No logos, sì logos… un sacro dibattito interiore

 

di Catello Parmentola

 

…non cerco l’emozione

non insinuo implicazioni  

non evoco i fantasmi 

di vecchie credenze obliate. 

Queste son cose da predicatori 

da ipnotisti, terapeuti e missionari.

Essi verranno dopo di me

e useranno quel po’ che ho detto

per tendere altre trappole 

a quanti non sanno sopportare

il solitario scheletro della verità.

Gregory Bateson 

 

Eccomi qui ad abitare un paradosso: dovere parlare del sacro, cioè del non parlabile per definizione.

Possiamo valutare la non parlabilità del sacro come una fortuna: il sacro rappresenta, infatti, una delle nostre poche possibilità di vivere una dimensione integratrice dell’esperienza e per conservare tale possibilità, una qualche forma di non-comunicazione si rende necessaria.

Sarebbe una contraddizione in termini, in effetti, cercare di mettere in parole una dimensione integratrice dell’esperienza e, d’altro canto, sarebbe pure impossibile riuscirci.

Questo perché ovviamente l’esperienza costituisce per definizione una mischia personale, non oggettivizzabile in una narrazione formale.

Non c’è qualcosa che si possa dire sul sacro in sé che non sia qualcosa sul sacro per sé, cioè la propria esperienza intorno al sacro. Non “riguardo al sacro” che evoca un distacco ossequioso e paralizzante, ma “intorno al sacro” che evoca il movimento circolare e quindi fortunatamente inconcludente.

È così vero che il sacro non esiste fuori dall’esperienza che – fuori dall’esperienza – deve definirsi sempre su qualcos’altro. Tant’è che potremmo ritenere il sacro solo un aggettivo. Fuori dall’esperienza, fuori dalla mischia personale, è impossibile trovare la parola “sacro” da sola. Provate in internet. Troverete il Sacro Cuore, il Sacro Graal e – credo – molte migliaia di sacro qualcosa, ma non troverete sacro, una sola parola scaricabile da sacro.

E allora parlando del sacro, parlo di me o di qualcuna delle cose che – come me – ci stanno per dentro o ci stanno per intorno, ma non parlerò del sacro. Di me, del cuore, del graal o della corona unita, ma non del sacro.   

Il sacro non è cosa per credenti
Il sacro è frequentato da chi ha un forte sentimento religioso: è quindi una cosa troppo seria per lasciarla “fare” ai credenti. Perché i credenti non fanno, già credono, in qualche modo sono arrivati, hanno concluso.

L’esperienza intorno al sacro invece abbiamo detto che è un movimento circolare e inconcludente, che ci porta nei paraggi di una complessità di suoi “oggetti” (anche luoghi, riti, simboli, il verbo…) con – dannati dalla necessarietà di una ricerca di non si sa che cosa (senso, consapevolezze, incontri, governi di sé, pacificazioni…), nella pura perdita di tutte le urgenze del sentimento (afferente a strutture involontarie e irragionevoli di noi), nella pura perdita di un viaggio nei paradossi, per paradossi, dove il vero fine è il mezzo, viaggiare, avvertire il proprio movimento, la spinta da dentro, movimento continuo che si ricarica con il movimento, metabolismo, calcio in culo.

Perché così è sempre un sentimento, “amare a” e non amare un complemento oggetto, una transitività infinita, con le cose che vanno e fanno partire quelle che tornano che fanno ripartire quelle che vanno. Sentimento non è contemplazione, ascesi o misticismo: è movimento, risposte che inducono domande che inducono risposte. Bisogna essere molto agitati, inquieti, per questo. Bisogna aver una gran forma fisica, un fisico bestiale.

Il sentimento religioso non è cosa per credenti. I credenti stanno lì, fermi, sanno cosa fare, cosa dire, sono sempre così sicuri di loro.

Il sentimento religioso è un casino, è un demone, un’arteteca, ti costringe a sbatterti tra tanto sacro, è spinto dal sacro, il sacro è la sovrastruttura che attiva il sentimento-movimento, dunque è il sacro alla fin fine il demone che ci agita, che non sappiamo cos’è e può essere tante cose, assumere tante forme, ma mai, maledizione! la forma di “un bilancio che quadra”.

E così, dubbio, ricerca, inciampo, appicciche (litigio in napoletano, ndr.) con se stessi, tra filosofia, ideologia, teologia, il non credente dedica un casino di tempo al sacro.

 

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