Il futuro fossile sepolto a Chernobyl di Roberto Paura

 


La “prigione terrestre” di cui parlava la Arendt si prende ora la sua vendetta e rende l’evasione impossibile. Al contempo, l’umanità comprende i propri limiti e la speranza di sorpassare l’ultima barriera costruita dalla natura – la velocità della luce – viene meno: Universo (1963) di Robert Heinlein, Incontro con Rama (1973) di Arthur Clarke, Il lungo ritorno (1989) di Frederik Pohl raccontano di popoli della galassia costretti a viaggiare in enormi navi dormitorio, in peregrinazioni che durano interi secoli. La modernità sconfitta spiana la strada alla fantascienza postmoderna.

Chernobyl: l’inferno in terra

Forse il simbolo migliore del passaggio dalla modernità alla postmodernità può essere rintracciato nel nucleare: nell’arco di pochissimi anni la speranza che questa scoperta rivoluzionaria potesse portare a una svolta della civiltà venne meno con lo sgancio delle bombe sul Giappone nel 1945. Da allora la bomba atomica sbarcò anche nella fantascienza (secondo alcuni, E.E. Smith l’aveva anticipata nella citata saga di Skylark) e diede il colpo di grazia all’ingenua illusione di un futuro di speranza e pace: il 2000, che prima di allora indicava il traguardo di un’umanità prospera e felice grazie alle scoperte della scienza,[8] diventa ora l’anno simbolo dell’apocalisse prossima ventura (si prendano solo come esempio alcuni titoli di fortunati film apocalittici che vennero così tradotti in italiano diversamente dall’originale: 2022 i sopravvissuti, 1997 Fuga da New York, 1999: Conquista della Terra, 2000: la fine dell’uomo).

La fantascienza post-apocalittica è il filone che prende in consegna lo status di “mainstream della science fiction” direttamente dal filone della space opera che prima faceva da padrona. Ciò che interessa non è più l’universo, ma la terra che l’umanità ha distrutto e sulla quale deve rassegnarsi a vivere. Ma così come la fantascienza fatta di navi spaziali cadrà in disgrazia, almeno nella letteratura, dopo lo Sputnik, così analogamente la fantascienza fatta di futuri post-atomici e di olocausti nucleari non tirerà più molto dopo Chernobyl, che rappresenta un po’ l’avverarsi delle sinistre profezie degli scrittori di genere.

Prendiamo a mo’ di esempio due opere notissime ambientate in uno scenario post-atomico: Paria dei cieli di Isaac Asimov del 1950 e Cronache del dopobomba di Philip Dick del 1965. I quindici anni che separano i due romanzi sono un abisso, sia dal punto di vista stilistico che da quello contenutistico: Asimov è ancora nel pieno della fantascienza classica, Dick è ormai proiettato verso una fantascienza senza etichette e proprio per questo – forse – postmoderna per definizione.

Ma la differenza che va sottolineata sta tutta nel messaggio. La Terra di Paria dei cieli è a diecimila anni nel nostro futuro, resa quasi inabitabile dalle radiazioni provocate da una guerra di cui naturalmente nessuno ricorda nulla, e si ritrova improvvisamente da mondo ostracizzato e ghettizzato a centro dell’universo come già era stato un tempo; per il popolo terrestre, vero paria cosmico in un universo dove non c’è più spazio per difetti fisici e mentali, arriva però il lieto fine quando il governo imperiale si accolla il gigantesco compito di bonificare il pianeta e renderlo nuovamente fertile, simboleggiando così la speranza di una nuova rinascita.[9]

Non è così per Cronache del dopobomba, che non a caso non si svolge nel remoto futuro ma in un’epoca che può essere benissimo la nostra, o meglio quella degli anni Sessanta in cui la storia fu scritta. Qui non c’è possibilità di una vera rinascita, la Terra è distrutta e lo rimane, i sopravvissuti restano tali dall’inizio alla fine (l’opera si chiude proprio con un caustico “intorno a lei, la città si svegliava, tornando ancora una volta alla sua vita normale”) e l’olocausto nucleare, detto per inciso, non è frutto di una guerra tra superpotenze ma di un banale incidente occorso ai computer americani.

In entrambe le opere l’unica speranza viene dallo spazio: in Asimov è l’intervento del benevolo Impero galattico, in Dick è la figura semidivina di Walt Dangerfield, astronauta partito dalla Terra il giorno stesso del disastro e condannato a restare per sempre in orbita intorno al pianeta martoriato. Dangerfield s’incarica di conservare e tramandare il ricordo della vecchia civiltà le cui vestigia (libri, dischi) sono conservate negli archivi della sua nave spaziale.

È interessante notare l’inversione di ruoli rispetto alla fantascienza positivista degni anni precedenti: la scienza, che doveva portare l’uomo a conquistare le stelle, lo ha condotto sull’orlo dell’estinzione e tutte le conoscenze della civiltà sono rinchiuse ora fuori dalla Terra, in un cosmo paradossalmente irraggiungibile che diventa la nuova prigione di un’umanità condannata.

