VISIONI / IO LA CONOSCEVO BENE


di Antonio Pietrangeli / Mustang Entertainment, 2014


 

Splendori e miserie del boom

 

di Andrea Sanseverino

 

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Benché nel 1965, l’anno di uscita nelle sale di Io la conoscevo bene, il cosiddetto miracolo economico italiano sia di fatto nella sua fase calante, la scenografia di questo film di Paolo Pietrangeli è una sorta di compendio degli oggetti che hanno animato quella fase storica, marcata, tra gli altri fattori, “[dall’] ingresso nelle famiglie dell’elettrodomestico (televisori, aspirapolvere, frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici) [e dalla] massima espansione dell’automobile […] Fu in quel periodo che il nostro paese entrò stabilmente a far parte del gruppo degli «industrializzati», perdendo i suoi connotati prevalentemente contadini” (Scalfari, 1982). Ed è, infatti, dalla provincia rurale, precisamente quella di Pistoia, che la protagonista, Adriana, parte per realizzare i propri sogni che hanno come minimo comun denominatore la fuga dal punto di partenza. Allontanarsi dal proprio paese, tuttavia, non le preclude d’imbattersi in esemplari dell’altro sesso catalogabili nelle varie sezioni di uomini furbi, mascalzoni impenitenti, ruffiani insistenti, intellettuali bravi a sondare solo l’altro da sé, tutti, o quasi, cialtroni che danzano intorno alla protagonista. Si tratta, insomma, di quella genìa che, unita alla classe dirigente dell’epoca, fu artefice di un processo (che a sua volta la plasma) riconducibile a quell’acculturazione e omologazione determinata dalla civiltà dei consumi che ebbe per Pier Paolo Pasolini il potere di distruggere l’Italia in maniera più potente di quanto riuscì al fascismo (cfr. Francione, 2012). Uomini che nel film hanno il volto di due mostri della commedia all’italiana Nino Manfredi e Ugo Tognazzi (mentre Vittorio Gassman è presente sul grande schermo mentre recita in La guerra segreta), oltre ad attori del calibro di Jean-Claude Brialy, Turi Ferro, Mario Adorf, Enrico Maria Salerno, Franco Fabrizi, Franco Nero. Senza nulla togliere, tuttavia, al citato cast maschile, né ai due co-sceneggiatori, Ettore Scola e Ruggero Maccari, la pellicola ha due capisaldi: il regista, Paolo Pietrangeli, e la protagonista, Stefania Sandrelli, preferita a Brigitte Bardot, Claudia Cardinale, Silvana Mangano, Natalie Wood.

Del primo, l’autore di un saggio sulla commedia all’italiana diede un sintetico e azzeccato giudizio, sostenendo che Pietrangeli “ha diretto i migliori film italiani di psicologie femminili: commedie malinconiche e molto ben girate in cui la donna è protagonista e paga con la sconfitta e la solitudine i primi tentativi di emancipazione” (Giacovelli, 1990). A questo parere, chi scrive si associa senza dubbio, dal momento che le delusioni che potevano palesarsi ad una giovane italiana nella prima metà degli anni Sessanta sono tutte vissute dalla protagonista di questo film, che si costruisce su tutti e quattro gli elementi narrativi boom-society, ovvero la spiaggia, che già inizia a riempirsi di rifiuti, l’automobile, che corre sempre di più, il ballo, che diventa frenetico e senza contatto con l’altro, e la canzonetta, che qualche volta porta anche cattivi pensieri.

