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di Maria D’Ambrosio

 

“Mi chiamo Barry Allen e sono l'uomo più veloce del mondo! Da piccolo vidi mia madre morire per mano di qualcosa di impossibile. Mio padre fu accusato del suo omicidio. Poi un incidente trasformò me in qualcosa di impossibile! Agli occhi del mondo sono un perito della polizia scientifica, ma uso in segreto la mia velocità per combattere il crimine e trovare altri come me. E un giorno scoverò chi ha ucciso mia madre, e avrò giustizia per mio padre! IO SONO FLASH!”

È così che si presenta, a partire dal primo, paradigmatico episodio, a inizio di ogni puntata della serie The Flash, il suo protagonista. Ed è così, con questo pathos, che ci si prepara ad assistere agli episodi che lo vedono da brillante studente di chimica, poi scienziato del Dipartimento di Polizia di Central City. 
A prima vista, e stando anche alla tuta rigorosamente da supereroe calzata per ogni epica occasione da Barry alias Flash, potrebbe sembrare la solita serie poliziesca americana che segue le vicende di un protagonista con superpoteri in perenne lotta contro il male. D’altronde anche la sua presentazione sembrerebbe confermarlo. E di fatto la struttura narrativa passa per i topoi del genere – con una solida tradizione che ne fa un genere  gradito al pubblico giovane e giovane-adulto – e ci fa riconoscere la scia rossa della corsa di Flash come quel fil rouge da seguire per unire umano con metaumano, possibile con impossibile, quasi con la segreta speranza di sconfiggere ciascuno le proprie paure e poter contare sul proprio poliziotto/angelo custode. La storia, infatti, strizza l’occhio a molte altre: prima fra tutte viene in mente quella del primo eroe in calzamaglia, Superman. In particolare lo fa, esplicitamente, con quella di Arrow – l’altra serie di successo del 2012 nata dal fumetto Green Arrow del 1941 di cui The Flash, del 1940, è spin-off – per segnalare la specificità di Flash che, pur situato nel metauniverso dei supereroi, è personaggio salvifico e non malefico, designato come tale a compiere la sua missione.

L’aspetto interessante della giovane serie The Flash – siamo appena a conclusione della prima stagione – sta nel proporre in veste di fantascienza questioni scientifiche molto attuali che partono dalla velocità (quella di Flash va contro ogni legge della fisica) e arrivano ad occuparsi di materia/antimateria e di tecnologia per fare della Robotica e della Chimica/Fisica i veri protagonisti e l’ambiente da cui le storie emergono e prendono senso. Non a caso il protagonista si muove alternativamente tra la Centrale di Polizia e i laboratori della STAR Lab, ed è proprio qui, in occasione dell’evento/esperimento di accensione dell’acceleratore di particelle, che un incidente inspiegabile dà origine alla storia, preparando il pubblico a domandarsi il perché e il come di certi eventi e di certe loro conseguenze. 
Molte fiction e serie Tv di genere poliziesco ci hanno abituato a muoverci tra potenti tecnologie da usare come estensione iperreale di capacità di osservazione, ricerca e calcolo, per “risolvere” casi apparentemente impossibili. Ma l’aspetto interessante di The Flash sta nel rendere appetibile la scienza e la ricerca, presentandole come i futuri/futuribili superpoteri cui l’uomo può tendere in chiave di bene comune e di salvezza. D’altronde la carriera dello scienziato ha problemi di appeal pubblico, e si sa. Lo si comprende anche dalle più recenti politiche come quelle di Horizon 2020 che individuano nella promozione del sapere e della ricerca scientifica la loro necessaria strategia per prospettare in questa chiave lo sviluppo urbano e la cultura produttiva. La prospettiva che si intravede anche in The Flash propone il sapere scientifico e tecnologico come un valore che necessita di essere incarnato in competenze e volontà di professionisti smart con alta propensione alla ricerca e all’innovazione. Anche a questi professionisti, poco conosciuti e poco accessibili ai più, sembra mancare una cornice di senso che viene fornita loro dalla tradizione millenaria e dalla cultura del racconto epico. Non si tratta di recuperare in chiave favolistica moderna la figura del mago, quanto invece di fornire al genio la sua umanità e i suoi dilemmi e drammi quotidiani che lo pongono contro questioni etiche in forma di lotta o sfida da vincere e da superare.   

