ASCOLTI / GHOSTS OF INDUSTRIAL SUNDAY


di Maria Assunta Karini, Francesco Paolo Paladino, Simon Fisher Turner / 13, 2014


 

Tra il Lussemburgo e l'Everest

di Gennaro Fucile

 

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C’è una terra di nessuno situata tra le rovine della civiltà industriale, i siti produttivi abbandonati e talvolta riqualificati grazie a politiche urbanistiche illuminate, e i non luoghi, frutti della civiltà del consumo, punti di passaggio, di transito, di attraversamento noncurante della storia. Tra questi poli entrambi ibridi, si possono scorgere degli spazi di natura ancora più ambigua, nonché invisibili ai più: i luoghi di lavori abbandonati sì, ma solo per il fine settimana. Restano le macchine, le strutture, gli strumenti di lavoro, ogni cosa impregnata da quell’insieme di tensioni, conflitti, di fatica, malessere, da quel coacervo ogni giorno rinnovato di miserie, aspirazioni, frustrazioni e stanchezza, che costituisce l’essenza della condizione umana quotidiana di massa.

Via gli uomini, restano i fantasmi del lavoro e di questi si sono messi in cerca Maria Assunta Karini e Francesco Paolo Paladino girando Ghosts of Industrial Sunday, un cortometraggio della durata di neanche sette minuti, ma sufficienti ai due cineasti per comporre una sorta di via crucis tra oggetti, mura, corridoi che l’occhio della macchina da presa rimodella, scivolando da dettagli a panoramiche e viceversa per condurci in una dimensione ignota, in territori dove l’uomo è temporaneamente estinto. Un percorso che si ripropone automaticamente in loop, ad infinitum, salvo premere stop. Karini, scultrice, fotografa, scrittrice e regista e Paladino, a sua volta scrittore, regista e musicista, hanno lasciato che questo paesaggio dell’anima (delle macchine? dell’uomo?) si riflettesse in musica, affidando a Simon Fisher Turner la composizione del respiro delle loro immagini, quasi un doppio dello scenario che hanno concepito e ripreso. A rendere disponibile il tutto ci ha pensato la casa discografica 13, che ha prodotto (nella collana Private Sounds) sia il dvd sia il cd, nel quale, oltre al brano che funge da colonna sonora, sono presenti altre tre composizioni di Simon Fisher Turner nate come suggestioni intorno a Ghosts of Industrial Sunday.

Il disco apre con un acquerello elettronico, Lost Leviatohon, seguito da una meditazione per piano solo, Piano for Double Lesson, intenso e vagamente drammatico. Tutti e due, ma soprattuto il brano eponimo hanno un innegabile legame di sangue con l’opera di Harold Budd. In particolare, in Ghosts of Industrial Sunday l’incedere del pianoforte è analogo, quasi uno scandire versi, le voci riverberate e il brusio elettronico di sottofondo ne impreziosiscono la trama come suole fare il musicista statunitense. Più notturno è Some Lost Music, più fedele ai canoni della classica ambient music, farcito con suoni che sembrano percepiti in stato di trance. Aleggia un senso di solitudine, a riprova della forte suggestione esercitata dal corto di Karini e Paladino anche nella stesura dei brani supplementari.