Quanto alla seconda, la Sandrelli è una vera icona, nel senso pieno del termine, degli anni del boom al cinema, che poi coincidono, anno più anno meno, con quelli degli esordi della commedia all’italiana, pur doverosamente ricordando che anche (e soprattutto) nell’ambito femminile siamo in un periodo di grandi trasformazioni, non tutte efficacemente riportate sul grande schermo, ma che hanno segnato irreversibilmente la figura della donna: nel paese reale, le donne che lavorano non sono di più rispetto al passato, ma sicuramente il loro ruolo è più visibile, soprattutto nel settore terziario, anzi tale visibilità è un aspetto fondamentale del processo di modernizzazione dell’Italia, un cammino in salita pieno di ostacoli legislativi o di fatto (e solitamente incostituzionali), ma i cui risultati sono notevoli, se si pensa, ad esempio, che le donne magistrato, ruolo un tempo rigorosamente loro precluso, accedono per la prima volta al concorso nel 1963.

Tornando alla Sandrelli, in realtà, l’attrice nella prima metà degli anni Sessanta aveva interpretato un personaggio opposto e complementare rispetto ad Adriana, ossia la Roberta de La bella di Lodi, tratto da un libro di Alberto Arbasino, sceneggiato dallo stesso e dal regista, Mario Missiroli: circondata dalle stesse canzoni, così come dalle stesse persone, Adriana è presa per il naso dall’uomo di turno, mentre Roberta (la cui voce è quella di Adriana Asti) si muove sicura in Giulietta Spider (l’auto che l’Alfa Romeo produce negli anni del boom, di cui è eloquente simbolo), legge il Sole24ore, si circonda di persone che comprano immobili a cancelli chiusi, che sono pronti ad acquistare azioni che precipitano, che hanno stalle con settecento vacche da far tenere a bada da soli cinque uomini, che dicono “Bassa Italia” per indicare il Sud. La bella di Lodi, tuttavia, è una delle poche eccezioni nella filmografia della Sandrelli, poiché si può affermare che dà il meglio di sé nei ruoli di donna in balia di eventi più grandi lei, regolati, oltre che dall’insondabile fato, dalla condotta, spesso scellerata, di uomini arroganti, mediocri o irresponsabili: a tal proposito, citando un film per decennio, tra gli anni Sessanta e Ottanta, ricordiamo l’attrice di Viareggio in Sedotta e abbandonata di Pietro Germi (1964), in cui interpreta la giovanissima Agnese, imprigionata nei complicati ingranaggi dell’atavica tradizione siciliana in fatto di sentimento, eros e affari coniugali; ne Il conformista (1970) di Bernardo Bertolucci, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, nel quale è Giulia, donna che incarna l’ideale fascista di femmina adatta al ruolo di moglie di funzionario ministeriale e nulla di più, e che, come tutti, non può sottrarsi alle convenzioni del regime, né agli orrori della guerra, che distinzioni fra colpevoli e innocenti non ne fa, né può farne; in Speriamo che sia femmina (di Mario Monicelli, 1986), film corale al femminile in cui è Lori, ingenua amante di un conte inconcludente e indebitato fino al collo. Se Io la conoscevo bene è uno valente esempio che illustra efficacemente il rapporto tra donna e mondo dello spettacolo nei primi venticinque anni del secondo dopoguerra (cfr. Volpi, 2014), la Sandrelli è, d’altro canto, un’attrice tagliata per incarnare quante hanno provato a raggiungere la fama nel cinema, ma che, a differenza di lei, hanno visto frustrato questo loro desiderio. Due personaggi vengono subito alla mente: la Luciana di C’eravamo tanto amati (di Ettore Scola, 1974), sognatrice che sfiora il grande cinema, dal momento che un impresario la porta al cospetto di Federico Fellini e Marcello Mastroianni sul set allestito ai bordi della fontana di Trevi, ma finendo per fare la maschera, quel lavoro che impegna Adriana in una delle tante tappe che la conducono a Roma; ma anche Anna de La prima cosa bella, un film del 2010 diretto da Paolo Virzì, che da giovane ha il volto di Micaela Ramazzotti e che il marito carabiniere, al fine di ricondurla a casa, trascina via a forza mentre fa la procace comparsa per un film di Dino Risi, La moglie del prete (1971). Un mondo, quello del cinema, di cui Pietrangeli offre una rappresentazione amara quanto attendibile, in cui si riflette il vizio capitale che (più) pervade l’ambiente, ossia l’invidia: le colleghe di Adriana, rimaste a lavorare all’interno di una sala cinematografica, non le perdonano di aver tentato di salirci per davvero su quello schermo enorme, così come attori non più di richiamo (il sudaticcio Bagini, interpretato da Tognazzi) non mancano di colpire, immancabilmente alle spalle, la star del momento (il vanesio Roberto, a cui dà corpo Salerno), che, a sua volta, ripaga con sarcasmo e disprezzo, in un gioco infinito di ruoli più definiti di quelli giocati sul set. Tanti nomi illustri, stando solo ai titoli citati, da Germi a Virzì, passando per Bertolucci, Monicelli, Scola ai quali aggiungiamo volentieri quello di Pietrangeli, che qualcuno ha definito, per le sue doti di maestro di commedie al femminile, il “George Cukor di casa nostra”. Il paragone è rafforzato da una curiosa coincidenza: l’Adriana impegnata nei corsi di dizione, non può non ricordare la pellicola che proprio nella notte degli oscar del 1965 s’aggiudicava la statuetta per il miglior film (più altre sette), quel My Fair Lady, ispirato al Pigmalione di George Bernard Shaw, debitore a sua volta di Ovidio, nel quale il professore di fonetica (“scienza del parlare”) Higgins (Rex Harrison) per scommessa, come ogni gentiluomo dell’impero di sua maestà, s’impegna ad addolcire gli sgraziati suoni emessi da Eliza (Audrey Hepburn), ruspante giovane venditrice di fiori.

