VISIONI / CRIMSON PEAK


di Guillermo Del Toro / Universal, 2016


 

L'enigma delle camere chiuse


di Francesca Fichera

 

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Non è la via d’uscita, in questo caso, che manca al Teseo spettatore mentre segue il filo dell’Arianna creatrice, quanto un colpo d’occhio sull’intero dipanarsi del labirinto, sui suoi innumerevoli anfratti, le sue illimitate aperture. Perché non è tanto importante arrivare alla fine, completare il percorso, tornare al mondo: più di saper tornare indietro, qui conta proseguire nell’esplorazione, conoscere tutte le pieghe dello spazio, i vicoli ciechi, i passaggi segreti, gli ambienti nascosti dove il passato sonnecchia.

Se leggiamo un racconto o guardiamo un film come fosse un dedalo, un castello pieno di corridoi e di stanze chiuse, ogni singola citazione fungerà da chiave per dischiuderne i segreti e mapparne il mistero; più citazioni saremo in grado di cogliere, più chiavi raccoglieremo, più potremo essere padroni della struttura complessiva e del suo senso.

E se è vero com’è vero che ciò si realizza soprattutto nel genere, dispositivo di meta-narrazione per antonomasia, sistema di storie che gioca di continuo ad auto-alimentarsi, allora abbiamo ragione di credere che, con Crimson Peak (ora in edizione home video) Guillermo Del Toro abbia portato a compimento il non plus ultra dell’orrore che parla di orrore (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 53).

Un divertimento serio, una sfida lanciata al lettore-spettatore affinché non possa godere completamente della storia in sé se non attraverso le mille e una storie che essa contiene, celate dietro le pareti mobili dei suoi trucchi narrativi.

Lo stesso fulcro del racconto sorge da una suggestione gotica per eccellenza, quel La caduta della casa degli Usher in cui Edgar Allan Poe, attraverso un uso angosciante della prima persona, mescola il terrore alla malinconia fra le pareti di un’antica magione in rovina (cfr. Poe 1974); magione molto simile al “picco cremisi”, dal colore dell’argilla che ne impregna il terreno, dove il suadente baronetto Thomas Sharpe, nel film interpretato da Tom Hiddleston, porta a vivere la sua novella sposa Edith Cushing (Mia Wasikowska), figlia di un ricco uomo d’affari dal quale il giovane ha tentato vanamente di ottenere dei finanziamenti, morendo poi in circostanze misteriose. Su di loro, casa compresa, si allunga imperterrita l’ombra di Lucille Sharpe (Jessica Chastain), sorella di lui e presenza spettrale più degli spettri stessi.

Ed è dallo spettro e dalla sua definizione, similmente a come fatto in precedenza con La spina del diavolo (2001), che Del Toro, al pari di Poe, fa sì che la sua protagonista cominci a raccontare. È dicendo “i fantasmi sono reali” (nell’originale “ghosts are real", ma nel doppiaggio italiano si è preferito “i fantasmi esistono”, ndr) che Crimson Peak inizia la sua storia di fantasmi, quasi a voler rinsaldare il patto di sospensione dell’incredulità sancito con gli astanti. I riferimenti muovono a partire dal mare letterario dell’età romantica e delle sue propaggini gotiche, dove il nome di Poe nuota accanto a quelli di Jane Austen e Mary Shelley, fino a racchiudere spontaneamente, ossia secondo una logica votata alla completezza e alla fedeltà letterale, il cinema che da quello stesso mare ha attinto la propria linfa vitale. In Crimson Peak c’è soprattutto la Hammer Films del primo Dracula a colori, girato da Terence Fisher nel 1958, con la sua tavolozza emotiva fatta di preludi verde acido ed esplosioni color sangue, di parati cerulei illuminati dalla luce di candela e inquietanti presenze macchiate di rosso nascoste dagli stipiti; ci sono i film gotici di metà Novecento, inglesi ma anche e più di tutto italiani, ammantati di quell’apparente decadenza che non è altro che la nuova e variopinta veste dei miti moderni, sempre più strettamente vincolati alle forme e ai modi della serialità. E il rimando diventa persino trasparente quando, ad esempio, nel cognome della protagonista femminile riecheggia la memoria del Peter Cushing attore, fra i principali interpreti e punti di riferimento della casa di produzione londinese.

