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di Francesca Fichera

 

Che sia una sfida ai limiti delle capacità umane o un semplice mezzo per guadagnarsi da vivere, nel cinema di Hayao Miyazaki il volo assume sempre, in maniera implicita o esplicita, la funzione di tramite per la conoscenza, di strumento per osservare il mondo. E poiché quest’ultimo comincia dal sé, da quel particolare specchio convesso che tutto riflette attraverso il filtro di un’ottica unica, non v’è da stupirsi che il regista nipponico abbia scelto di scriverne l’intreccio, lo sviluppo, la crescita, tracciandone le mutazioni nella cornice del cielo. Una definizione ossimorica che intende quel superamento (prima) e quella caduta (poi) dei confini che sono naturalmente sottesi al volo, il quale si configura di conseguenza come territorio astratto, spazio-tempo sfuggente ma concreto, destinato all’avvenire di passaggi - di tempo, di forma, di stato, di vita – privi di qualsiasi vincolo mortale. Esperienze nate dall’essenza artificiale dell’uomo, dal suo spontaneo scomporsi e ricomporsi, mescolarsi, riprogettarsi in funzione di un migliore adattamento al circostante, che dischiude dall’apparente freddezza di disegni tecnici, protesi e macchinari, l’incanto del sapere che si spinge oltre, il cuore magico dell’antico sogno di Icaro.

C’è difatti magia ne Il castello errante di Howl, storia di streghe e demoni che Miyazaki trae e riadatta dall’omonimo romanzo fantasy di Diana Wynne Jones (1986). L’eroina femminile – praticamente immancabile in quest’ala dello Studio Ghibli – ha il nome di Sophie, e abita un regno dove, per dirla con Stephen King, la magia esiste (cfr. King, 1990). Il suo incontro con Howl, giovane e avvenente mago, ne è la conferma, e la maledizione lanciatale successivamente dalla Strega delle Lande Desolate, gelosa di Sophie e del ragazzo, ne costituisce il sigillo. 

Sophie viaggia fisicamente nel tempo pur restando ferma, costretta all’invecchiamento dalla stregoneria; gioco che si ripete, in forma differente ma simile per sostanza, all’interno della casa mobile di Howl, lo sgangherato e sferragliante castello che vola. Qui è una porta a quattro uscite – contrassegnate da altrettanti colori – che realizza la magia del viaggio nel viaggio, l’apertura su spazi e tempi diversi, distanti, mentre il volo del presente e il suo errare cigolante proseguono il proprio corso, e chi viaggia ha il potere di farvi ritorno in qualsiasi momento, quasi rispondendo a una versione traslata e fantastica del “qui e ora dell’altrove” della definizione di Alberto Abruzzese (2011). Il castello errante svela così la sua natura di casa del tempo, striscia liminale e ondivaga, frontiera cangiante, medium dove avvengono incontri, negoziazioni e scambi fra luoghi e istanti lontani, movimenti interni al movimento: il volo del castello è un divenire che contiene se stesso, mille altri divenire interiori ed esteriori.

 


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In quello che è un limbo volante a tutti gli effetti, la cui esistenza è determinata dal patto maledetto con un demone, avviene la costruzione di Howl, la narrazione della sua persona precedente allo scioglimento del nodo che ne impedisce la maturazione. Secondo una contraddizione di sola facciata, la casa mobile del giovane dalle ali nere è il posto nel quale il suo moto vitale resta imprigionato, imbrigliato fra le maglie di un presente che non riesce a diventare futuro. Il castello, i suoi ambienti scaldati dal demone-fuoco Calcifer e le quattro aperture dimensionali su cui può spalancarsi la sua porta, sono la gabbia entro cui Howl volteggia, si agita, si cela, indugia su di sé, in mancanza di motivazioni valide che lo convincano a rinunciare al suo narcisismo infantile, alle sue fughe dal mondo, e facciano sì che si rapporti – finalmente – con ciò da cui scappa. 

