ORIENTAMENTI | QDAT 63 | 2016

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di Gennaro Fucile

 

Ogni stagione ha i suoi frutti tipici e ciò che accade in natura, avviene anche nelle attività umane, dando origine a fenomeni culturali che caratterizzano un periodo e talvolta lasciano anche un segno duraturo. Più di frequente, però, finiscono rapidamente nell’oblio. 

L’estate appena trascorsa non ha fatto eccezione, offrendo più di un avvenimento significativo, tutti ragguardevoli e meritevoli della palma di evento dell’estate, uniti forse da un elemento comune. 

Il primo a essere stato sotto i riflettori e il solleone è stata l’opera di Christo, Floating Piers, il ponte galleggiante sul lago d’Iseo. Osannata opera d’avanguardia di massa, per dirla con Maurizio Calvesi, al tempo stesso gran furbata per appassionati di arte pedestre, stando a quanto dichiarato dall’autore: "Vi farò camminare sulle acque, meglio se verrete senza scarpe; sarà una passeggiata dove sentirete le onde sotto i vostri piedi". Molti hanno scavato alla ricerca di significati reconditi, cadendo per l’ennesima volta nel tranello che ogni artista contemporaneo tende al pubblico, adescandolo nella giungla dei segni in libertà. C’è chi l’ha sparata grossa, per esempio lo scrittore Raul Montanari che l’ha definita una grande festa barocca, inneggiando alla libertà di toccare l’opera d’arte e di poterlo fare addirittura con i piedi. Peccato che l’opera d’arte fosse assente e a essere calpestato è stato il suo simulacro, perché il vero evento artistico e il corpo dell’opera era costituito da quel milione e mezzo di persone che hanno calpestato una struttura composta da 220.000 cubi e altrettanti perni che li tenevano insieme per una lunghezza complessiva di 3 chilometri, 200 ancore del peso di 5,5 tonnellate l’una, 37.000 metri di corda per connettere gli ancoraggi al pontile, 70.000 mq di feltro ricoprenti i pontili e le strade al di sotto del tessuto, 100.000 metri quadrati di tessuto ricoprenti i tre chilometri di pontile e 2,5 chilometri di strada e 2,7 milioni di litri d'acqua riempienti le sponde inclinate.

Allora, una volta appurato che l’effetto Beaubourg è lungi dall’essere terminato, con quel sottile, perverso assumere atteggiamenti infantili, che in fondo connota tutti gli atteggiamenti di consumo, dobbiamo volgere il nostro sguardo altrove (www.quadernidaltritempi.eu/rivista/numero61), alla ricerca dell’evento dell’estate. 

 

 

La vecchia tivù ci dà una mano. Vecchia per modo di dire, in realtà nuovissima, quella dedicata alla serialità più al passo con i tempi. Netflix, per esempio, con la serie che ha catturato grandi e meno grandi di un tempo, anch’essi adulti oggi, tutti tornati indietro nel tempo agli anni Ottanta grazie a Stranger Things dei fratelli Matt e Ross Duffer. Trionfo del citazionismo e della nostalgia (i motori della produzione culturale postmoderna, come ci ha insegnato Fredric Jameson), la serie ha posto interrogativi su quanto di buono ci fosse ancora in quel decennio al confronto di oggi, ha scatenato la caccia al rimando (Steven Spielberg e Stephen King, in primis, ma anche John Carpenter) più o meno esplicito a questo o a quel film o romanzo uscito all’epoca (una panoplia che va da Predator a Stati di allucinazione, da Nightmare a La casa), ha dato vita a un irrefrenabile effetto retrò, tutto in qualche modo reso possibile da un prodotto di eccellente fattura, che cattura, avvince e coinvolge. Si racconta di un’invasione del nostro spazio da un altro spazio, di ragazzini che si ergono a baluardo di casa nostra, di una Cosa da catturare che non è del nostro mondo. Erano gli anni Ottanta. 

