l’occhio elettronico delle telecamere -, i reality show che impazzano per le tv di tutto l’Occidente, la voglia di voyeurismo che dilaga su Internet sono tre fenomeni sociali, solo apparentemente dissimili, ma che in realtà sono profondamente legati e rappresentano le facce di una stessa realtà: stiamo – senza essere catastrofici o apocalittici – dirigendoci verso un’era da Grande Fratello[3] di orwelliana memoria.

 

Siamo tutti James Bond

Il Novecento è stato più volte definito come il secolo del trionfo delle immagini. La preponderanza delle immagini (in movimento e non) prodotte - a partire dalla fotografia, passando per il fumetto e il cinema, fino alla televisione - ha fatalmente marchiato il secolo appena passato[4]. Il nuovo millennio però si è aperto con un cambio di rotta decisivo e spiazzante: la produzione e, soprattutto, la diffusione a livello globale di immagini e video, non è più esclusivo appannaggio di fotografi, registi, disegnatori, distributori cinematografici, ma di ognuno di noi. Basta dotarsi delle giuste tecnologie, neanche troppo costose, e ognuno è in grado di produrre un video e di condividerlo, grazie a Internet, con chiunque sia dotato di un computer.

Facciamo un esempio. Rocketboom è uno strampalato notiziario di tre minuti, creato ogni giorno a New York e condotto da Amanda Congdon, un'elettrica ragazza bionda che fa il verso alle più celebri anchorwomen. Viene diffuso via internet ed è uno delle migliaia di video-blog, i “vlog” in gergo, visitabili in rete. Sono la nuova frontiera della comunicazione su internet: diari online con video e suoni scaricabili in tempo reale.

Il termine vlog deriva dalla fusione tra video e blog, a sua volta frutto dell'unione tra web (rete) e log (parola). Se il blog è un diario virtuale con foto e commenti dei visitatori, il vlog è la stessa cosa arricchita di immagini in movimento. Chi naviga può anche scaricare in tempo reale video prodotti dall'autore del vlog, o da lui scelti all'interno della rete e linkati all'interno della pagina.



[1] Il titolo del film in italiano intende richiamare alla mente dello spettatore il film di Orson Welles Quarto potere (Citizen Kane, 1941), ma il titolo originale è Network.

[2] David Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana, Feltrinelli, Milano 2002

[3] George Orwell, 1984, Mondatori, Milano 2002 (1949)

[4] Adolfo Fattori, Gennaro Fucile, Ecologie dello schermo, in Liliana Dozza (a cura di), Nei sistemi dei segni, Eit, Teramo 1989

 

 

 

    (1)  [2] [3] [4]