Video dunque sono sicuro di Dario De Notaris

 

In particolare sono da segnalare alcuni volumi pubblicati dal nostro Governo e che - come sempre quando si tratta di pubblicazioni interessanti – sono circolate solo negli ambienti ufficiali o promozionali e non messe in vendita al largo pubblico. La prima è del 2004, a cura del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, e sulle prime può apparire non attinente al nostro tema: Crimes & Computers (Delitti e Computers)[5] tenta di proporre un quadro sul fenomeno della pirateria informatica nel nostro Paese e delle attività che lo Stato – attraverso la Guardia di Finanza – mette in campo per difendere il diritto d’autore. È qui che troviamo il nesso con la sorveglianza: chi garantisce che le nostre “opere”, di intelletto o materiali, siano protette?

Lasciando al lettore il piacere di approfondire il tema con il volume citato, quello che interessa riprendere in questa sede è il come negli ultimi anni siano state proposte e promosse, a livello nazionale ed europeo, decreti legislativi atti a garantire la sicurezza del diritto d’autore. Per quanto riguarda il file sharing, la cosiddetta pirateria informatica, leggi anche recenti hanno provato a garantire questa sicurezza, limitando però la libertà del singolo individuo: l’obbligo per i Provider (coloro che forniscono le connessioni internet) di registrare i movimenti dei propri clienti è evidentemente una forte limitazione alla “privatezza” dell’individuo. E allora si è provati a passare ad un altro livello di disquisizione: dove finisce la libertà dell’individuo? Pene più severe a chi diffonde illegalmente materiale protetto da copyright ottenendo un guadagno economico, pene più lievi per chi invece scarica a proprio consumo. Nell’era del net-sharing, della condivisione disinteressata, appare strano che non possa esserci una mano invisibile che imponga guadagni economici. Invece è così.

Il Garante per la Protezione dei Dati Personali dal canto suo ha proposto un Codice in Materia di Protezione dei Dati Personali[6] che sin dai primi articoli sottolinea come “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano” (art. 1) e che “il trattamento dei dati personali è disciplinato assicurando un elevato livello di tutela dei diritti e delle libertà…” (art. 2 comma 2).

In altre occasioni, i dati personali hanno mostrato il fianco alla loro utilità nelle attività produttive e di come questi siano un campo di battaglia tra i produttori e i consumatori. È apparso inoltre chiaro come l’individuo assuma la connotazione giuridica di “interessato” e di come sia legittimato a richiedere l’accesso ai propri dati acquisiti da terzi “… trattandosi di dati idonei a fornire, anche in chiave valutativa, elementi di conoscenza, diretta e indiretta, sull’interessato e sugli eventuali suoi rapporti con altre persone”[7] Ciò che è ancor più interessante è che la responsabilità della tutela dei dati personali da parte di colui che li detiene è paragonata a quella del rapporto medico-paziente.

Scrivere della sicurezza vuol dire quindi tenere a mente il suo opposto ovvero l’insicurezza; in quella che più volte è stata ribattezzata come la Società del Rischio[8], i cittadini del mondo sono contraddistinti da una perenne sfiducia nel prossimo e nelle Istituzioni. Diffidenza è la parola chiave e nasce forse nel momento in cui l’uomo da membro del villaggio diventa cittadino di uno Stato. L’aumento della libertà – di pensiero, di espressione e di movimento – ha portato con sé una forte dipendenza da coloro che sono posti a garantire queste libertà. Ma i custodi sempre più spesso hanno iniziato a dare conto solo ai propri interessi piuttosto che a quelli della collettività: il senso di responsabilità diviene sempre più una merce di scambio, da vendere al migliore offerente.