Al pari di Eliza, Adriana vuol diventare sempre più raffinata, ma a differenza della prima, è sotto l’ala di cattivi maestri che l’aiuteranno solo a perdere la genuinità del suo mondo natale. Vi farà ritorno una sola volta, dopo cinque anni, complice un sentimento a metà strada fra la nostalgia e l’incapacità, tipica di quelli che hanno troppa fretta di vivere, di attendere due ore in stazione, ferma al binario del treno per la capitale. Giunta a casa, apprenderà una tragica notizia da parte dei suoi genitori, impossibilitati a comunicargliela prima: “Te lo volevo scrivere… ma dove?”, chiederà suo padre, una domanda inconcepibile oggigiorno, ossia in tempi di eccessiva reperibilità e geolocalizzazioni sempre più precise, ma non tutte desiderabili.

 


 

LETTURE

  Alberto Arbasino, La bella di Lodi, Adelphi, Milano, 2002.
 Fabio Francione (a cura di), Pier Paolo Pasolini sconosciuto, Falsopiano, Alessandria, 2012.
 Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana, Gremese Editore, Roma, 1990.
 Alberto Moravia, Il conformista, Bompiani, Milano, 2002.
 Ovidio, Le metamorfosi, Einaudi, Torino, 2014.
 Eugenio Scalfari, La lira vince l’Oscar della Moneta, in AA. VV., Storia di una repubblica. Enciclopedia politica dell'Italia dal 1946 al 1980, L’Espresso, 1982.
 George Bernard Shaw, Pigmalione, Mondadori, Milano, 1993.

 


 

VISIONI

  AA.VV. (Christian-Jaque, Werner Klingler, Carlo Lizzani Terence Young), La guerra segreta, Cecchi Gori Home Video, 2013 (home video).
 Bernardo Bertolucci, Il conformista, Minerva Video, 2013 (home video).
 George Cukor, My Fair Lady, Universal Pictures, 2011 (home video).
 Mario Missiroli, La bella di Lodi, Medusa Video, 2005 (home video).
 Mario Monicelli, Speriamo che sia femmina, Cecchi Gori Home Video, 2014 (home video).
 Dino Risi, La moglie del prete, Warner Home Video, 1995 (home video).
 Ettore Scola, C’eravamo tanto amati, Cecchi Gori Home Video, 2014 (home video).
 Paolo Virzì, La prima cosa bella, Warner Home Video, 2012 (home video).