VISIONI / SOLO GLI AMANTI SOPRAVVIVONO


di Jim Jarmush / Eagle Pictures, 2014


 

L'amore è eterno finché è... eterno


di Marco Meloni

 

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Esiste un momento in cui due amanti immaginano di rimanere accanto per sempre. Molti di loro non sanno, o non vogliono sapere, che è un’utopia, un pensiero irrealizzabile, un sogno. Anche laddove il sentimento, l’amore, il rispetto reciproco permanessero, sarà la morte, l’imprevisto, a porre fine a quel loro rapporto, forte e fragile allo stesso tempo.

Esistono però degli amori che non possono spezzarsi, legami che vincono la morte e per questo possono costituirsi in eterno, nel vero senso della parola. E se ciò accade, come si vincono la monotonia, il luogo comune, le regole della quotidianità? In un mondo fragile, di veloci consumi e sentimenti di carta velina esposti al vento, come si possono immaginare l’eternità, il sempre, la condivisione di un percorso più ampio e duraturo?

Il “vissero per sempre felici e contenti” è possibile solo in una fiaba, in qualcosa che si basa sull’accettazione d’irrealtà da parte di un lettore, e non di certo nella pesantezza di una quotidianità che impone momenti e sentimenti diversi, che non possono e non potranno mai definirsi con una sola categoria sentimentale o temporale. Come dice il Bianconiglio ad Alice, il “sempre” non è uguale ovunque, e per tutti.

Può durare anche un solo secondo di una vita, se è così che vuol essere definito e pensato. Oppure non terminare mai, perché altre regole lo determinano e lo rendono, davvero, superiore al tempo e all’evanescenza dell’esistenza.

Adam ed Eve si amano, e sono dei vampiri. Lui vive a Detroit, lei a Tangeri. Sono legati da secoli di storia, epoche, memorie. Si amano da sempre e si ameranno per sempre. Ma vivono una vita alle volte tangente, altre volte parallela, che s’incontra per bisogno e non per convenzione. Forse è il segreto di ogni coppia vampirica, forse solo il loro. Accettare spazi e differenze, comprendendo che l’eternità ha regole diverse da quelle di una vita media umana. Progrediscono senza mutare d’aspetto, capaci di non perdersi in un mondo che cambia in fretta attorno a loro, che costringe a correre per rimanere sempre allo stesso punto, o a isolarsi nel tentativo di non perdersi nella malinconia e nel rimpianto del passato.

I due protagonisti agiscono, per volontà del regista Jim Jarmush, secondo il fenomeno dell’entanglement quantistico, per il quale “se due particelle si fanno interagire per un certo periodo e quindi sono separate, quando si sollecita una delle due in modo da modificarne lo stato, istantaneamente si manifesta sulla seconda un’analoga sollecitazione a qualunque distanza si trovi rispetto alla prima.”

Assenza. Presenza. Interdipendenza. Influenza reciproca. Equilibri fragili destinati a durare non mesi, non anni, bensì secoli ed ere. Un legame che la distanza non rende meno forte, né meno profondo, ma che richiede respiro per non soffocare anime che si sono incontrate con la promessa di essere un punto fisso perenne nella vita dell’altro.

Eve è una figura sottile e bellissima che si muove nei vicoli marocchini di notte, per ricevere il sangue “pulito” e tornare nelle sue stanze a riposare, a vivere l’estasi del contatto con la sua fonte di vita e di nutrizione. Sa centellinare il liquido rosso che le è fornito, consapevole del mondo sempre più squilibrato che le si para dinanzi. Una distruzione, o meglio autodistruzione, che non tiene conto di tutte le creature, vampiri compresi, che ne vengono colpiti, e che devono a esse adattarsi.

È un vampiro gentile, curioso, aperto al mondo e capace di trovare ancora il bello in ciò che la circonda, nella spiritualità e nella natura. Non a caso, rimane fuori a girovagare fino quasi all’alba, cercando il più possibile di cogliere i colori, i visi, le realtà della città che vive, e che ha scelto come sua dimora.

