LETTURE / PAURA


 di Dario Argento / Einaudi, Torino, 2014 / pp. 349 / € 19.50


 

Timore di raccontarsi?

 

di Marco Meloni

 

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La vita di una persona cambia e muta a seconda di chi la racconta. È il bello delle memorie, dei ricordi, delle storie personali. Possono narrare un fatto velocemente, quasi con sprezzo, o rendere lo stesso incredibilmente ricco e affascinante. Questo pensiero è sempre vivo nel leggere una biografia. Ogni vita raccontata è in realtà una versione, una parte di essa, che prende toni più modesti o epici a seconda delle intenzioni dell’autore, e della sua capacità di farci entrare in empatia con il protagonista della storia. Succede che persone conosciute sembrino molto diverse una volta racchiuse in una pagina di un libro, o che estranei risultino affini pur non avendo altre informazioni personali o intime sul loro conto. La scrittura, la sua potenza evocativa, amplifica o trasforma i significati di una vita e di una memoria rievocata, così come le aspettative che il lettore ripone in essa.

Sin dal primo sguardo, Paura di Dario Argento, il maestro dell’orrore italiano, sembra diverso da come si potrebbe figurare. È un volume non particolarmente alto, non particolarmente grosso, non pesante. C’è ovviamente il protagonista in copertina, ma per il resto è tutto molto sobrio, dimesso, bianco. Ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa di più forte, d’impatto. Invece è tutto contenuto in un volto, e in una scritta. Già in questo si potrebbe capire quanto poco si sappia della persona reale e non del regista, dei suoi gusti o scelte. Un leitmotiv che accompagnerà tutta la prima parte della lettura, con piccole conferme e grandi sorprese ad accompagnare la narrazione.

Neanche il tempo di figurarsi Dario bambino, sognatore e chiuso, che si scopre, ad esempio, la sua passione per i lupetti e gli scout. Il desiderio di appartenenza a un gruppo che vive in pantaloncini corti e si organizza secondo un sistema di regole gerarchico particolarmente rigido e complesso. Più plausibile è invece il ribelle dell’adolescenza, che fugge a Parigi respirando cinema, nuova cultura e prime esperienze amorose. Ma cosa è accaduto per trasformare un amante della natura e delle regole in un indisciplinato borghese non appare chiaro, nemmeno rileggendo più volte le parole di Argento, forse perché non è altro che una delle tante contraddizioni di ogni individuo, o il suo naturale evolvere che non ha sempre motivazioni manifeste. Semplicemente così è, e come tale si deve seguire la storia e la memoria che è offerta.

Un elemento che colpisce, tipico di una generazione e per questo rintracciabile anche nei racconti di molti genitori o nonni, è la rappresentazione di un destino fluido che oggi è, se non del tutto, almeno parzialmente persa. L’idea che la scuola non sia un percorso unico di formazione, né che in essa si esaurisca cultura ed esperienza. La libertà di interromperla e di trovare comunque un proprio ruolo nel mondo, di respirare bellezza e cultura, di fare esperienze significative e importanti. Un ragazzo che lascia il liceo ma trova subito lavoro in un giornale, frequenta registi, attori e salotti, rivela nel tempo un su talento.

Oggi, poiché il mondo permette poco di sognare e canalizza gli individui in pochi percorsi, codificati e rigidi, questa spensieratezza e apertura hanno il sapore di un frutto ormai estinto, che si ritrova solo nelle parole e nei ricordi delle generazioni passate, figlie e protagoniste del boom economico. Il vivere di espedienti tipico della Commedia all’Italiana, di un presente non schiacciato fra la pesante eredità del passato e l’incubo di un futuro incerto.

Dario Argento cresce in fretta e si ritrova giornalista e marito, uomo arrivato ma fondamentalmente incompiuto. Ama il cinema, lo conosce, sembra quasi respirarlo in ogni sua azione. Ne parla con competenza, senza alcun disagio nel rapportarsi con grandi registi come Federico Fellini. Eppure la sua passione non ha ancora trovato un percorso, o un riconoscimento. Al Centro Sperimentale la porta per lui, che cita John Houston e la Nouvelle Vague, è chiusa senza appello, e la sua vita sembra avviarsi verso altre carriere e destini. Cambierà tutto grazie all’incontro con Sergio Leone e Bernardo Bertolucci. E alla determinazione, spiazzante, del padre, che finanzierà e sosterrà in ogni momento il figlio, nel 1970, nel suo primo film da regista, L’uccello dalle piume di cristallo. È l’inizio di un percorso conosciuto e pubblico, interessante ma non completamente centrale rispetto alla narrazione dell’autore.