In uno dei suoi film più intimisti e meno ecologisti, pur considerando la tematica pacifista resa esplicita dai continui rifiuti di Howl a prendere parte alla guerra, Hayao Miyazaki individua nell’Amore, ancora una volta e alla maniera di Platone, la più alta forma di motivazione, di spinta, che sia in grado di provocare la trasformazione dell’uomo. Per Howl la rivoluzione in volo si compie con e attraverso Sophie, figura di donna venuta dal passato con fattezze future e sentimenti del tutto attuali, conosciuta la prima volta durante una visione, la seconda volta per caso e la terza e ultima per pura volontà, per desiderio. Così si chiude il cerchio: Il castello errante di Howl è un chiaro, ennesimo esempio di come la capacità di volare sia tanto un sogno scaturito dal bisogno di conoscere quanto il sogno che va a incidere questa stessa necessità nel corredo genetico degli uomini, e di come Miyazaki faccia di tale discorso la lieve ma solida struttura portante della sua intera filmografia. Se poi alle origini di quest’ultima, con Nausicaä della Valle del vento (1984) il volo assumeva contorni sociali, configurandosi come mezzo atto all’esplorazione ma anche, e di più, alla presa di posizione dell’individuo nei confronti del reale – e una cosa molto simile può dirsi del successivo Porco Rosso (1992) – con Howl il medesimo oggetto si svuota della sua, per così dire, vocazione politica, preferendole una riduzione romantica basata sulla crescita del singolo coadiuvata dal dialogo amoroso. 

 

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La conoscenza è dunque qui intesa come un fatto principalmente – ma non esclusivamente – privato e introspettivo, alla maniera del Barone rampante di Italo Calvino (1957) e della straordinaria messa a nudo del sentimento d’amore compiuta dalla storia di Cosimo e Viola – il celebre “si conobbero come non si erano mai conosciuti”.

Nel castello errante il volo e il viaggio si sovrappongono sia nel concreto che sul piano simbolico: il socratico “conosci te stesso” è svolto all’interno del castello, nei differenti mondi spazio-temporali al di là della porta magica, a cavallo dei tre tempi agostiniani, ed è un processo parallelo quanto decisivo rispetto ai mutamenti in atto nel mondo principale, cioè quello dove il castello sta volando. È Sophie che viaggia dentro Howl e Howl che, nell’accompagnarla, svela zone d’ombra di sé che non aveva mai veramente affrontato. È un percorso interiore statico, finché resta solitario, che diventa dinamico non appena si arricchisce di un secondo elemento, del quid relazionale, del rapporto con l’altro. Ma la strada è tutto fuorché facile, oltre che letteralmente in salita. Ne è la prova, affatto casuale, che l’alter ego bestiale di Howl sia una creatura alata che sceglie di mostrarsi completamente a Sophie solo in un secondo momento, finendo col solcare quello stesso cielo nel quale fluttua la sua casa volante, e con l’esclusiva compagnia della piccola umana a cui ha voluto rivelarsi. In quest’altra – a suo modo stevensoniana – declinazione, il volare si riconferma come luogo figurato dell’esplorazione e della rappresentazione del sé, con, da un lato, la stilizzazione dell’aspetto dionisiaco dell’animo di Howl – le sue pulsioni, la sua rabbia, gli istinti resi incontrollabili dall’incantesimo o incantamento; e, dall’altro, l’allegoria psicologica della sua mente, rimasta incagliata, in attesa di una risoluzione, fra stanze e corridoi della memoria sospesi nel vento. 

