VISIONI / C’ERAVAMO TANTO AMATI


di Ettore Scola / Cecchi Gori Home Video, 2014


 

Il cinema, la sinistra, e altre delusioni

di Andrea Sanseverino

 

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"Marciavamo con l’anima in spalla nelle tenebre lassù" cantavano Antonio (Nino Manfredi), Gianni (Vittorio Gassman) e Nicola (Stefano Satta Flores), i protagonisti di C’eravamo tanto amati, tre partigiani impegnati nella lotta contro i nazifascisti sulle montagne innevate. Ma cosa accade loro quando la guerra finisce, la Repubblica è proclamata, e con essa ritorna (o inizia) il corso democratico? La risposta è la cifra di questa pellicola di Ettore Scola, il cui titolo è ispirato ai primi versi di Come pioveva, un brano del 1918 di Armando Gill. Il film, un progetto che inizialmente Scola portò invano all’attenzione di Goffredo Lombardo, come il regista confesserà in un documentario dedicato alla figura del produttore napoletano diretto da Giuseppe Tornatore, uscì nelle sale esattamente quarant’anni fa ed è oggi disponibile in dvd. C’eravamo tanto amati è tratto da un soggetto di Age, Scarpelli e Scola, sceneggiato dagli stessi, i quali offrono una narrazione farcita di immagini documentaristiche, con gli attori principali coinvolti in prima persona attraverso la voce fuori campo a commentare i fatti o che spesso si rivolgono direttamente agli spettatori guardando verso l’obiettivo. Quanto alla sostanza, il film si potrebbe definire una rappresentazione dei diversi volti della sinistra nel secondo dopoguerra: Antonio è l’anima genuina e concreta, viscerale e generosa; Gianni quella intraprendente, capace in montagna degli atti più temerari, ma, deposte le armi, sedotta dall’ambizione e dal potere; Nicola è la figura che antepone gli ideali alla famiglia, per lui “non basta essere proletari, l’intellettuale è più avanti, è più su, è più giù, egli è irraggiungibile, egli è più oltre!”. Scola mette in atto, come ebbe modo di rilevare lo storico e critico del cinema Gian Piero Brunetta, un tentativo di coscienza generazionale che aveva avuto le sue origini una quindicina d’anni prima con Una vita difficile di Dino Risi (Brunetta, 2001).

Uniti dalla guerra sui monti, i tre protagonisti sono divisi dalla pace, per ritrovarsi a Roma, la città in cui vive Antonio facendo il portantino, più romanesco che romano, il quale lamenta, sulle sorti della propria carriera professionale, gli esiti del prestito di cento milioni di dollari ottenuto da Alcide De Gasperi da parte dell’Export Import Bank: se a seguito di quella concessione erano stati cacciati dal governo socialisti e comunisti, all’ospedale San Camillo, dove Antonio lavora, solo i portantini democristiani erano diventati infermieri, mentre lui, comunista e per giunta reo di aver preso parte a uno scontro fisico con una monaca, era rimasto al palo.

Tra i degenti del San Camillo, tuttavia, incontra Luciana, attricetta friulana della quale lui s’innamora a tal punto da farsi trascinare alla visione di ben dieci quadri di una rappresentazione che la donna adora, Strano interludio, il dramma del 1928 di Eugene O’Neill dal quale Scola riprende in certi punti l’espediente d’illuminare il personaggio per rivelarne un pensiero (quasi) inconfessabile ai presenti in scena.

Nel 1948 giungono nella capitale prima Gianni, ormai laureato in legge e arrivato dalla Lombardia con una lettera di presentazione per un famoso avvocato del quale egli sarà ottavo assistente con uno magro stipendio, e successivamente Nicola, che a Nocera Inferiore ha abbandonato l’insegnamento in un liceo e, soprattutto, moglie e figlio. L’intervallo di tempo tra i due arrivi è fortemente segnato dalle elezioni politiche del 1948, le prime con l’entrata in vigore, il primo gennaio di quell’anno, della Costituzione, quelle della vittoria democristiana sul Fronte Democratico Popolare: “Poche date nella storia dell’Italia repubblicana hanno assunto, come il 18 aprile 1948, un significato simbolico, di spartiacque fra un’epoca e un’altra. Col 18 aprile finisce il dopoguerra. Col 18 aprile si infrangono definitivamente le residue speranze di governo della sinistra. Col 18 aprile ha inizio a pieno titolo l’era […] dell’egemonia democristiana. Che il 18 aprile abbia rappresentato tutto questo è innegabile” (Sabbatucci, 1980).

Per Antonio, il più amareggiato per la débâcle elettorale, ai dispiaceri politici si aggiungono quelli sentimentali, dato che Luciana gli preferisce Gianni, la cui ambizione lo porta prima ad unirsi alle sorti del marchese Romolo Catenacci (Aldo Fabrizi), cinico palazzinaro in cui sono incarnati, o meglio, incancreniti alcuni dei più bassi disvalori del postfascismo, poi alla figlia di questi, Elide (Giovanna Ralli), che Gianni avvicina unicamente per interesse. A questo punto il film ha un nuovo inizio, che il regista sottolinea con un graduale passaggio dal bianco e nero al colore mentre un madonnaro dipinge un soggetto sacro al centro piazza Caprera. L’uso del colore proietta i tre personaggi in un mondo apparentemente nuovo, in cui le speranze vengono ugualmente disattese come in quello vecchio, ma comunque un mondo in trasformazione, segnato dall’egemonia della televisione. Quest’ultima nel film ha il volto di Mike Bongiorno e del primo quiz della televisione italiana, Lascia o raddoppia?, dove ritroviamo Nicola nei panni di un concorrente preparatissimo sulla storia del cinema italiano in cerca, in realtà, di promuovere, attraverso la popolarità concessa dal piccolo schermo, un suo progetto editoriale, un libro dal titolo che è tutto un programma, Cinema come cultura, perché, a suo dire, “tutto il buon cinema […] dovrebbe costituire materia d’insegnamento nelle scuole”.