Comprendere una persona tramite l’incedere delle sue opere, in questo caso Profondo Rosso del 1975, Suspiria del 1977, o Inferno del 1980 non permette, infatti, di avere in mente un’immagine precisa della quotidianità o della qualità delle sue interazioni. Che sono, invece, importantissime per cogliere la serenità o l’inquietudine del regista, il suo approccio alla vita, all’arte, e in qualche modo anche alla regia

Tema ricorrente, nel racconto di Argento, è piuttosto l’impatto e l’importanza delle presenze femminili nella sua vita. Il primo amore, le mogli, le avventure. Il sentimento e il sesso visti come elementi di progresso, educazione, cambiamento. Stupisce pensare il regista come un ragazzo timido e magrissimo che raggiunge la sua amata al mare trovandola già distante e impegnata in un nuovo flirt, o come un giornalista senza orari che aspetta di tornare dalla sua devota e paziente moglie. Lo stesso Argento afferma di amare le donne a tal punto da renderle le vittime preferite nei suoi film, poiché le uniche in grado di cogliere la solennità e la complessità di un film e della scena di cui sono protagoniste. Non vi è evento della sua vita che non abbia una figura femminile di riferimento: madre, amante, moglie, figlia.

Ecco così che tutto quel che ci sarebbe potuto aspettare di trovare in queste trecento pagine è in realtà assente, mentre molto altro affiora con forza. L’uomo che emerge, pagina dopo pagina, è una rivelazione. Razionale e tuttavia romantico, legato profondamente alla famiglia ma insofferente, quasi in aperto antagonismo, rispetto alle sue regole, spietato con se stesso. Non vi è mai eccessivo compiacimento, o giustificazione dei propri errori. Casomai una lucida capacità di analizzare le proprie debolezze e frustrazioni; l’essere umano, fallace e incompleto. È una sintesi, tipica anche della sua cinematografia, che non indugia mai eccessivamente negli aneddoti o nelle storie da narrare, dando risalto alla consequenzialità degli accadimenti piuttosto che a un’interpretazione soggettiva degli stessi. Si è così portati a seguire nel tempo un personaggio in evoluzione, che mantiene alcuni caratteri costanti pur nelle trasformazioni della vita e degli eventi; un individuo incapace, forse per umiltà, forse perché realmente impossibile, di trovare nessi di casualità precisa in ogni sua azione o comportamento. Una storia, la sua, ricca ma mai narrata con l’enfasi di chi pensa di dire qualcosa d’importante. Anzi, semmai, un tono fin troppo sommesso nel raccontare episodi divertenti e particolari, per i quali si potrebbero spendere molte più parole o rievocare immagini più nitide.

Così come in Profondo Rosso si è avvisati sin dall’inizio su chi sia l’assassino, anche se è arduo scorgerlo nell’inquadratura, così ogni elemento presentato in questo libro, anche quello più insignificante, assume valore con lo scorrere delle pagine. E l’inizio, fulminante, di un tranquillo equilibrio che si sta spezzando e che potrebbe portare a qualsiasi conseguenza, è finalmente compreso con la lettura delle ultime pagine. Perché una vita narrata ha un suo modo di aprirsi, diverso per tempi e ampiezza dell’apertura stessa. Ma non può rifiutarsi a un lettore, un pubblico, un immaginario pronto a riprodurla. Non riporta solamente i fatti della sua vita. Racconta un approccio, uno spirito, una weltanschauung personale e intima con la quale entriamo in contatto. E determina il grado di vicinanza o complicità che possiamo raggiungere con la stessa.

Il titolo spiega così non tanto la dimensione pubblica, l’appartenenza di prodotti culturali condivisi e riconosciuti. Piuttosto il retroscena, quelle fascinazioni, spunti, elementi che hanno condotto Dario Argento verso e nella sua carriera. Il quotidiano, il suo incedere, le sue bizzarrie, che hanno in sé molto più orrore di un mostro o di una strega. E che possono essere espressi con una cinepresa o con una sceneggiatura.

 


 

VISIONI

  Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo, Rai Cinema - 01 Distribution, 2009 (home video).
Dario Argento, Profondo Rosso, Warner Home Video, 2013 (home video).
Dario Argento, Suspiria, Eagle Pictures, 2009 (home video).
Dario Argento, Inferno, 20th Century Fox Home Entertainment, 2007 (home video).