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[ conversazioni ]
Robert Wilson, uno sguardo oltre il possibile delle cose
di Alfonso Amendola
Non poche occasioni di prodotti culturali vedono partecipe Robert Wilson che nel mese di dicembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano ha presentato – dopo le tappe a Siracusa e Bari nelle scorse stagioni – il suo lavoro teatrale tratto da Gustave Flaubert, la nostra occasione per far maturare l’intervista che segue. Lui è il vigoroso, innovativo ed inventivo autore di spettacoli che fondono in un unico potente flusso espressivo teatro, cinema, musica e multimedia. Texano di nascita (classe 1941) con una sempre maggiore attenzione verso la realizzazione di “merci culturali”, dalla distribuzione su dvd di alcune opere premiate con densi successicommerciali (Alcesti, Orfeo ed Euridice), un sito sempre vivo ed aggiornato (www.robertwilson.com),
la notevole produzione audiovisiva dei
Voom Portraits, l’innovazione didattica e metodologica che offre il suo Watermill Center. Insomma un artista totale con una profonda attenzione verso le innovazioni del contemporaneo. Un’attenzione che lo ha sempre contraddistinto fin dal principiare del suo “teatro cinematografico” e “multitecnologico”. Il 1963 è l’anno del suo primo cortometraggio Slant, per poi seguire le lezioni di George Mc Neil seguace dell’espressionismo astratto. Il lavoro di Wilson s’intensifica l’anno dopo con una serie di performance, idee di altri film, spettacoli di new-dance, progettazioni architettoniche (tra i suoi maestri l’architetto utopista Paolo Soleri). Dopo il buio di un crollo nervoso, Wilson si sistema nell’ex sede newyorkese dell’Open Theatre, un loft che ben presto si tramuta in factory-laboratorio popolato da artisti, uomini d’affari, intellettuali, ragazzi disagiati. E quindi il regista visionario torna con nuove azioni fino a giungere al 1969 con The King of Spain (il suo primo vero spettacolo) realizzato nell’ormai fatiscente Anderson Theatre. Con questo spettacolo Wilson comincia a delinare la sua idea di utilizzare la bidimensionalità dello spazio scenico e la frattura della temporalità scenica. Non solo teatro gestuale, ma anche scenografie naturali come spiagge, salotti vittoriani, caverne, oggetti e luci di stampo neo-dada. Quando la Brooklyn Academy of Music lo invita a mettere in scena una nuova opera, The Life and Times of Sigmund Freud, l’amplificazione sceno-tecnica di Wilson è ormai una concretezza e una scelta di stile. E se questo spettacolo era una perfetta riflessione sullo “sguardo”, il successivo (Deafman Glance, 1970) è lavorio sul “silenzio” (dove la partitura visiva scorre lenta davanti agli occhi di un sordomuto. La ritmica della scena ha scansioni di estrema lentezza, sottolineando un desiderio di recupero del “tempo naturale” che nella azione teatrale acquista valore di “altra dimensione”, dove lo spettatore deve immergersi, smarrirsi e ritrovarsi. Dopo il trasferimento europeo (a Nancy) di questo spettacolo “scoppia” il mai risolto caso Bob Wilson. A battezzare lo splendore di questo spettacolo (e l’ostinazione visionaria del suo creatore) sarà la lettera scritta da Louis Aragon (e da un André Breton morto) che ritrova nell’opera di Wilson “il capolavoro della sorpresa” tanto desiderato dai surrealisti. Poi è storia. Poi è continua sperimentazione, contaminazione, attrazione di modelli differenti, esplosioni di una creatività totale e sempre con uno sguardo oltre il possibile delle cose.

Il suo lavoro più recente nasce da un classico
(
La tentazione di Sant’Antonio di Flaubert) e si muove (in piena adesione con la sua progettualità di “contaminazioni” di forme e “reinvenzioni” di stili) con la cadenza di un musical. Ci spiega il perché della scelta della Tentazione (un poema filosofico in prosa che ebbe diverse redazioni a partire dal 1846 e giudizi pochi lusinghieri lo accompagnarono, scrive Barbey d’Aurévilly “Potrebbe essere il suicidio definitivo di Flaubert. Il libro è talmente incomprensibile che non se ne scorge né l’idea primitiva, né l’intenzione”)?
Sono stato affascinato dalla figura di Sant’Antonio per diversi anni, ma è sempre arduo mettere in scena temi religiosi. Quindi ho pensato che, per riuscire a stemperare la seriosità di queste questioni, il tutto avrebbe potuto assumere la forma di un musical.
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foto di Tilde De Tullio
Ho pensato alla regia della Tentazione per oltre 20 anni ed infine quando ho incontrato la “voce” di Bernice Johnson Reagon ho capito come avrei  potuto realizzare la produzione. Vidi a New York un concerto di Bernice Johnson Reagon – di cui seguivo l’attività già da anni – e le chiesi se voleva unirsi a me in quest’avventura. Ero ammaliato dal suo sound e dalla sua voce. Sant’Antonio ha ispirato moltissimi artisti, in passato, a riflettere su questioni universali quali: la dicotomia tra il bene e il male, il significato della vita ed il posto di Dio, la natura, la storia e la moralità. Durante la composizione dell’opera, Bernice ha attinto dal lessico della musica nera, dando così risposta anche alla storia della lotta tra il sacro e il profano e la lotta tra vari gruppi religiosi, che sembra essere un argomento molto attuale, esattamente come la figura di S. Antonio. La partitura che Bernice ha raggiunto racchiude un gran numero di generi musicali: spiritual, inni protestanti con ritornelli afroamericani, canzoni popolari, blues, jazz, doo-wop, gospel tradizionali e contemporanei, hip hop... e gli artisti che li eseguono sono stati scelti per cantare tutta questa varietà e, allo stesso tempo, artisti che capissero il mio modo di lavorare nello spazio e con il corpo. Abbiamo trovato un cast eccellente.

Rispetto al libro, a cosa è rimasto, sostanzialmente fedele, e cosa invece ha volutamente cancellato nella sua riscrittura scenica?
La tentazione di Sant’Antonio (lo spettacolo, ndr) mostra il mio interesse verso le tradizioni americane. Mi sono reso conto che ho scelto un musical perchè è universale ed utilizza un linguaggio emozionale universale.
Quando chiesi a  Bernice di lavorare in questo progetto pensai che se avesse composto la musica secondo la tradizione degli spiritual neri, allora avrei potuto mettere in scena l’opera. Anche se il lavoro è basato sul testo di Flaubert, la mia produzione si basa profondamente sulla storia della musica e cultura afroamericane. Per me e Bernice, il viaggio di Antonio è estremamente contemporaneo. Avevo la sensazione che attraverso il prisma della cultura afroamericana, lei riuscisse ad interpretare la complessità e la dualità del viaggio di Antonio La politica divide l’umanità. Anche la religione lo fa. Lo ha sempre fatto. L’arte potrebbe ridurre queste differenze. Se c’è una verità, credo che ogni cultura possa capirla. La verità più importante che possiamo apprendere da ogni cultura è l’arte di quella cultura stessa. E l’arte può essere compresa da qualsiasi cultura.
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