Le catastrofi gemelle 

 

di Adolfo Fattori



In un bel libro di qualche anno fa[1] Marco Belpoliti ricorda un brano famoso di Susan Sontag dal saggio L’immagine del disastro,[2] saggio molto citato fra l’altro da coloro che si occupano di fantascienza e di “critica fantascientifica”:

La nostra è effettivamente un’epoca di estremismi. Viviamo infatti sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un terrore inconcepibile. E lo commenta considerando come, pur essendo stato scritto nel 1965, potrebbe essere stato scritto … qualche ora fa.

Cioè, per noi, un paio di anni fa.

Niente di più vero. Belpoliti pensava prima di tutto alle Twin Towers e alle sue conseguenze più immediate, ma penso che possiamo affermare che la percezione del pendolare fra “banalità e terrore” possa essere considerata una condizione endemica, isolabile dai fenomeni e dagli eventi concreti che affollano la nostra epoca, e attribuibile alla natura della società del III millennio.

  Robert Musil

Di recente, su “La Repubblica”, in un articolo titolato significativamente Lo stato di Kakania alla guerra di Bagdad,[3] Timothy G. Ash, commentando il comportamento della dirigenza degli USA in quei giorni, non può fare a meno di far riferimento alla storia dell’Impero austro-ungarico all’inizio della I guerra mondiale e a Robert Musil: Un alto ufficiale in pensione da me interpellato ha fatto un paragone piuttosto originale con la confusa strategia dell’impero austro-ungarico all’inizio della prima guerra mondiale. Incapace di decidere le priorità tra una serie di obiettivi strategici … finì per non realizzarne nessuno. È lo stato cronicamente disorientato che Robert Musil battezzò Kakania.

Colpiscono, in queste righe, una serie di corrispondenze e di rimandi: il riferimento di Belpoliti a due eventi cardine della fine del Novecento e il collocarsi invece delle situazioni descritte da Ash a due degli eventi che in qualche modo aprono e chiudono il secolo, il primo fra le cause (forse non tanto remote) dell’esistenza stessa del muro di Berlino, il secondo conseguenza diretta del crollo delle Torri Gemelle.

Nello spazio fra questi due poli – non solo temporali, ma prima di tutto simbolici – si colloca anche tutta la vicenda del Soggetto contemporaneo, dei disastri di cui è stato testimone e artefice, ma anche delle sue manifestazioni estetiche e scientifiche.

E indirettamente mi spinge a riflessioni che mi sembra siano rimaste ai margini della ricerca e del dibattito scientifico sul XX secolo, che in generale si è concentrato più sui pieni della cultura del secolo – in termini di linguaggi e prodotti artistici, come di ricerca scientifica – e forse ha trascurato un po’ le aree di vuoto, quelle in cui i punti di catastrofe[4] si sono manifestati con maggiore evidenza e vigore ispirando una consistente parte della produzione estetica – prima di tutto letterario – del secolo.

Mi spiego meglio.

Il XX secolo si è autocelebrato come il tempo del progresso e del futuro, della realizzazione dei primati e del raggiungimento di infiniti traguardi. Ed è stato studiato, anche dalle voci più critiche, come la fase storica dello sviluppo di una dimensione forte della ricerca culturale ed artistica: il cinema, le avanguardie artistiche, lo stesso trionfo della cultura di massa nei suoi intrecci con lo sviluppo delle tecnologie – prima di tutto quelle della comunicazione – fino all’ingresso nell’iperreale, nella simulazione, nella virtualità.

Molti non comprendono, e assumono atteggiamenti apocalittici, nostalgici nei fatti. Pochi, più lucidamente, ne hanno previsto[5] le prospettive o hanno descritto, quasi in tempo reale, il cambiamento.[6]

Intanto, il senso di disorientamento e incertezza pervade la dimensione del sociale, in senso sia individuale che collettivo. Non abbiamo futuro, non ci riconosciamo un passato.


[1] M. Belpoliti, Crolli, Einaudi, Torino, 2005, pag.17. cfr. http://quadernisf.altervista.org/numero3/crolli.htm

[2] S. Sontag, in Contro l’interpretazione, Mondadori, Milano, 1967.

[3] T. G. Ash, Lo stato di Kakania alla guerra di Bagdad, “La Repubblica”, 10/9/2007, pagg. 1 e 12.

[4] R. Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi, Torino, 1980.

[5] Ad esempio Guy Debord: cfr. in questo numero di “Quaderni”, l’articolo di Antonio Camorrino.

[6] Si pensi a Jean Baudrillard, ma anche ad Alberto Abruzzese con L’occhio di Joker, Carocci, Roma, 2006. Cfr. http://quadernisf.altervista.org/numero6/joker.htm

 

    (1) [2] [3]