VISIONI / GREEN LIES. IL VOLTO SPORCO DELL’ENERGIA PULITA


di Andrea Paco Mariani e Angelica Gentilini / SMK Videofactory, 2014


 

Sviluppo insostenibile di eco-bugie

di Vittorio Martone

 

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Lo scorso aprile è stato presentato il documentario indipendente Green Lies. Il volto sporco dell’energia pulita. Diretto da Andrea Paco Mariani e Angelica Gentilini, è prodotto da SMK Videofactory e distribuito da Distribuzioni dal Basso. Tutto il percorso di gestazione di questo lavoro è di certo appassionante quanto i suoi contenuti: due anni di riprese realizzate tramite campagna di crowdfunding popolare, con il sostegno del Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali e di Asud Onlus; due importanti realtà con un ruolo oramai centrale per l’informazione, la formazione e la ricerca sulle questioni legate ai conflitti ambientali, alla riconversione ecologica delle attività produttive e al settore energetico.

Green Lies, approfondendo proprio l’aspetto dell’energia cosiddetta rinnovabile, mette in luce evidenti anomalie che problematizzano quel diffuso ottimismo che contorna un settore considerato la via più aggiornata ed efficace per uno sviluppo sostenibile. Gli autori descrivono tre casi di localizzazione green, corrispondenti ad altrettante fonti: gli impianti eolici sull’Appennino bolognese; le centrali di biomasse sul monte Amiata, in Toscana; i pannelli fotovoltaici nel basso Salento, in Puglia. L’esposizione dei tre casi, delle poste in gioco e delle argomentazioni delle parti avviene dando voce ai residenti che, in ogni località coinvolta nella localizzazione di impianti di energia, promuovono comitati di opposizione ai progetti, almeno per come sono stati concepiti.

Quello dei comitati è un fenomeno straordinariamente diffuso nelle dinamiche della politica locale, specie in relazione alle decisioni pubbliche che riguardano grandi trasformazioni del territorio. Si pensi all’Alta Velocità in Val di Susa, al Ponte sullo Stretto di Messina, al Trans Adriatic Pipeline (TAP) in Puglia o al Mobile User Objective System (MUOS) in Sicilia (della Porta e Piazza, 2008). Ma perché opporsi alla localizzazione di un impianto eolico o fotovoltaico? Non dovrebbero rappresentare la best way verso il superamento dei combustibili fossili e la salvaguardia dell’ambiente? Ascoltando proprio le argomentazioni dei residenti intervistati nel documentario, pare proprio di no. Al di là delle specificità locali, è possibile individuare almeno tre argomentazioni ricorrenti che denotano l’anomalia di fondo in tutti e tre i casi analizzati: la difesa del locale, inteso da un punto di vista geomorfologico, paesaggistico o sanitario; l’inefficienza energetica dei progetti; le diseconomie prodotte su scala territoriale da investimenti eseguiti per lo più da grandi imprese che mirano allo sfruttamento degli incentivi.

Rispetto al primo punto. Gli abitanti di Camugnano, nell’appenino bolognese, organizzati nel Comitato di difesa del paesaggio in opposizione al progetto che prevede la costruzione di un parco eolico nella zona (sette “pale” di 150 metri circa), sostengono anzitutto che il luogo prescelto per l’impianto ha una conformazione franosa, inadatta a ospitare tralicci la cui base in cemento armato è grande “come un campo di calcio”. I dubbi sorgono nella misura in cui le procedure adottate sono ambigue, assenti o non basate su prove geotecniche preliminari. In secondo luogo, il Comitato ricorda che lo stesso movimento delle pale eoliche può essere dannoso per la salute: un parco eolico, apparentemente silenzioso, emette ultrasuoni “percepiti” dal corpo umano e dannosi per la salute. Ma anche la tutela del paesaggio è centrale: il parco eolico, una volta obsoleto, difficilmente verrà dismesso e la sua produttività energetica non copre il valore aggiunto che invece potrebbe fornire un utilizzo congruo del patrimonio paesaggistico locale.

Timori e critiche simili sono rilevabili anche nel caso toscano, relativo a un vasto piano di produzione geotermica sul monte Amiata. Organizzati nel Comitato SOS Geotermia, i cittadini dei comuni limitrofi denunciano, dati alla mano, che il fluido geotermico estratto contiene sostanze cancerogene che inquinano l’aria e la falda acquifera. Si parla di un incremento di mortalità pari al 13 per cento collegabile esclusivamente alla presenza del geotermico (2 morti in più al mese nei comuni di Abbadia, Piancastagnaio, Arcidosso e Castel de Piano). Per di più le emissioni cancerose degli impianti (mercurio e arsenico) intaccherebbero le sorgenti che alimentano gli acquedotti delle province di Grosseto, Siena e Arezzo.