A tal proposito, C’eravamo tanto amati costruisce, parallelamente alle vicende narrate, degli omaggi ad alcuni dei momenti rilevanti del cinema nazionale. In una sequenza Scola ricrea, infatti, il set della sequenza più celebre de La dolce vita, uscito nel 1960, sul quale si reca Luciana nella speranza di strappare qualche promessa al divo italiano del momento, Marcello Mastroianni che interpreta se stesso, con affianco Federico Fellini, al quale Scola gioca uno scherzo fuori copione. Immediatamente dopo ritroviamo Elide che dice di aver visto L’eclisse di Michelangelo Antonioni, film di due anni successivo, del quale vengono inserite alcune foto di scena: sempre più sola, al punto di confessare le proprie angosce ad un registratore e, quindi, a se stessa, la donna annovera la pellicola del regista ferrarese, insondabile ai più, tra le scoperte del suo personale percorso di formazione e crescita umana e culturale, intrapreso per non far sfigurare il suo colto Gianni.

L’omaggio più sentito, e anche più evidente, è, tuttavia, rivolto a Vittorio De Sica, al quale il film è espressamente dedicato e che morirà mentre il film è in fase di montaggio: a seguito dell’accorata difesa di Ladri di biciclette (lungometraggio del 1948) da parte Nicola contro i notabili di Nocera Inferiore, in primis il preside del suo liceo, forte di citazione andreottiana contro i capolavori del neorealismo, l’insegnante è apertamente accusato di fomentare “l’odio sociale” e sospeso dall’insegnamento. Riguardo al regista di Sora e ai legami fra il neorealismo e la commedia all’italiana, lo stesso Scola dichiarò: “Uno dei registi che più ho amato è Vittorio De Sica. Con Zavattini ha «pedinato» l’uomo, schiacciato dalla tragica realtà degli anni del neorealismo anche nei momenti in cui nonostante tutto si ride, quando è buffo e fantasioso: credo che la dimensione umana somiglia appunto a questo miracoloso miscuglio di tragedia e di favola, di mistero e di riso. La commedia italiana è stata figlia un po’ degenere del neorealismo, una sorta di reazione un po’ reazionaria, in quanto nata come pacificatoria, «testimone» di un’Italia consolata, grassoccia e paesana, dai pochi riferimenti con la realtà. Un cinema di fantascienza (o di fantacoscienza). Poi la commedia all’italiana è cresciuta, è entrata in maggior contatto con la realtà, ha scavato di più, si è fatta più inquietante, da consolatoria è diventata spesso provocatoria” (R. Ellero, 1995). In riferimento al peso che la figura di De Sica ebbe sulla pellicola di Scola, va inoltre ricordato che originariamente C’eravamo tanto amati era incentrato unicamente sulla storia di Nicola che avrebbe rincorso per anni De Sica, nei panni di se stesso, al quale il protagonista avrebbe dovuto rinfacciare l’incapacità di tenere costanti, nel corso della sua carriera, i canoni della stagione neorealista. Scola rivelò di averne discusso con l’interessato: “Mi disse che dal film veniva fuori un giudizio molto duro su di lui, da come era partito a come era arrivato: «In fondo me lo merito, è giusto così, ed è giusto che tu lo faccia». L’idea di dedicargli il film mi è venuta dopo” (Gili, 1978).

Di sicuro le delusioni in cui gli italiani inciampano nel secondo dopoguerra non sono imputabili a De Sica, ma il senso della sconfitta aleggia nel film di Scola. Il regista ne dà, a parere di chi scrive, un chiaro cenno nella sequenza in cui, a seguito di un incontro un po’ burrascoso, Antonio, Gianni e Nicola si ritrovano ad ascoltare, dopo tanto tempo e per caso, E io ero Sandokan, la canzone partigiana i cui versi iniziali introduco quest’articolo: il motivo del maestro Armando Trovajoli, compositore della colonna sonora di C’eravamo tanto amati e di altri film di Scola, è cantato a un falò nei pressi di una scuola, dove i genitori vegliano per l’iscrizione dei propri figli perché l’istruzione è di certo obbligatoria ma posto in classe non è garantito, sineddoche di quell’altra scuola, più grande, quella che si proclama fondata sul lavoro ma il diritto allo stesso è spesso offeso.


 

LETTURE

  Brunetta Gian Piero, Storia del cinema italiano. Dal miracolo economico agli anni novanta 196-1993. Vol. 3, Editori Riuniti, Roma, 2001.
Ellero Roberto, Ettore Scola, Il Castoro, Milano, 1995.
Gili Jean Antoine, Le cinéma italien, UGE, Paris, 1978.
O’Neill Eugene, Strano interludio, Einaudi, Torino, 1972.
Sabbatucci Giovanni, 18 aprile: il giorno nero della sinistra, in AA. VV., Storia di una repubblica. Enciclopedia politica dell'Italia dal 1946 al 1980, L’Espresso, 1982.

 


 

VISIONI

  Michelangelo Antonioni, L’eclisse, The Criterion Collection, 2005.
Vittorio De Sica, Ladri di biciclette, 20th Century Fox Home Entertainment, 2002.
Federico Fellini, La dolce vita, Cecchi Gori Home Video, 2013.
Dino Risi, Una vita difficile, Terminal Video, 2008.
Giuseppe Tornatore, L’ultimo gattopardo. Ritratto di Goffredo Lombardo, Guido Lombardo per Titanus, 2010.