Tutto si agita su più livelli, come il genere impone, ma in una maniera sistemica, strutturale, dalla squisita evidenza metaforica. Edith, esempio perfetto di pallida eroina tardo-romantica (o, prima ancora, versione rivisitata della moglie di Barbablù), si aggira per le stanze di Allerdale Hall, la dimora fatiscente in cima al “picco cremisi”, munita di candelabro e di curiosità, e risoluta a esplorare tutto ciò che le è stato proibito. Ogni dettaglio da lei colto si aggiunge a quelli da cogliere, lo sguardo interno, o diegetico, accompagna quello esterno dello spettatore lungo un doppio percorso di risoluzione: del mistero di casa Hall, da un lato, e del sontuoso puzzle della sua messinscena, dall’altro. Parrebbe quasi di assistere a una Rebecca hitchcockiana in costume, Allerdale Hall come la tenuta Manderley, la cognata Lucille come la terribile governante Danvers, se non fosse che il primo dei due suddetti enigmi perderebbe metà del proprio valore privato della sua macchinosa cornice.

Mai come in Crimson Peak il senso dei particolari è dato dalla logica con cui sono collocati nello spazio-tempo della narrazione. Edith sale ai piani superiori, percorre i corridoi, entra nelle stanze della casa, conosce i suoi fantasmi; e noi con lei. E quando arriva il momento di scendere in profondità, di viaggiare nella dimensione dell’interdetto, balzando per caso sulla carrucola che conduce ai sotterranei dell’abitazione, nuove e fondamentali parole si aggiungono alla frase incompleta del giallo, come nel gioco dell’impiccato; e il non ritorno, l’irreversibilità del processo di (almeno superficiale) comprensione, sono ormai innescati.

Dal rimosso, da ciò che è sepolto, emerge il passato, la verità; riemergono gli indizi. Fa capolino, ancora una volta in forma di spettrale omaggio, la figura di Poe, attraverso quel ricordo di cassa oblunga che prelude al più indicibile degli orrori. Solo allora, a esplorazione conclusa, Edith Cushing possiede tutti i pezzi da mettere insieme, può finalmente capire; solo conoscendo ogni angolo di Allerdale Hall, la casa, il labirinto, può decifrarne l’enigma e spogliarne il segreto. Alla stessa maniera, il pubblico è chiamato da Del Toro a una doppia immedesimazione nel ruolo principale: a interpretare il film come se esso fosse il posto fisico che ne è protagonista. A identificare Allerdale Hall con Crimson Peak.

In questo modo non vi sarà casa, distrutta o meno, da lasciare e dimenticare alla fine della storia, né passato da carbonizzare, né fantasmi di colpa da mettere a tacere. Il serio divertimento messo in atto da Del Toro, il suo sgargiante mistero a scatole cinesi, compie e dimostra la necessità dell’eterno ritorno nel processo di ricerca: invita a rientrare, a riesplorare, a guardare e vivere tutto come fosse una gara a scoprire il maggior numero possibile di riferimenti, stratificati e potenzialmente infiniti. I rimandi alla letteratura gotica, e ai film di Fisher e Mario Bava che le hanno ridato lustro, ne costituiscono solo una porzione, il punto di partenza assieme ai collegamenti interni allo stesso universo di Del Toro che Crimson Peak sviluppa. In tal senso, basterebbe ribadire l’appartenenza di quest’ultimo, insieme con il già menzionato La spina del diavolo e Il labirinto del Fauno (2006), a un’ideale trilogia dei fantasmi cinematografica che intende sperimentare ogni possibile declinazione semantica del termine e della figura del phántasma, dell’apparizione; e tuttavia, un corridoio esiste pure fra Crimson Peak e La madre (2013), film diretto da Andrés Muschietti ma voluto e prodotto da Del Toro, dove, oltre a servirsi dello stesso legame simbolico fra morte e farfalle, il monstrum sfrutta la medesima fisicità corrotta e fuori dalla norma di Javier Botet, fra gli attori-feticcio del regista messicano insieme con Doug Jones. E si potrebbe andare avanti a oltranza, pur rischiando di privare l’esplorazione del labirinto di Allerdale Hall del piacere della (ri)scoperta che mira a suscitare, nella certezza di rivolgersi, o almeno di arrivare, specialmente a un pubblico esperto, nella cui memoria i mille mondi citati da e in Crimson Peak hanno subito lo stesso tipo di stratificazione con la quale si presentano nel film. Fermo restando che perfino il più acuto intenditore potrebbe lasciarsi sfuggire, a una prima visione, la parola fear incisa nella carta da parati di Allerdale Hall: per accedere a Crimson Peak bisogna essere preparati, ma anche prepararsi.

 


 

VISIONI

  Mario Bava, I tre volti della paura, CG Entertainment, 2013 (home video).
Guillermo Del Toro, Il labirinto del Fauno, Eagle Pictures, 2007 (home video).
Guillermo Del Toro, La spina del diavolo, Moviemax, 2006 (home video).
Terence Fisher, Dracula, CG Entertainment, 2013 (home video).
Alfred Hitchcock, Rebecca, Record Service, 2014 (home video).
Andrés Muschietti, La madre, Universal Pictures, 2013 (home video).