Il caso pugliese, infine, è forse quello più noto per estensione e portata dei progetti. Centinaia di ettari di terreno, concentrati specialmente nel basso Salento, sono scomparsi sotto le distese di silicio degli impianti fotovoltaici, tumulando l’aspetto vitale della penisola. Ne consegue che la Puglia vanta ora il primato nella produzione di energia solare a livello nazionale ma, a un tempo, l’abbandono delle campagne e la vendita dei terreni per le energie rinnovabili riduce il “granaio” d’Italia alla quasi non autosufficienza alimentare.

Di certo si potrà dire che Green Lies “ascolta” solo una parte dei contendenti, quella che si oppone. Considerazioni che sovente partono da chi utilizza letture che coltivano un pregiudizio sfavorevole nei confronti del locale, tacciando le opposizioni di un orizzonte egoistico o irrazionale e riducendo gli abitanti in una posizione di illegittimità. In questo contesto prende corpo il problema della desiderabilità sociale degli impianti, la cui progettazione e localizzazione avviene nell’assenza totale di principi democratici. Sostenuti da piani energetici regionali costruiti attorno a una generica fiducia per le tecnologie rinnovabili, ogni impianto viene localizzato senza coinvolgere gli abitanti che si trovano così davanti al fatto compiuto. Una strategia opaca e dirigista, che di certo riduce i tempi di decisione ma che paga prezzi elevati in termini di legittimazione delle scelte. Scelte facilmente discutibili, come emerge in Green Lies, specie in un contesto in cui la percezione del rischio – ambientale, paesaggistico e sanitario – è elevata e non misurabile secondo parametri scientifici condivisi. Questa condizione di incertezza esaspera la ineguale distribuzione dei costi sociali e territoriali.

Ma la dimensione del conflitto territoriale non si esaurisce nel dibattito attorno alla validità delle forme di governo del territorio, alla chiusura dei processi decisionali o a una paventata “disposizione pre-moderna” degli abitanti. Piuttosto rimette in discussione la legittimità delle argomentazioni scientifiche sui rischi e l’autorevolezza di chi ne è portatore: gli esperti. Nei tre casi di studio emergono punti controversi, omissioni e irregolarità che annullano la terzietà dello scienziato e la sua capacità di detenere la verità. L’esperto dovrebbe essere colui che dice al politico come stanno le cose (cfr. Wildavsky, 1979). Ma nei fatti ogni scelta è inglobata in interessi partigiani e l’autorità esperta può apportare solo un supporto cognitivo all’uno o all’altro. Per l’eolico, le biomasse o il fotovoltaico si apre una diatriba tra una expertise accreditata (che promuove la localizzazione degli impianti, incarnata da Enel Green Power) e una expertise profana (espressa dai tecnici che aderiscono ai comitati locali di opposizione) che, attraverso argomentazioni tecniche (tabelle, dati, relazioni causali) esprime narrative contrastanti (cfr. Lewanski, 2004). È questo il punto cruciale da tenere in considerazione: decidere collettivamente sul corretto utilizzo delle rinnovabili non apre un percorso di scientizzazione della politica, ma di politicizzazione della scienza: se la politica presuppone la scienza, allora il dibattito scientifico è dibattito politico (cfr. Pellizzoni 2012).

Partendo da un’impostazione di Maarten Wolsink, ci sono tre dimensioni della desiderabilità sociale delle energie rinnovabili (cfr. Wolsink, 2007): una sociopolitical acceptance, che riguarda la desiderabilità sociale in seno all’opinione pubblica e che resta solidamente positiva verso una svolta green; una community acceptance, che riguarda la localizzazione degli impianti e che spesso trova – come abbiamo visto – non pochi disagi in termini di implementazione. Una market acceptance, che tocca l’adozione di nuove tecnologie da parte del mercato. In una prospettiva ingenua, si è creduto di coinvolgere investitori e aziende attraverso incentivi, certificati verdi e facilitazioni procedurali. Ma tali strumenti si sono tradotti in meccanismi di speculazione assolutamente privi di qualsivoglia ispirazione ecologica.

