Da frammento a sistema,
una pedagogia della sintesi

Edgar Morin
Semi di saggezza
Traduzione di Francesco Peri

Raffaello Cortina, Milano, 2025
pp. 126, € 16,00

Edgar Morin
Semi di saggezza
Traduzione di Francesco Peri

Raffaello Cortina, Milano, 2025
pp. 126, € 16,00


Nella vita sempre più frammentaria e disorganica dell’individuo contemporaneo, la densità espressiva delle annotazioni – soprattutto se altrui – a margine di pagina assume un ruolo cruciale, immedesimando essa stessa il testo di cui dovrebbe fungere da ornamento, aggettivo. La brevità è assunta, apprezzata, perché soddisfa il desiderio di coerenza interpretativa, eludendo l’ambiguità e difficoltà di appartenenza che distinguono l’oggi. Al contempo, il ripristino di una forma di pensiero complesso è, per Edgar Morin, punto di partenza per una rivoluzione in grado di sopperire alla crisi della conoscenza odierna “della quale ci curiamo tanto meno quanto più mutila”, come scrive nella raccolta di aforismi, Semi di saggezza (dove non indicato, le citazioni di Morin provengono tutte da questo libro, ndr). Ciò significa rendere visibili interconnessioni e retroazioni, relativizzare il pensiero riduzionista, meccanicista e disgiuntivo (che separa in via definitiva mente e corpo, natura e cultura, individuo e società), per contrapporre “alla dottrina che ha sempre una risposta […] la complessità, che ha sempre una domanda”. Allontanarsi dalle forme vuote e retoriche dei saperi definiti, della settorialità, significa muoversi a vantaggio di un progresso qualitativo del sapere. Come ricorda Morin in Conoscenza, ignoranza, mistero:

 “La mente funziona non solo in modo logico, ma anche in modo analogico, e può funzionare in modo dialogico (assumendo e associando contraddizioni)”
(Morin, 2018).

La fatica inevitabilmente implicata in questo processo – dove la base di partenza per sviluppare una conoscenza libera è la transdisciplinarietà stessa, perché “per comprendere occorre sempre contestualizzare” – è ampliata dalla consapevolezza di non poter far affidamento su dogmatismi o fanatismi di genere, dovendo necessariamente sottoporre sé stessi a un perenne esercizio di autoanalisi, rimanendo aperti anche all’idea stessa del proprio superamento. L’incertezza emerge allora come condizione fondamentale della conoscenza, non più problema da risolvere, ma dato strutturale:

“Il dubbio mette in discussione le credenze, compresa la credenza nel dubbio. Il dubbio è una virtù critica, e quindi va fatto valere per la critica stessa”.

Nonostante ai nostri giorni il vivere sociale si trovi indebolito dalle barbarie della razionalizzazione, l’autore nutre la speranza di un suo rinnovamento, che potrà emergere nelle “possibilità ancora inespresse del genere umano”, niente meno che una “scommessa sull’improbabile”, e quindi sul lettore stesso. L’idea è che la necessità latente di una nuova civiltà, una volta attivata, possa progressivamente emergere e affiorare alla coscienza attraverso singolari oasi di convivialità, anche laddove sembrerebbe non esservi più speranza. Può così essere instaurata una dicotomia, che Morin paragona al complesso ma necessario legame sportivo tra concorrenza e solidarietà: permettere una rigenerazione continuativa e quotidiana della fratellanza, evitando così che venga erosa dalla pura rivalità umana, da ciò che oggi somiglia più a un’interdipendenza reciproca che a un rapporto comunitario. La resistenza, l’atto di ribellione, sarà dunque ancora incarnato dal pensiero critico.

“I sistemi viventi sono sempre chiusi, per salvaguardare la loro identità e integrità, e sempre aperti, per conoscere, alimentarsi, cooperare. […] Non si può vivere senza essere parzialmente occlusi, accecati, pietrificati. Ma proprio resistere alla chiusura, all’accecamento, all’ossificazione è il compito intellettuale ed etico della mente”.

