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L’esplorazione
spaziale, non va dimenticato, inizia soprattutto grazie all’impegno di appassionati
di fantascienza. Nel 1930 il curatore della rivista Wonder Stories fonda l’American Interplanetary Society, seguita nel
1933 dall’omologa britannica a cui un paio d’anni più tardi si unì Arthur
Clarke, primo teorico dei satelliti artificiali e tra i più accaniti
sostenitori dell’esplorazione spaziale. Sul suo sito Internet, il critico di
fantascienza italiano Fabio Feminò ha raccolto una straordinaria galleria di
copertine delle storiche riviste di science fiction dell’Età d’Oro tutte
dedicate alle grandi navi spaziali, che allora rappresentavano senza dubbio il
simbolo per antonomasia della fantascienza (il Premio Hugo è appunto una
statuetta con la forma slanciata di un’astronave). Proprio
Feminò, che dedica sulla rete un ampio spazio alla storia del genere, riporta
una constatazione dello scrittore Brian Aldiss nella sua storia della
fantascienza Un miliardo di anni (1973):
“Il viaggio spaziale era un sogno, il prezioso sogno dei fan della
fantascienza. Quando il viaggio spaziale divenne una realtà, il sogno fu loro
sottratto. Nessuna meraviglia che le vendite delle riviste di SF calassero
drammaticamente dopo il lancio dello Sputnik!”. E Feminò aggiunge: “Da allora
iniziò il declino della SF, e il progressivo successo della cosiddetta
science fantasy, una forma di narrativa completamente svincolata da
qualsiasi conoscenza scientifica. Per questo c'è anche chi pensa che la
fantascienza non abbia più uno scopo, tanto da far affermare a John Brunner:
‘Non sarà la nostra civiltà a portarci fra le stelle, ma un'altra civiltà che
starà alla nostra come la nostra sta a quella classica.’ E a Lester del Rey:
‘Il futuro ci sfuggirà di mano al punto che le nostre attuali predizioni non
avranno più senso’".[6] Ecco,
abbiamo trovato il punto di non ritorno che del resto era già stato sottinteso
dalla Arendt: è quando l’esplorazione spaziale esce dalle pagine della
fantascienza per diventare realtà, che la narrativa di genere subisce la
rivoluzione che la porterà da letteratura moderna a letteratura postmoderna. L’ingenuità
del sogno spaziale sta tutta nella space opera classica, che non a caso fa
dell’universo piuttosto che della Terra lo scenario delle vicende. Il romanzo
di E.E. Smith Skylark of Space (L’allodola dello spazio, 1928), è
esemplificativo: abbiamo un brillante scienziato, il dottor Seaton, che scopre
una forma di energia nucleare capace di fornire la propulsione a un’astronave
interstellare da lui costruita, con la quale egli spalanca le porte
dell’universo. Il suo antagonista è il dottor DuQuesne, che mette invece queste
scoperte al servizio di una scienza distruttiva. Edmond Hamilton con i suoi
romanzi e le storie di Capitan Futuro, Jack Williamson con il ciclo della Legione dello spazio, Edgar Rice
Burroughs con l’avventuroso ciclo di John
Carter di Marte resteranno per decenni i capolavori incontrastati di un
genere nuovo, la fantascienza appunto, figlia della modernità e delle sue
esaltanti promesse.
In
questi romanzi protagonista è sempre l’Uomo omerico, che nel confrontarsi con
altre specie aliene riesce sempre – anche se spesso tecnologicamente inferiore
– ad avere la meglio. Posteriori di circa un decennio sono invece altri due
racconti significativi: Tendenze (1939)
di Isaac Asimov e Requiem (1940) di
Robert Heinlein, che si apprestavano allora a diventare i giganti incontrastati
della science fiction degli anni Quaranta e Cinquanta. In queste due storie
torna l’immatura idea à la Verne
riguardo la possibilità che un singolo individuo costruisca da solo una nave
spaziale e la sappia pilotare, che trova in America facile presa grazie al mito
intramontabile del self made man. In qualche modo però c’è una differenza
rispetto alle trame precedenti perché la sfida che i protagonisti devono
affrontare è diversa e proviene dai loro simili. In Tendenze il protagonista deve affrontare una sorda e iconoclasta opposizione ai viaggi spaziali proveniente da una società imbarbarita dalla propaganda religiosa; in Requiem l’opposizione proviene da una società ormai disillusa che non prova più per i voli spaziali il fanciullesco senso di meraviglia che spinge invece il protagonista a fare il suo primo e ultimo viaggio verso la Luna sfidando le leggi che glielo proibiscono. Fa qui capolino anche nella fantascienza quel disincanto del mondo di cui parlava Max Weber[7], frutto del trionfo della scienza nella società moderna. La guerra mondiale è ormai scoppiata, i figli illegittimi della modernità hanno preso il posto dei loro genitori.
Il
punto di svolta sta quindi, nel mondo reale, nel 1957 con il lancio dello Sputnik.
Nella fantascienza il punto di svolta si situa qualche anno più tardi con
l’inizio della New Wave, ma ebbe un
chiaro segno precursore nel racconto Mercato
prigioniero di un certo Philip K. Dick del 1955: in un mondo post-atomico,
uno sparuto gruppo di sopravvissuti tenta di costruire una nave spaziale per
lasciarsi alle spalle il pianeta che loro stessi hanno distrutto, ma i loro
tentativi vengono frustrati dallo stesso desiderio di ingordigia che ha
spazzato via l’umanità.
[6]
http://www.fabiofeminofantascience.org/FUTURO/FUTURO1.html e pagine successive.
[7] M. Weber, La scienza come professione, Armando,
1997.
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