Sul piano dell’immaginario sociale, pare si possa riconoscere che The Flash si situi tra quei prodotti ad alto tasso di innovazione che scelgono però di usare la forza della tradizione narrativa e dei generi popolari per “conquistare” un più esteso pubblico possibile, e quello giovane in particolare, per renderlo sensibile ad un metadiscorso che va oltre il bene e il male, ma si pone le grandi domande relative alla scienza e all’innovazione tecnologica. In questo senso il personaggio di Iris, migliore amica di Barry, da giornalista, incarna la possibilità di uscire dal cerchio ristretto dei geniali eroi e supereroi per entrare nella sfera dell’opinione pubblica, dove tutto ha una ricaduta concreta e decide anche della vita e della morte, estendendo l’impatto delle ricerche da laboratorio alla società e al suo continuo oscillare tra malessere e benessere possibile. Ecco perché la struttura narrativa appare complessa e stratiforme, con un approccio multiverso al tempo e al suo non più dogmatico fluire lineare e progressivo. Su questa questione va citato sicuramente il più recente film di Christopher Nolan, Interstellar, che ne ha fatto la chiave interpretativa del racconto. E che, per come si conclude la prima serie di The Flash, pare essere anche uno dei punti centrali della storia e della storia a venire di Barry e compagni. 
Così, la Fisica, la Chimica, la Biologia, e quindi la Medicina e la Robotica: insieme tracciano in The Flash un universo di possibilità ancora inesplorate per l’umano, che nell’artificio narrativo assumono sembianze e connotati metaumani per segnare un confine e il suo superamento, semanticamente non ancora risolti in un solo senso ma riferiti ai buoni quanto ai cattivi
Flash, infatti, in quanto esempio di metaumano, non è solo come caso, ma incontra, puntata dopo puntata, molti altri casi riconducibili allo stesso incidente/esperimento che ha generato anche i suoi superpoteri. Ciascun episodio presenta quindi, in chiave drammatica e conflittuale, la presenza e l’incontro con altri metaumani, proprio a segnalare le difficoltà e le insidie del fare ricerca. 

La storia di Flash non suona dunque come una semplificazione tipica della divulgazione quanto come una operazione che si allea alla complessità della trama per tessere una grande tela che inevitabilmente intreccia piani anche molto differenti tra loro. Come nel caso della puntata di The Big Bang Theory  – la pluripremiata sitcom americana partita nel 2007 e arrivata alla sua ottava stagione – in cui Sheldon (uno dei quattro protagonisti scienziati del California Institute of Technology) cita The Flash e si chiede se iniziare a guardarlo. 
Segnalare dunque The Flash come una giovane serie interessante per la sua vocazione divulgativa orientata alle Scienze e alle Tecnologie, sembra in linea con quanto Douglas Coupland raccontava nel 2009 con il suo Generazione A (pubblicato in Italia nel 2010 da edizioni ISBN) – che seguiva dopo diciotto anni il suo Generazione X – a proposito di un futuro prossimo in cui le api si sono estinte e il raccontar storie è l’unica forma di resistenza e di esistenza possibile. È solo fiction ma parla a tutti noi. Parla essenzialmente ai più giovani che a scuola si annoiano e non eccellono nelle ore di matematica e fisica ma attraverso gli schermi amano i loro eroi che con la matematica e la fisica riescono a combattere, e talvolta vincere, la lotta contro il male.

 


 

LETTURE

  Douglas Coupland, Generazione A, Isbn, Milano, 2010. Douglas Coupland, Generazione X, Mondadori, Milano, 1999.

 


 

VISIONI

  Greg Berlanti, Andrew Kreisberg, Geoff Johns, The Flash, The Cw, Usa, 2014.
  Chuck Lorre e Bill Prady, The Big Bang Theory stagione 1, Warner Home Video, 2013 (home video).
  Christopher Nolan, Interstellar, Warner Home Video, 2015 (home video).