Adam, invece, si è rinchiuso in una casa bunker a Detroit. Un tempo capitale dell’auto americana, la città è ora in piena recessione e lui, con la sua musica, le sue chitarre, la sua vita da artista, ha deciso di vivere nel totale annichilimento del suo essere. Non ama mischiarsi agli uomini, che lui chiama zombie, e preferisce la totale solitudine e contemplazione del passato, dei suoi eroi romantici, di una vita andata che difficilmente potrà tornare. Ha un amico, Ian, che fa da occhi e intermediario con il mondo esterno, ma per il resto si tiene lontano da tutto, geloso del suo privato, della sua esistenza, del suo ego. Come Detroit, sta appassendo velocemente, incapace di adeguarsi al mondo, privo di stimoli, alla ricerca di un salvatore. O di una salvatrice.

Ecco allora che Eve lo raggiunge, lo ama, lo riaccoglie fra le sue braccia. Il loro amore, eterno come poche cose possono davvero esserlo, torna concreto, reale, vissuto. Anche se il finale di questo ricongiungimento, di una coppia che ormai lotta con un mondo troppo votato all’autolesionismo, sarà un ritorno al passato dagli esiti incerti. Non c’è più spazio per nessuno, nemmeno per i vampiri, e forse solo gli amanti eterni sopravvivono perché capaci di un sentimento, di una devozione, ormai scomparsa nei fugaci rapporti della modernità.

Il film, visivamente accattivante, propone quindi, più che una storia, una riflessione sulle relazioni, sui rapporti, sulla capacità, sempre più rara, d’interazione fra persone. In una continua possibilità di connessione reciproca, che genera tuttavia eccessiva conoscenza dell’agire dell’altro, com’è possibile mantenere ancora del mistero, della fiducia, della volontà di viversi? Se i protagonisti non fossero nati e vissuti secoli prima di questa decadenza, come potrebbero affrontare l’eternità, la mancanza di un proprio spazio personale, di una dimensione propria lontana da quella dell’altro?

Non è un caso che Eve viva a Tangeri, dove rifugge la tecnologia se non per parlare con Adam, e lui stesso rifiuti ogni contatto con il mondo. È in questa lontananza, nel non appartenere alla comunità dei social media, che l’eternità si costruisce davvero. Che il per sempre vale davvero per sempre e non l’attimo di Alice. Sono particelle legate dalle memorie e dal sangue, ma sono libere di allontanarsi, di fremere ancora per la distanza acquisita. Perché la possiedono, la difendono, sanno renderla preziosa.

Jarmush riesce inoltre a rendere i suoi protagonisti dei ribelli, dei romantici, che usano il sangue non solo come fonte di vita, ma, soprattutto, come elemento portatore di estasi, di abbandono fisico e mentale.

Una droga, come in The Addiction di Abel Ferrara, che pur creando dipendenza non implica però, come per il regista statunitense, una sorta di sconfitta, un abbrutimento dell’essere. È anzi un momento di piacere che, se centellinato e non abusato, permette di godere appieno dei vantaggi della vita eterna e di una condizione superiore a quella degli umani.

Ecco così svilupparsi nel film una nuova figura di vampiro, in cui nulla è innovativo o rivoluzionario ma la cui novità risiede nell’occhio, o meglio nella figurazione, del regista. Un vampiro romantico come Lord Byron per John William Polidori, con una modernità autodistruttiva tipica dei racconti della Rice, che sperimenta nuove realtà di convivenza con l’essere umano, e di parassitismo anche nei suo confronti, come nelle opere di Scott Westerfeld. E che trova, nella sacralità e sontuosità di un sentimento puro ed eterno la sua ragione d’essere, la sua forza, il suo sopravvivere rispetto a ciò che lo circonda.

 


 

LETTURE

 John William Polidori, Il Vampiro, in Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Storie di vampiri, Newton & Compton, Roma, 1994.
Anne Rice, Intervista con il vampiro, Tea, Milano, 2005.
Scott Westerfeld, Vampirus, Fazi, Roma, 2008.

 


 

VISIONI

Ferrara Abel, The Addiction, Vampiri a New York, 1995, 01 Distribution, 1995.