Lo straniamento e la solitudine, d’altra parte, sembrano affascinare non poco Simon Fisher Turner, da oltre trent’anni compositore di colonne sonore per opere non convenzionali, a iniziare dalla sua collaborazione con Derek Jarman, per il quale realizzò cinque colonne sonore. Eppure… strano personaggio Simon Fisher Turner, protagonista di una metamorfosi degna di un racconto fantastico. Tutto inizia nei primi anni Settanta, lui è un ragazzino con studi musicali alle spalle, pubblica un album (Simon Turner) nel 1974 con qualche cover (come la Wild Thing dei Troggs e brutte canzoni firmate dal suo produttore Jonathan King), ha subito a che fare anche con la macchina da presa, ma come attore. È un ragazzino promettente, come una Judy Garland in sedicesimo, è nel cast di un telefilm per ragazzi della BBC, Black Beauty, da giovanotto è nel giro di Britt Ekland ai tempi Bond girl con Roger Moore in L’uomo dalla pistola d’oro e poi girlfriend di Rod Stewart. Lui, Fisher Turner, invece è un toy boy dell’attrice. Simon Turner non ha dimenticato la musica, bazzica nel giro dei The The ma anche della Portsmouth Sinfonia dove incontra Brian Eno. I Settanta terminano e anche la vita di Fisher Turner giunge a una svolta: inizia a sdoppiarsi. Allestisce un finto duo di ragazzine francesi, le Deux Filles, che suonano miniature pop talora usando la stessa pasta servita a Durutti Column (al secolo Vini Reilly) per sfornare i suoi dischi fatti di musica altrettanto deliziosa quanto friabile; poi raddoppia, avviando l’attività di fabbricante di colonne sonore per cinema d’avant-garde. Inizia a lavorare con Derek Jarman, conosciuto quando questi era al lavoro su Jubilee (1978), scrivendo le musiche di Caravaggio (1986). Non sarà una delle svolte, ma la svolta. Seguiranno nel 1987 The Last Of England (soundtrack che si avvale anche di Barry Adamson e di Diamanda Galas), The Garden (1990) per i quale affida un ruolo centrale al Balanescu Quartet, quindi Edward II (1991) e infine Blue (1993), il testamento di Jarman. Settantasei minuti di schermo perennemente blu, quel particolare blu, l’International Klein Blue, messo a punto dall’artista francese Yves Klein, esponente di punta della corrente concettuale del Nouveau Réalisme. Fuori campo, quattro voci, quelle degli attori cari al regista, John Quentin e Nigel Terry, lo stesso Jarman e Tilda Swinton, più che un’attrice, una vera musa (doppiate in italiano rispettivamente da Walter Maestosi, Francesco Carneluti, Massimo De Rossi, Carla Cassola), dialogano e riflettono su malattia, amore, cinema, memoria, sesso, amicizia, dolore, poesia, tempo, disfacimento fisico e, naturalmente, la morte. Jarman era oramai cieco a causa dell’Aids e condannato a morire di lì a poco. “Jarman costruisce il suo ultimo film sul paradosso del non-mostrabile, costringendo lo spettatore a fare i conti con il suo drammatico annullamento visivo (il colore fisso risulta ammaliante, ipnotico, ma anche insostenibile allo sguardo) ed esprimendo la lucida consapevolezza della fine in una confessione borderline sulla passione e la responsabilità di vivere nonostante e contro la malattia, che irrompe con energia e furore nella contemplazione indotta dalla tela blu” (Mereghetti, 2009). In questo autentico cinema per le orecchie, la musica è incarnata nei testi, come parti di un unico tessuto vitale (e morente). Fisher Turner ne scrisse delle porzioni e assemblò gli altri contributi (di Brian Eno, Coil, Miranda Sex Garden, Momus e altri, compresoVini Reilly). Quel blu accecante, la solitudine di un uomo che sta per morire e ne conversa con gli amici, chissà se la fascinazione per lo straniamento, la solitudine e anche per la monocromia che sembrano catturare oggi Fisher Turner risalgono a quella dolorosa esperienza artistica e umana. Allora di certo non lo diede a vedere. Anzi. Nel 1986 era approdato alla Él, sotto-etichetta della Cherry Red casa indipendente post-punk, che visse sei anni chiudendo i battenti nel 1990. Nel corso della sua vita accolse qualche nome noto (all’epoca) come Monochrome Set e Karl Blake con gli Shockheaded Peters e giovani di belle speranze: Louis Philippe (nome d’arte), Anthony Adverse (nome ingannevole, poiché si tratta di una chanteuse) e tale King of Luxembourg, evidentemente nome di fantasia. È un’altra incarnazione di Simon Turner, ora uno e trino, autoproclamatosi re e autore di due deliziosi album pop e qualche brano su 45 giri. I due album si intitolano Royal Bastard (1986) e Sir (1987). Il primo denuncia la passione non ancora spenta del re del Lussemburgo per le cover. Andò a pescare dei successi milionari dei Sessanta, come Happy Together dei Turtles (che in Italia divenne Per vivere insieme e fu un hit di Jimmy Fontana) e Valleri dei Monkees impreziosita da riff morriconiani, ma anche brani più recenti come A Picture of Dorian Grey dei Tv Personalities oppure Poptones dei PIL (dell’ex Sex Pistols John Lydon, che lì si faceva chiamare Johnny Rotten). In lista anche pezzi originali, preludio al successivo disco dove esibisce una mise regale con armatura e cimiero in braccio ma “in cui la bizzarria non è più un vezzo da esibire, ma è profondamente intessuta in un gioco aristocratico di movenze tra la furia rock di certe chitarre dilaniate. L’accuratezza degli impasti corali, il preziosismo di fagotti, clarinetti bassi e ance esotiche, la parodia di arrangiamenti bandistici” (Landini, 1993).