Il tema dell’incidente che provoca l’olocausto nucleare, che ritroviamo in Dick (il quale a sua volta l’aveva ripreso dal film cult Il dottor Stranamore, al quale l’originale titolo inglese fa evidente riferimento) come in altre opere, non è che la spia di un mutamento importante nella fantascienza “postmoderna”: se prima le minacce per l’umanità provenivano dal di fuori, attraverso invasioni aliene o imprevedibili fenomeni astronomici, adesso il rischio è all’interno, scaturisce dal sempre più rischioso rapporto tra l’uomo e la natura. La “tetralogia degli elementi” di Ballard, Deus X di Spinrad, oltre a tantissimi film mettono in guardia da quella che il noto sociologo Ulrich Beck chiama la “società del rischio”[10] nella quale viviamo, frutto di una tarda modernità di crescita sconsiderata.

Come scrive Beck: “Il concetto di rischio è un concetto moderno. Esso presuppone delle scelte e cerca di rendere prevedibili e controllabili le conseguenze imprevedibili delle scelte compiute in nome dei progresso. L'elemento nuovo della società mondiale del rischio sta nel fatto che con le nostre scelte nel nome del progresso diamo luogo a problemi e pericoli globali che contraddicono radicalmente il linguaggio istituzionalizzato del controllo e le promesse di controllo (irresponsabilità organizzata). È quanto avviene in occasione delle catastrofi portate all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale - come Chernobyl… L'esplosività politica non può essere descritta nel linguaggio del rischio, nelle cifre delle vittime morte o ferite, né in formule scientifiche. In esse ‘esplodono’ - se ci si consente questa metafora -le responsabilità, le pretese di razionalità, le legittimazioni in forza dell'aderenza alla realtà”[11]. Non a caso Beck definisce l’incidente di Chernobyl uno “shock antropologico”: fu quella la prima vera dimostrazione dei pericoli devastanti della manipolazione della natura, il primo grande fallimento del paradigma modernista della razionalità capace di controllare i fenomeni “irrazionali” del caos, la prima manifestazione di impotenza dell’uomo tecnologico. In questo senso Anthony Giddens ha dipinto la modernità come un ‘juggernaut’, un “’bisonte della strada’, un ‘mostro’ di enorme potenza che collettivamente, come esseri umani, riusciamo in qualche modo a governare ma che minaccia di sfuggire al nostro controllo e andarsi a schiantare. Il ‘mostro’ schiaccia coloro che gli resistono e se a volte sembra seguire un percorso regolare, in altre occasioni sterza bruscamente e sbanda in direzioni che non possiamo prevedere”[12].

La società del rischio è la società post-moderna o tardo moderna nella quale viviamo. E la fantascienza, che da sempre ha seguito gli sviluppi della nostra civiltà sublimandoli in narrazioni solo apparentemente slegate dalla realtà effettiva, ha seguito inevitabilmente questo percorso di passaggio dalla modernità alla post-modernità. Come ha efficacemente sintetizzato Adolfo Fattori nel suo Memorie dal futuro: “In sostanza, al suo nascere la fantascienza è una narrativa orientata entusiasticamente, ‘muscolarmente’ al progresso, alla tecnologia, al futuro, perfetta espressione della modernità – e specchio dell’uomo moderno… Con il maturare della modernità si producono le prime inquietudini sullo statuto della realtà e sul posto dell’uomo nel mondo… [Infine] Con l’affermarsi della tardomodernità, il futuro diventa irrapresentabile, lo spazio si deterritorializza e la science fiction riverbera l’incertezza e il disorientamento degli uomini di fine millennio.[13] Attraverso questo suo percorso la fantascienza ha portato a rivoluzioni enormi al suo interno, perché così come la post-modernità è un superamento delle premesse e delle conseguenze della modernità, così la fantascienza contemporanea punta ad essere un superamento radicale di un genere che è sempre stato d’avanguardia. In qualche modo, quindi, la fantascienza di oggi ha reso obsoleti i temi affrontati nei suoi primi anni, che sono invecchiati prima ancora di diventare reali. Eppure, in questi musei del futuro che la fantascienza ci mette a disposizione possiamo ritrovare un po’ la storia di questa nostra epoca di grandi cambiamenti e ri-scoprire le nostre convinzioni, le nostre paure, le nostre speranze.


[8] Si prendano come esempi Isaac Asimov, Nostalgia del futuro, Rizzoli, 1988 e, in maniera molto più ambigua: Emilio Salgari, Le meraviglie del Duemila, Viglongo, 1995.

[9] Va detto però che nel suo tardo Fondazione e Terra (1986), Asimov racconta che il progetto di bonifica si arrestò dopo pochi anni provocando la completa inabitabilità del pianeta e l’evacuazione dei sopravvissuti su un nuovo mondo.

[10] Cfr. U. Beck, Che cos'è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, 1999; La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, 2000; La società globale del rischio, Asterios, 2001; Un mondo a rischio, Einaudi, 2003.

[11] Articolo di U. Beck su La Repubblica del 13 dicembre 2002.

[12] A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, 1994, p. 138.

[13] A. Fattori, Memorie dal futuro. Spazio, tempo, identità nella science fiction, Ipermedium, 2001, pp. 146-147.

 

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