Eppure, a oltre cento anni, Edgar Morin ha scelto uno dei luoghi più improbabili per sintetizzare e coltivare la propria filosofia: Twitter (i testi sono precedenti l’acquisizione da parte di Elon Musk e il cambio di denominazione in X, ndr). In Semi di saggezza, sono raccolte decine di aforismi e riflessioni pubblicati dall’autore negli ultimi anni. Non una raccolta strutturata, ma costellazioni di intuizioni e ammonimenti, che si sottraggono deliberatamente ai modelli tradizionali di scrittura teorica, per inserirsi in una zona liminale, in cui riflessione e comunicazione si compenetrano. Così, il principale promotore del pensiero complesso come atto di resistenza all’incoscienza generalizzata e all’arroganza intellettuale, si misura qui con una delle forme più sintetiche del linguaggio digitale. I tweet si inseriscono, a dire il vero, nella continuità storica di una lunga genealogia di pensiero frammentario: da Pascal a Friedrich Nietzsche, l’aforisma è stato frequentemente scelto per formulare intuizioni che, altrimenti, non si sarebbero prestate alla linearità argomentativa di esposizioni più strutturate. Tuttavia in questo contesto a cambiare è il medium, perché Twitter non è un diario privato, tanto meno un’opera frammentaria concepita a posteriori, ma l’emblema dell’istantaneità comunicativa caratterizzante lo spazio pubblico contemporaneo, progettato per un’interazione il più delle volte rapida, effimera e distratta.

Peculiarità dell’interazione che avviene nei social, è l’assenza di intermediari a filtrare il rapporto tra soggetto e interlocutore. In questa prospettiva, Morin nota un parallelismo tra la “pubblica piazza” di Twitter e una più antica, quella in cui usava svolgersi il dialogo socratico. Qui lo scambio era accessibile e diretto, ma profondamente mediato dalle relazioni interpersonali e dal derivante contesto situazionale. L’intenzione dell’autore non è quindi idealizzare i media digitali, piuttosto il rimando alla tradizione socratica assume una funzione critica: ciò che oggi risulta compromesso non sono tanto gli spazi di interazione, quanto la dimensione relazionale che fonda e legittima la comunicazione stessa. Mentre lo scontro avviene non solo a distanza, ma soprattutto in anonimato, l’opinione impulsiva che gli da luogo, spesso scarsamente fondata, potrà essere messa in circolo senza generare conseguenze, né implicare un reale confronto. Se Twitter non è veramente socratico, è perché la somiglianza appare solamente sul piano formale, mentre da un punto di vista sostanziale non rivela nient’altro che una disconnessione dal pensiero complesso. Qual è, dunque, lo scopo di Morin? È lui stesso a dirlo: “Io complessifico e relativizzo dove altri semplificano e assolutizzano”. Problematizzare il discorso quotidiano è il punto di partenza per una riflessione volta a colmare il vuoto introspettivo che caratterizza l’esperienza umana contemporanea. L’approdo alla forma aforistica, lungi dall’essere un espediente retorico occasionale, emerge piuttosto come l’esito di una lunga maturazione teorica, quasi ultimo tentativo di trasmissione ideologica. Si tratta della necessità di preservare nozioni fondamentali ormai in pericolo d’estinzione:

“Le verità autoevidenti, quelle che ormai ci paiono banali, vanno rivitalizzate. Ci sto provando con questi miei ultimi tweet”.

Morin accetta la frammentazione come gesto conclusivo, retroazione attraverso cui ciò che era sistema si disgrega, divenendo seme: minimo denominatore in grado di condensare l’essenziale, in un tempo che non tollera nulla di più. Si tratta di un gesto testamentario. Morin assume volontariamente il rischio della brevità e, cercando una soluzione ai limiti imposti da Twitter, ne fa il portatore di una densità teorica eticamente orientata. Rimane tuttavia il rischio che il messaggio si trasformi in un simulacro della complessità, che potrebbe, per il lettore non iniziato alla filosofia di Morin, rimanere idea chiusa in sé stessa, massima di buon senso ma senza alcun impatto trasformativo. Alla base di Semi di saggezza, c’è una contraddizione: da un lato, l’intenzione di rendere accessibile il pensiero complesso; dall’altro, una richiesta di attivazione cognitiva e interpretativa spesso superiore a quanto il contesto stesso favorisca. La scrittura aforistica rischia così di diventare puro esercizio di stile, una forma di estetizzazione del sapere più che una sua trasmissione. Eppure, sotto traccia, emerge l’intento di stimolare brevi sbandamenti cognitivi, momenti di dissonanza e intuizione; non la pretesa di insegnare, ma di invitare e incuriosire, evocando l’esperienza di un sapere possibile. Questi concetti non intendono esaurirsi nell’immediata lettura, ma pretendono di fungere da innesco, orientare il lettore perché possa eccedere il loro contenuto esplicito. Ed è questa tensione a rendere il testo significativo: ogni “seme” costituisce, simultaneamente, una condensazione concettuale e un invito alla proliferazione interpretativa. In La testa ben fatta, Morin aveva già sottolineato l’esigenza di una riforma del pensiero e dell’educazione, “una riforma non programmatica ma paradigmatica, che concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza” (Morin, 2001), poiché “sempre di più, la gigantesca proliferazione di conoscenza sfugge al controllo umano” (ibidem), mentre “la riduzione al quantificabile condanna ogni concetto che non si traduca in una misura” (ibidem). È una critica all’abitudine di sovraccaricare le menti di informazioni, invece di insegnare agli individui ad orientarsi all’interno di un sapere sempre più frammentario. Perché la complessità non dev’essere confusa con la complicazione, si tratta di un intreccio dinamico, in cui ogni nodo è punto di connessione e rilancio. Come sostiene Morin:

“C’è complessità quando sono inseparabili le differenti componenti che costituiscono un tutto […] e quando c’è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti”
(ibidem).

La forma aforistica è, in questo senso, un’estensione coerente di quell’ideale educativo: il suo intento non è quello di istruire, ma di formare; non trasmettere un sapere già compiuto, ma seminarlo in una pedagogia lenta, predisponendo le condizioni per una sua germinazione critica. L’unità del testo non risiede nella linearità dell’esposizione, bensì nell’etica del pensiero, nel tono, nella coerenza interna della visione che lo anima. Semi di saggezza si presenta come tentativo di tradurre la complessità in un linguaggio compatibile con l’ecosistema mediale contemporaneo, aprendovi inediti spazi di riflessione. Questa sintesi estrema sollecita il lettore a un salto ermeneutico, dov’è richiesta una partecipazione attiva, co-produzione di senso. Perché il sistema non è assente ma rimane sottinteso, adattandosi alla complessità dell’esperienza, chiedendo di essere ricostruito nel momento stesso della ricezione. L’opera si apre così all’interpretazione, sola garanzia d’inclusione nella comunità di oggi, tempo in cui l’unicità del singolo è depositaria del suo valore, divenendo così parte integrante del processo di significazione del pensiero di Morin. Riprendendo Umberto Eco: “L’opera che «suggerisce» si realizza ogni volta carica degli apporti emotivi ed immaginativi dell’interprete” (Eco, 2023), perché i caratteri dell’opera aperta sono “«indefinitezza» della comunicazione, «infinite» possibilità della forma, libertà della fruizione” (ibidem).

In un contesto in cui i media richiedono, o più spesso simulano, la partecipazione attiva del pubblico alla costruzione del reale, l’atto interpretativo si configura come inevitabile. All’interno di una società in cui la ricomposizione della trama del pensiero dell’autore diventa strumento di sopravvivenza, condizione imprescindibile per orientarsi nel flusso disordinato dei contenuti, l’atto di Morin può acquisire il valore di pratica di resistenza culturale. Muovendosi da questa consapevolezza – dalla necessità di sottrarsi alla stasi di un tempo reale percepito come apatico, ripetitivo – egli non fa altro che moltiplicare le possibilità riflessive che il testo è in grado di attivare. In questa operazione, l’autore riconosce i limiti del cittadino odierno che, sottoposto alla pressione di ritmi in costante accelerazione, una volta immerso in un sistema digitale che evolve i media in forme collettive di comunicazione, ne viene continuamente stimolato. Tuttavia, quest’immersione sensoriale può costituire, simultaneamente, la soglia per un’identificazione individuale, un’occasione per interiorizzare, piuttosto che disperdere, il senso dell’esperienza. L’aforisma è quindi consapevolmente scelto da Morin come modalità espressiva adeguata alle odierne esigenze comunicative. In un’epoca in cui il sapere rischia di dissolversi in una circolazione inerte dell’informazione, un tweet, se ben coltivato, può fungere da matrice generativa del pensiero, emergendo come antidoto alla superficialità della ricezione: la pretesa non è di spiegare, ma quella, più sottile e forse più urgente, di sospingere.

Letture
  • Umberto Eco, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, La nave di Teseo, Milano, 2023.
  • Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 2023.
  • Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano, 2001.
  • Edgar Morin, Conoscenza, ignoranza, mistero, Raffaello Cortina, Milano, 2022.