In seguito il re abdicherà e lascerà spazio soprattutto al costruttore di commenti sonori, soprattutto dopo la realizzazione di Blue. Come tutti i veri compositori di musiche da film, anche Simon Fisher Turner spazia tra i generi e d’altra parte non è certo l’ecclettismo a mancargli. Nel 1994 eccolo, in un certo senso, sul set di Nadja di Michael Almereyda, il genere è il vampirismo lesbico; due anni dopo si cimenta con l’horror di Loaded, diretto da Anna Campion. Nel 1998 affronta il genere drammatico con Claire Dolan di Lodge Kerrigan e ritorna al cinema d’essai scrivendo musiche per l’adattamento del Macbeth realizzato dalla compagnia Wolf & Water. È in buona compagnia, perché sono coinvolti anche l’ex Wire Bruce Gilbert e un altro re: Robert Fripp.

Nel medesimo periodo lo si ritrova a firmare le musiche per Croupier (Il colpo) diretto da Mike Hodges, che molti anni prima aveva girato Get Carter, film cult dei Settanta con Michael Caine e la bella Britt Ekland. Sempre sul crimine è la pellicola Gangster No. 1 di Paul McGuigan (2000).

Negli anni Fisher Turner ha realizzato anche altri lavori strumentali non dedicati al cinema, come Shwarma (1996), collage di suoni raccolti sul campo da Antigua a Tokyo, da Gerusalemme a Bangkok, uno sciame sonoro manipolato e rimontato, una finestra sul laboratorio da cui provengono molti dei suoi lavori per il grande schermo e anche, per la televisione per la quale produce diversi commenti sonori.

Nel 2010 raccoglie tre colonne sonore sotto il titolo emblematico Music From Films You Should Have Seen.

La prima è scritta per Un chant d’amour girato da Jean Genet nel 1950, il suo unico film. Ad accompagnare il canto d’amore è il jazz mediorientale di Gilad Atzmon che danza su un tappeto percussivo discreto e volteggia su un’elettronica quasi sempre eterea.

La seconda è la sonorizzazione di una mostra dedicata ai Super-8 girati da Jarman e la musica si sposta nei paraggi delle sonorità industrial, quasi a omaggiare un lavoro, forse il migliore dei Throbbing Gristle: la colonna sonora che realizzarono per un altro film di Jarman, In the Shadow of the Sun. Il terzo lavoro è il commento al docu-film The Invisible Frame, un corto di Cynthia Beatt che riprende Tilda Swinton che in bicicletta ripercorre il giro per Berlino che aveva fatto ventuno anni prima intorno al Muro, sempre in bicicletta. Il commento sonoro è affidato al suono del violoncello campionato e rielaborato di Natalie Clein. A Jarman è anche dedicata la raccolta di musiche per la mostra Derek Jarman Super-8 tenutasi alla Julia Stoschek Foundation di Düsseldorf nel 2010. Sonorità tecno-elettroniche, e atmosfere classicheggianti suggerite dal quartetto d’archi Elysian, e dal clarinetto basso di Sarah Scutt, suoni naturali e pura ambient music si alternano alludendo agli spaesamenti temporali ricorrenti nel cinema di Jarman.

