LETTURE / CONVERSAZIONI


di Iosif Brodskij / Adelphi, Milano, 2015 / pp. 314, € 20,00


 

Il poeta è l'animale più sano


di Roberto Pacifico

 

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Il 28 gennaio 2016 si celebrava il ventennale dalla morte di Iosif Brodskij, poeta e scrittore russo, nato a Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1940, premio Nobel nel 1987, cittadino americano dall'11 ottobre 1977. L’editore Adelphi ha anticipato l’anniversario con la pubblicazione del volume a cura di Cynthia L. Haven, Conversazioni (traduzione di Matteo Campagnoli, eccetto l'intervista di Adam Michnik che si deve a Barbara Delfino), diciannove interviste che coprono l'intero periodo successivo all'esilio (1972) dall'allora Unione Sovietica, fino a poche settimane prima della morte, avvenuta per improvviso attacco cardiaco nella sua abitazione di Brooklyn. 

Brodskij s’inserisce nell’ampia e variegata categoria di scrittori del Novecento che, prima di lui, hanno usato come strumento espressivo e letterario le lingue dei paesi di adozione: come l'irlandese Samuel Beckett, che, emigrato in Francia nel 1938, cominciò a scrivere in francese nel 1945, e il russo Vladimir Nabokov, che nel 1940 si trasferì negli Usa, e continuò la sua attività di romanziere in inglese. 

Uno dei temi ricorrenti di Conversazioni con Iosif Brodskij è la condizione dell'esule, descritta, però, soprattutto nei suoi riflessi sul lavoro letterario: in queste interviste Brodskij, in genere molto affabile e comunicativo, non entra volentieri nei dettagli inerenti ai retroscena delle vicende in terra russa fino alla definitiva e obbligata partenza. 

I problemi per Brodskij cominciarono nel 1963 con la denuncia del poeta, da parte del Segretariato dell'Unione Scrittori, alla Corte di Giustizia, come "parassita". Alcuni agenti del Kgb lo arrestano per strada e ne confiscano successivamente diari e carte. L'anno dopo, gennaio-febbraio, il processo: almeno venti i capi d'accusa, tra i quali vagabondaggio, distribuzione di opere di autori proibiti (come le due regine della poesia russa, Anna Achmatova e Marina Cvetaeva), corruzione della gioventù. Era il 1964. È condannato a cinque anni di confino in un sovchoz (azienda agricola statale), e prima di andare in Siberia, viene mandato in un ospedale psichiatrico. La condanna ai lavori forzati verrà presto commutata (4 novembre 1965), ma si fa parecchi mesi di lavori manuali e piuttosto umili (come spalare il letame) nel villaggio di Norenskaja, vicino al Circolo Polare Artico. Trova però il tempo di studiare e leggere, soprattutto l'inglese. In alcune interviste rievoca quel periodo in termini e toni sorprendentemente meno negativi di quanto un lettore occidentale si aspetterebbe. Dopo aver ricevuto (1971) un invito ufficiale a emigrare in Israele (era ebreo per parte di padre), viene espulso dall'Urss il 4 giugno 1972. Pochi mesi prima Carl Proffer, in visita temporanea a Leningrado, gli aveva offerto un posto di poet in residence ad Ann Harbour, Michigan. Egli ovviamente accetta e così, a trentadue anni, si apre la vita nuova di Brodskij: lo scenario sono gli Usa. In ogni caso, l’interesse di queste interviste è più letterario-culturale che sociologico-politico. In queste conversazioni Brodskij parla, spesso con ironia, di temi inerenti alla sua attività di poeta (dove e come nasce la poesia; qual è la sua natura; la missione "antropologica" che il poeta le assegna nell'evoluzione dei linguaggi e dell'espressione umana; qual è il suo rapporto con la prosa; il problema della traduzione), e ai poeti/scrittori da lui prediletti, come Robert Frost, Wystan H. Auden, Derek Walcott, Constantin Kavafis, Osip Mandel'štam, i polacchi Cesław Miłosz e Zbigniew Herbert, che ritroviamo tutti in queste interviste, insieme a molti altri, fra i quali, cogliendo qua e là, grandi poeti latini come Catullo, Properzio, Orazio, Ovidio, Marziale. Fra gli italiani, oltre al posto d'onore riconosciuto a Dante Alighieri, Brodskij ricorda anche Eugenio Montale e un "giovane promettente", Valerio Magrelli. Inoltre, dedica parole illuminanti e bellissime ad alcune figure femminili di spicco nella poesia russa come le citate Achmatova e Cvetaeva. 

Sembrerà strano, ma Brodskij ha una visione e un concetto di poesia molto poco rivoluzionari: ama le forme tradizionali, le rime, i versi ben scritti e soprattutto metricamente regolari. Alla domanda (di Jane Eller Glasser) "perché usi soprattutto le forme tradizionali", risponde: "Per diversi motivi. Mi piace l'aspetto sonoro, l'organizzazione. E poi, direi, perché è molto più difficile di qualsiasi altra cosa, del verso libero, per esempio, e del blank verse, il verso sciolto, senza rima. Si tratta di una struttura molto rigida, quindi, a quel punto, neanche si parla della tua lingua. È una questione di libertà della lingua, di vedere se la lingua riesce a farcela all'interno di una struttura così rigida. È semplicemente il senso della disciplina". 

