Globalizzazione.
Una mappa dei problemi

di Danilo Zolo

Laterza, Bari, 2006

pagg. 162

6,00

 

 





 

Globalizzazione. Una mappa dei problemi
di Danilo Zolo

 

Zolo sembra in sintonia con l’ultimo Umberto Eco (A passo di gambero). Gli atlanti politici di oggi si confondono con quelli dell’inizio del secolo scorso, nota Eco e Zolo guarda alla globalizzazione come causa, qualsiasi cosa il termine significhi. Tenta di individuarne tratti e confini il meno possibile indeterminati.

Tra le letture del termine, Zolo propende per quella, a suo avviso più equilibrata, fornita da Anthony Giddens, meno schierata sul fronte degli apologeti o, al contrario, degli irriducibili oppositori. Globalizzazione per Giddens designa “l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località molto lontane, facendo sì che gli eventi locali vengano modellati da eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa”.

Non è molto, ma la definizione convince Zolo che la apprezza proprio in virtù “della sobrietà semantica, della prudenza esplicativa e dell’apertura pluridimensionale”. Impostazione che egli mantiene nell’analizzare con realismo il disfarsi del vecchio mondo moderno in tutti i suoi aspetti principali, da quello economico alle comunicazioni di massa, dell’equilibrio ecologico a quello che fu imposto dalla guerra fredda. La difficoltà di districarsi tra le varie letture disponibili del concetto di globalizzazione non deve meravigliare. Al pari di postmodernità da cui forse discende, di cui forse è il motore, la globalizzazione si intona a qualsiasi definizione salvo poi mostrarne le insufficienze.

Vale per la modernità liquida di Zygmunt Baumann come per quella in polvere di Arjun Appadurai, per il concetto (altro restauro?) di impero proposto da Antonio Negri e per la macdonaldizzazione di Gorge Ritzer. Forse il difetto è nel manico. Come possono funzionare le analisi dei sociologi e dei politici se gli manca la materia prima, ovvero la società? Le classi sociali sono evaporate, i cluster di consumatori durano il tempo di una promozione, i ceti produttivi sono stritolati da una tenaglia fatta di alta tecnologia e nuovi schiavi. Forse bisognerebbe partire dalla relazione pericolosa instaurata tra la sfera del consumo e quella del militare.

Tra le righe qualcosa in questa direzione emerge anche da quanto scrive Zolo: “La nuova guerra può essere considerata globale in un senso ideologico. Lo è innanzitutto per il costante richiamo a valori universali che lo promuovono: esse giustificano la guerra in nome non di interessi di parte o di obiettivi particolari, ma da un punto di vista superiore e imparziale che si ritengono condivisi o condivisibili dall’umanità intera”. Ora, se da un lato abbiamo i monoteismi che dichiarano guerra alla complessità del mondo, abbiamo noi in Occidente un valore più universale della democrazia del consumo?

Quanto all’analisi condotta riguardo al progressivo smantellamento del diritto internazionale e della mutazione della guerra, questa ha trovato un’altra tragica conferma in Libano. Tornando a Zolo, non solo è apprezzabile la misura dell’analisi, tesa a stendere “una mappa dei problemi” come recita il sottotitolo, ma vale ancora di più con queste premesse la chiusa del libro, quando l’autore sottolinea la necessità di liberare il pianeta dal Washington consensus, “il sigillo imperiale della negazione della bellezza e della complessità del mondo”.


 

Recensione di g. f.