Nel caso dell’eolico in Emilia Romagna, i Comitati denunciano lo scarso rendimento energetico dell’impianto, costruito in un’area a bassissima ventosità. Perché costruire impianti che non producono energia? Perché in questo modo il promotore accede ai Certificati verdi, titoli rilasciati in misura proporzionale all’energia prodotta da un impianto alimentato da fonti rinnovabili. La beffa riguarda il fatto che tali titoli sono negoziabili e possono essere rivenduti sul mercato della borsa elettrica; ecco perché assistiamo a paradossali localizzazioni di centrali eoliche solo per ottenere certificati.

Ma è in Puglia che l’utilizzo improprio degli incentivi genera un sistema di affari che porta con sé delle alterazioni evidenti. Il Piano energetico regionale promuove una produzione fotovoltaica superiore ai fabbisogni locali, in vista di una cessione ad altre regioni. In secondo luogo, nel Piano si sostiene che le energie rinnovabili avrebbero progressivamente sostituito quelle fossili, ma negli anni si è assistito a un aumento concomitante di entrambe le fonti. In terzo luogo, il Piano sostanzialmente liberalizza la costruzione degli impianti e – basandosi sulla normativa nazionale – consente la localizzazione dei pannelli anche in zone agricole; per di più, per gli impianti non superiori a 1 megawatt, la licenza è rilasciata dai comuni tramite semplici Dichiarazioni di Inizio Attività (DIA). Frutto di una forte pressione lobbistica, queste scelte politiche non hanno favorito la strutturazione di una produzione diffusa, domestica ed ecologica dell’energia solare, ma la costruzione di vasti impianti avviati da imprese multinazionali interessate non alla produzione, ma all’ottenimento dei Certificati verdi da contrattare in borsa. È nei gangli di una legislazione deregolante e contraddittoria che si da spazio alle infiltrazioni mafiose, che specie sui parchi eolici hanno già fatto segnalare preoccupanti interessi (cfr. Sciarrone e altri, 2011).

Il caso pugliese mostra in tutta la sua consistenza che, per mezzo della narrazione attorno allo sviluppo sostenibile, sia in atto un’ulteriore internalizzazione nel capitalismo dei suoi limiti ambientali. Se la crisi ecologica ha rimesso in discussione l’approccio liberista allo sfruttamento della natura (come risorsa o come discarica), la versione edulcorata di stampo neoliberista non fa altro che introdurre un sofisticato quadro di giustificazioni in grado di trasformare il limite ecologico in opportunità di profitto (cfr. Hawken, Lovins, Hunter-Lovins, 2001). Così concepita, la ragion d’essere della green economy rischia di restare ingabbiata nella corsa del capitale all’accumulazione incessante, traducendo la “protezione dell’ambiente” in ulteriore mercificazione della natura.

Esiste un’alternativa? Come emerge anche in Green Lies, le pratiche di cittadinanza politica sperimentate nelle opposizioni locali rappresentano laboratori di apprendimento e condivisione comunitaria verso un uso delle energie rinnovabili territorialmente accettato. Il modello promosso è quello decentralizzato: ogni piccola utenza deve generare per sé l’energia di cui ha bisogno e mettere in circolo quanto produce in eccesso. Una democrazia del fotovoltaico diffuso sui tetti e non sui campi. Tra gli esempi virtuosi, in Green Lies è possibile apprezzare quello della Cooperativa di Melpignano, in cui i cittadini decidono dove spendere le risorse prodotte in eccesso utilizzando gli eventuali utili per progetti sociali e di riqualificazione urbana. Come spiega un amministratore locale intervistato, occorre trasformare gli utili delle energie da “bottino privato a risorsa pubblica”.

 


 

LETTURE

  della Porta Donatella e Piazza Gianni, Le ragioni del no, le campagne contro la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo stretto, Feltrinelli, Milano, 2008.
Hawken Paul, Lovins Amory, Hunter-Lovins, Capitalismo naturale, Edizioni Ambiente, Milano, 2001.
Lewanski Rodolfo, Il discorso della protesta, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
Pellizzoni Luigi, Conflitti ambientali. Esperti, politica, istituzioni nelle controversie ecologiche, il Mulino, Bologna, 2011.
Sciarrone Rocco e altri, Mafia e comitati di affari. Edilizia, appalti ed energie rinnovabili in provincia di Trapani, Donzelli, Roma, 2011.
Wolsink Maarten, Planning of renewable schemes. Deliberative and fair decision making on landscape issues instead of reproachful accusations of non-cooperation, Energy Policy, 2007.