La disciplina della forma, che per molti è costrizione, busto artefatto e soffocante, funge secondo Brodskij da catalizzatore (o “acceleratore” come ama dire) mentale ed espressivo grazie, per esempio, alle tensioni tra forma chiusa, tradizionale, e contenuti moderni, o ai nuovi rapporti di senso (semantici e fonosimbolici) che può generare la rima. Non scriverà quasi mai poesia in inglese, lingua che invece userà sistematicamente per la prosa; non perché l'inglese è meno poetico del russo: al contrario, Brodskij ritiene l'inglese, per la sua ricchezza di parole monosillabiche, una delle lingue più versatili anche per chi scrive versi. Brodskij apre una questione molto dibattuta ancora oggi, e legata alla seguente ipotesi di lavoro: l'adozione della nuova lingua come strumento compositivo e letterario è più facile (o meno traumatica) per un narratore o scrittore in prosa che per un poeta. Una prova di questo è la difficoltà di tradurre una poesia dalla sua lingua di origine in un'altra, processo nel quale, secondo Brodskij, il testo originale perde molto (o, nella peggiore delle ipotesi, tutto) del suo valore aggiunto legato al significante. 

Per Brodskij la prosa è "liberatoria", mentre la poesia, con le sue regole tradizionali e fortemente radicate nella lingua originale (metrica, ritmica, fonica), costituisce un limite virtuoso perché, sembrerà paradossale, con il riscatto chiesto dalla Disciplina viene liberata e addirittura potenziata la Creatività. Per questa ragione, Brodskij è sempre scettico in merito al verso libero, che può avere senso solo se inteso come "libero da" regole precedenti che, per essere infrante, devono essere appunto conosciute e rispettate.  

Per Brodskij la poesia non si limita, tuttavia, alla sua natura di arte della versificazione: è la “missione antropologica dell'uomo”. “La poesia non è un'arte, o una branca dell'arte, è qualcosa di più. Se la parola è ciò che ci distingue dalle altre specie, allora la poesia – l'operazione linguistica per eccellenza – è il nostro scopo antropologico. Chiunque consideri la poesia alla stregua di intrattenimento, di «lettura», commette un crimine antropologico, in prima istanza contro se stesso”. 

Nella composizione poetica lavorano in perfetta integrazione e simultaneità i due principali processi di conoscenza, quella intuitiva e quella razionale: “il poeta –dice Brodskij – è l'animale più sano: combina analisi e intuizione – analisi e sintesi – per giungere al risultato, alla rivelazione. Per questo la poesia è il più efficace acceleratore mentale. Leggerla e scriverla offrono lo strumento di conoscenza più rapido, il più economico che io conosca”.

La poesia e la letteratura rientrano per Brodskij nella categoria fruitiva e produttiva dell’estetica. L'estetica è la madre dell'etica si intitola una delle interviste più forti sul piano filosofico. L'individuo educato all'arte (musica, letteratura, ecc.) sarà necessariamente un uomo etico perché il miglioramento e l'affinamento dello spirito grazie all'arte predispongono la persona al rispetto di sé, degli altri e del mondo; e quindi alla vita etica. Per Brodskij l’educazione e la sensibilità al bello sono il presupposto fondamentale per il mantenimento del senso etico: "Credo che per rendere la società veramente vivibile sia necessario puntare sull'estetica, perché non può essere simulata. Vale a dire che gli uomini devono prima di tutto diventare esseri estetici. Vede, l'estetica, dal mio punto di vista, è la madre dell'etica. La Chiesa, per quanto possa eccellere nelle questioni etiche, non è in grado di produrre arte. Quantomeno, il modo in cui l'arte tratta le questioni ecclesiastiche è molto spesso ben più interessante del modo in cui le tratta la Chiesa. Per esempio, la versione dell'aldilà che ci fornisce Dante nella Divina Commedia è molto più interessante di qualsiasi cosa possiamo trovare nel Nuovo Testamento, per non parlare di Sant'Agostino o degli altri Padri della Chiesa".

Resta il fatto che la Bibbia è uno dei libri che Brodskij consiglia a un giovane poeta: "bisognerebbe avere la mano sinistra su Omero, la Bibbia, Dante e i volumi della Loeb Series [i classici greci e latini], prima di impugnare la penna con la destra". L'invito è valido, ovviamente, anche per i mancini...

 


 

LETTURE

  Sven Birkerts, Intervista con Brodskij, Minimum Fax, Roma, 1996.
Iosif Brodskij, Poesie (1972-1985), Adelphi, Milano, 1986.
Iosif Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, Milano, 1987.
Iosif Brodskij, Fuga da Bisanzio, Adelphi, Milano, 1993.
Iosif Brodskij, Poesie italiane, Adelphi, Milano, 1996.
Iosif Brodskij, Dolore e ragione, Adelphi, Milano, 1998.
Iosif Brodskij, Il profilo di Clio, Adelphi, Milano, 2003.