Quale elemento congeniale al volo stesso, materia che lo rende possibile pur conservando il potere di ostacolarne il corso, è proprio il vento ad occupare il terzo posto – per quanto non in ordine di importanza – dell’ideale triade tematica dipanata dai film di Miyazaki, come sta a dimostrare in maniera esemplare l’ultimo Si alza il vento (2013), conclusione di un percorso teorico quanto di una carriera artistica. Quel soffio vitale del mondo, etimologicamente e mitologicamente legato alle origini dell’esistenza umana, a ciò che la anima, allaccia la metafora del volo al discorso del viaggio, in sé e fuori di sé, in quanto rappresenta la linfa che li accende, il fluido entro cui si realizza il movimento di entrambi, e dunque il cambiamento. Finché c’è vento c’è speranza, sembra recitare, bisbigliando, l’opera omnia del maestro d’animazione giapponese, perché fino a che soffierà il vento gli esseri si sposteranno, esploreranno, conosceranno forme inedite – di sé e dell’alterità – assumendole come in parte proprie. In breve: vi sarà apprendimento, quel complemento dell’eros platonico, nonché fondamento del divenire eracliteo, che rappresenta la luce interna in grado di rivitalizzare l’uomo innescando ogni passo del suo cammino sul pianeta; uomo che si fa voce del coro di un ecosistema la cui brezza è foriera di spore, di novità e di vita, e il cui soffiare, per tale ragione, va salvaguardato affinché mai si spenga. Grazie al vento, nodi, tempeste e maledizioni si dissolvono; le prigioni – anche quelle volanti, come il castello di Howl – crollano su se stesse sotto i colpi sferzanti di un turbine di modificazioni; le avventure terminano – parafrasando il viaggio in cielo di un’altra casa, quella dell’occidentale Up (scritto e diretto nel 2009 da Pete Docter e Bob Peterson) – perché possano cominciarne altre, sull’onda trasparente di un’aria diversa. L’auspicio è che chi ha viaggiato attraversando il firmamento, sopportandone e cavalcandone le turbolenze, possa nutrirsi di ossigeno pulito, respirare un’aria nuova mentre capelli e abiti si abbandonano ai guizzi di uno zefiro finalmente pacifico. Dopo aver guardato nell’abisso e nei suoi sotterranei, librandosi su di essi e rischiando di cadervi, il premio è la quiete – quella accesa, di ungarettiana memoria – di un’autocoscienza intimamente mossa dall’Amore, vissuta nella cornice di un presente che rispetta il proprio tempo in previsione di quello che lo seguirà. Questo è il presupposto del futuro, lo sguardo della libertà che, come quello di Sophie, di Howl e degli altri piccoli eroi disegnati da Miyazaki, al termine della notte punta in alto e in avanti: in direzione di quella quasi-utopia, divisa fra realtà e immaginazione, che da Hayao Miyazaki vola fino a Ennio Flaiano, al suo essere “uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole” (Flaiano, 2002), che non esclude, ma anzi completa, un lucido e consapevole vegliare sulle cose a noi terrene, vicine, attuali, o che semplicemente custodiamo dentro.

 

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LETTURE

  Alberto Abruzzese, Il crepuscolo dei barbari, Bevivino, Milano, 2011.
  Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano, 1993.
  Ennio Flaiano, Diario degli errori, Adelphi, Milano, 2002.
  Stephen King, It, Sperling & Kupfer, Milano, 1990.
  Giuseppe Ungaretti, Vita di un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 2003.

 


 

VISIONI

  Pete Docter, Bob Peterson, Up, Pixar, 2013 (home video).
  Hayao Miyazaki, Nausicaä della Valle del vento, Studio Canal (Regno Unito), 2005.
  Hayao Miyazaki, Il castello errante di Howl, Lucky Red, 2011 (home video).
  Hayao Miyazaki, Porco rosso, Lucky Red, 2011 (home video).
  Hayao Miyazaki, Il castello nel cielo, Lucky Red, 2012 (home video).
  Hayao Miyazaki, Si alza il vento, Lucky Red, 2014 (home video).
  Diana Wynne Jones, Il castello errante di Howl, Kappa Edizioni, Bologna, 2007.