Nel 2016 una nuova invasione da un altrove si è seriamente candidata a essere l’evento culturale dell’estate: l’invasione dei Pokémon. L’applicazione per iOS e Android in questione si chiama Pokémon Go, è stata sviluppata da Niantic Labs ed è distribuita da Nintendo. Gli invasori sono i famosi mostriciattoli inventati nel 1996 da Satoshi Tajiri. All’epoca, però, per catturarli occorreva entrare nel loro mondo, videogiocando con la consolle Nintendo, mentre in questa seconda ondata sono loro a infiltrarsi nella nostra, grazie alla realtà aumentata, attraverso una mappa Gps che riproduce il luogo reale in cui il giocatore dà la caccia ai Pokémon, che si possono trovare ovunque grazie a un algoritmo. Basta avere un cellulare e il gioco è fatto, letteralmente. I Pokémon spuntano ovunque, anche in contesti, come un funerale, per esempio, che rendono imbarazzante darsi da fare per acciuffarli, ma mettendosene a caccia ugualmente, senza avere scampo, perché la dinamica compulsiva attivata esercita un potere assoluto. La pokémonmania è trasversale, non conosce frontiere e conduce tutti inesorabilmente alla dimensione che del gioco è sovrana: l’infanzia. Il pubblico in mostra sul ponte di Christo, quello chiamato audience che si è (giustamente) appassionato alle vicende di Stranger Things e la folla solitaria alla caccia di mostriciattoli invasori, ci appare il medesimo sotto varie spoglie: il popolo dei consumatori, che vive, pensa, agisce all’ombra di quell’etica dell’infantilizzazione, autentico motore della società dei consumi, di cui parla Benjamin Barber nel suo Consumati (Einaudi, Torino, 2010). Un filo comune dunque c’è?

 

 

Se così stanno le cose, occorrerà volgere lo sguardo proprio laddove la cultura dei consumi si è generata ed evoluta, ovvero nella zona della comunicazione di marca. Lì, è possibile che si annidi il vero fenomeno culturale dell’estate 2016. Una pubblicità all’altezza dei tempi, non destinata alle televisioni generaliste, meglio ancora se ospitata in un sito dedicato, all’interno di un progetto di infotainment di una marca di prestigio, affermata, diffusa, nota, insomma Kinder di Ferrero, l’azienda della Nutella. Il racconto di marca si intitola Storie di Gioia, quest’ultimo non è un nome proprio, ma un sostantivo enfatizzato con la maiuscola, un difetto inestirpabile della comunicazione commerciale tout court. Lo spot è preceduto da un preambolo che recita così: “I genitori pensano sempre di non dedicare abbastanza tempo ai loro figli, ma cosa ne pensano i loro bambini? Per loro ogni momento insieme conta. Non esiste un tempo per essere felici migliore di adesso: scoprilo con le nostre Storie di Gioia”. Inizia il racconto, una mezza dozzina di genitori, quattro mamme e due papà, si alternano su un divano (un tocco di freudismo non guasta), che troneggia al centro della scena, uno studio davvero spoglio, per confessare a turno la loro inadeguatezza nei confronti dei pargoli. Di fronte hanno una parete bianca, dove, terminato il giro dei mea culpa, compaiono i bambini, che narrano dal loro punta di vista le piccole grandi esperienze che vivono con i loro genitori. Al termine, la parete si apre, con innegabile rimando alla porta che divide il mondo di Truman da quello degli spettatori del suo Show: escono di corsa i bambini, correndo tra le braccia dei genitori più o meno commossi. Ci sovvengono le parole di Zygmunt Bauman: “Ogni consumatore difettoso si lecca le ferite in solitudine, nel migliore dei casi con la sua famiglia, se questa non è ancora distrutta” (Consumo dunque sono, Laterza, Bari, 2008).

Qui, in un colpo solo, abbiamo adulti e bambini, le due facce della stessa medaglia, ritratti con semplicità, facce comuni, circola un alone di sciattezza, aleggia la quotidianità, si rispetta la diversità con un papà e due bimbi di colore, ci si concede qualche momento stucchevole, con qualche lacrima, ma tutto sommato, non c’è niente di artefatto, tutto è sano e naturale come il prodotto che resta dietro le quinte. 

Come fare a non riconoscersi in quei genitori, gente comune, che subisce il diktat della nostra epoca: massima flessibilità nel mondo del lavoro, a tempo pieno, parziale, precario, nero o disoccupato ed estrema rigidità nel mondo dei consumi, dove vige l’obbligo di partecipare, di essere sempre più attivi dell’universo culturale che afferisce alla narrazione di merci sempre più autoriali e sempre meno oggetto delle narrazioni. Le merci diventate marche ci narrano, assumendosi sempre meno l’onere di pubblicizzarsi. Con tutto il rispetto per l’arte contemporanea, la serialità televisiva e le applicazioni ludiche della tecnologia, il frutto migliore dell’estate 2016 sa di snack al cioccolato e altre varianti.