Dove però tutto si ricongiunge è nelle due ultime colonne sonore per delle pellicole che vedono scorrere in controluce tutte le esperienze di Fisher Turner con il cinema. I due lavori si intitolano The Great White Silence (2011), e The Epic of Everest (2013). Il primo è un film completato nel 1924, dieci anni dopo il tentativo del capitano Robert Falcon Scott di raggiungere il Polo Sud (ma era stato preceduto dal norvegese Roald Amundsen). Il team di esploratori che guidava comprendeva anche il fotografo Herbert Ponting che filmò anche alcuni momenti della spedizione che fallì tragicamente: Scott non ritornò dalla spedizione finale. Ponting invece sì e riportò a casa il materiale filmato che integrato da scene ricostruite portò alla realizzazione del film, restaurato dal British Film Institute e sonorizzato da Fisher Turner. Da un grande bianco a un altro. Il secondo è il documento di una spedizione effettuata sull’Everest nel 1924 (ovvero, mentre si montava The Great White Silence), che vide protagonisti George Mallory e Andrew Irvine. L’avventura filmata da John Noel finì tragicamente e anche in questo caso si è effettuato un rigoroso restauro della pellicola a opera del BFI. Da un grande bianco a un grande bianco, da morte a morte, da avventura ad avventura, da poesia a poesia, da campionamento a campionamento. La memoria, la sfida, la tragedia, tutto sembra provenire dal quel blu accecante come il bianco. Qui la musica di Simon Fisher Turner raggiunge il suo vertice, agghiacciante, misteriosa, maestosa, prossima al silenzio, interrotta da suoni d’ambiente o di ignota provenienza, accompagnata da echi di musica orchestrale, lirica, folk. Le immagini scorrono mostrandoci una natura non tanto violenta quanto indifferente al passaggio dell’uomo.

Anche nel recente Ghosts of Industrial Sunday, il paesaggio artificiale abitato da manufatti umani e fantasmi d’uomini si rivela altrettanto disinteressato. Nella fabbrica, tra i grandi ghiacci o nei paraggi della cima del mondo, si misura la stessa distanza tra noi e le cose, tra noi e il mondo e solo la musica sembra riuscire a legare il tutto con un filo invisibile. Almeno pare riuscirci quella di Simon Fisher Turner, dopo tanti tentativi, fallimenti e ricominciamenti, finzioni, giochi e distacchi. E con uno spartito così la musica non può che cogliere l’essenziale della vita.

 

 


 

ASCOLTI

Discografia selezionata di Simon Fisher Turner
 
  Royal Bastard, Strange Days Records, 2006 (firmato King of Luxembourg).
  Sir, Strange Days Records, 2006 (firmato King of Luxembourg).
  Edward II, The Fine Line, 1991.
  The Garden, Mute Records, 1991.
  Nadja, The Fine Line, 1996.
  Shwarma, The Fine Line, 1996.
  Caravaggio, 1610, Él, 2005.
  Super 8 Derek Jarman, Optical Sound, 2010.
  Music From Films You Should Have Seen, Optical Sound, 2009.
  The Great White Silence, Soleilmoon Recordings, 2011.
  The Epic of Everest, Mute Records , 2013.

 


 

LETTURE

  Landini Andrea, Storie della Él, Musiche n. 14, Primavera/Inverno 1993.
  Mereghetti Paolo, Il Mereghetti. Dizionario del film 2014, Baldini & Castoldi, 2013.

 


 

VISIONI

  Derek Jarman, Collezione (box che include Blue, Caravaggio, Edoardo II, The Angelic Conversation), Dolmen Home Video, 2004.
Captain John Noel, The Epic of Everest, British Film Institute, 2014.
Herbert Pointing, The Great White Silence, British Film Institute, 2011.