Il dubbio di Giovenale assume una forma diversa: come scegliere i propri custodi? Sulla base di quale requisito? Un tempo ci si affidava ai mercenari, personaggi visti sempre dal punto di vista negativo di coloro che erano disposti a compiere determinate azioni senza alcun problema, dietro lauti pagamenti. Oggi vi sono i servizi di sicurezza privati, costituiti pur sempre da persone. Come fidarsi di persone che dovrebbero garantire i nostri interessi ma che poi scopriamo avere legami con la malavita, oppure che portano al fallimento aziende nelle quali lavorano milioni di persone e che hanno altrettanti azionisti? Come fidarsi del Presidente di una Nazione che ha legami con Organizzazioni petrolifere e che decide di dichiarare guerra a paesi del Medio Oriente – dove sono presenti ingenti pozzi petroliferi – dietro la motivazione di una guerra preventiva? La domanda principale è dunque: di chi fidarsi? Se l’uomo non è affidabile, allora usiamo le tecnologie? Eppure anche qui dovremmo fidarci delle “Tre Leggi della Robotica” tracciate da Isaac Asimov? E se succedesse invece quanto immaginato dallo stesso Autore e riproposto al grande pubblico attraverso il film I Robot (Alex Proyas, USA, 2004)? Spesso libertà ed uguaglianza sono inversamente proporzionali: garantire libertà vuol dire aumentare le diseguaglianze e viceversa.

Provando ad arrivare a una conclusione, abbiamo visto come diversi sono gli strumenti tecnici atti a proteggerci e di come, allo stesso tempo, comportino una limitazione al nostro vivere libero. Le videocamere di sorveglianza sono il male minore: nella migliore delle ipotesi non funzioneranno. La questione è che sono uno strumento in più di controllo locale; se pensiamo alle “videocamere” satellitari ci si rende conto di quanto esse siano piccole e di come siano ridicole le questioni di privacy che discutiamo giorno per giorno (si veda in proposito il film Nemico Pubblico, Tony Scott, USA, 1998).

L’umanità ha escogitato un paio di modi per controllarsi: il primo è quello sociale, il controllo di tutti su tutti, il che si può semplificare con la signora Anna che abita nel nostro palazzo (scusandoci con le signore “Anna” ma, assieme alle signore “Maria”, sono vittime di una strana statistica di “osservatrici privilegiate”) che sa vita, morte e miracoli di tutto il quartiere; le signore Anna sono ovunque, in ogni dove: nel condominio a far finta di pulire il pianerottolo, oppure in strada dietro un angolo a fumarsi una sigaretta in compagnia del fruttivendolo. Poi c’è il controllo di polizia, la punizione e la possibilità di scusarsi pagando il conto (in denaro o in tempo presso una prigione).

Infine, le tecniche di sorveglianza hanno raggiunto ormai la dimensione “video”, che – recuperando il termine latino – indica appunto l’ io vedo: le telecamere servono a garantire controllo su chi entra e chi esce dalla propria zona (un modo diverso per capire chi è ingroup e chi è outgroup); garantire protezione sui propri interessi, legali e non legali; dopotutto le telecamere sono installate anche nelle zone protette dalla camorra per sapere quando entra la polizia o qualche altro intruso (ma le telecamere non dovevano servire per proteggersi dai criminali? In questo caso i criminali chi sono?).

E allora, abbandonando la domanda del “Quis custodiet ipsos custodes?”, perché difficilmente sapremo mai con esattezza quali informazioni che ci riguardano sono registrate e dove (e da chi)[9], resta da chiedersi solo quale sarà il prossimo strumento di controllo. E la risposta è pronta: chip sottopelle e/o markers sul DNA, già in uso sugli animali, ad esempio, il che consente di tenerli sotto controllo anche su lunghe distanza[10]; sapere dove sono, in primo luogo ma – chissà – sapere anche cosa hanno mangiato oggi… Knock Knock Neo… (“Matrix”, Wachowski Bros. 1999).


[5] Crimes & Computers (2004) Editore: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato

[6] www.garanteprivacy.it

[7] Garante 16 maggio 2002, in Bollettino n°28, pag.18 – v. anche www.garantedellaprivacy.it: doc. web n. 1064791

[8] Beck, U. (2003) Un mondo a rischio, Einaudi (ma si veda anche il celebre La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, 2000)

[9] http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/esteri/usa-database-biometrico/usa-database-biometrico/usa-database-biometrico.html

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