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Ian Fleming’s James Bond collection, designed by Michael Gillette, published by Penguin UK, 2008

 

di Sergio Brancato

 

James Bond diviene un mito del mondo contemporaneo nel momento in cui attiva e dispiega compiutamente gli aspetti più produttivi della propria identità seriale. Se pensiamo alla costruzione collettiva del personaggio nel quadro attualizzato della mitopoiesi della cultura di massa, constatiamo che tra il 1953 – anno in cui Ian Fleming dà alle stampe Casinò Royale – e il 1962 – quando esce il primo film interpretato dall’archetipo bondiano Sean Connery – si realizza il progressivo spostamento da un sistema dell’immaginario a un altro, da una logorata dimensione seriale ad una più innovativa ed efficiente. Dal decennio degli anni Cinquanta, spazio dell’affermazione della logica dei consumi di massa nel loro apice strutturale, a quello dei Sessanta, in cui la televisione ricolloca le figure dell’identità e del desiderio su una nuova idea di territorio, la “macchina celibe” di 007 è forse il punto di massima evidenza di un mutamento in atto nelle culture dell’individuo industriale (Abruzzese, 2007).
I romanzi di Fleming, mediazione funzionale tra generi di massa e tarde derive della letteratura coloniale britannica, sono ancora interni a una logica della narrazione eroica conseguente ai nuovi assetti politico-culturali scaturiti dal secondo conflitto mondiale: in essi si allestiscono i simboli e le figure della guerra fredda, l’etica manichea dei blocchi contrapposti, ma anche – come sostenuto in precedenza – le direttrici del nuovo consumismo legato all’economia postbellica dell’età di Dwight D. Eisenhower, con il corredo di inquietudini generazionali e turbamenti di genere che accompagnano la messa a punto delle nuove identità sociali.
Le peculiarità del personaggio si riconducono soprattutto alle figure emergenti della relazione costitutiva tra tecnologia e lusso, che esso propone a un universo del consumo teso a riformulare – in maniera veloce e profonda – i propri orizzonti d’attesa, gli oggetti di un rinnovato desiderio erotico che coincide con la volontà di potenza dell’uomo-massa nel crepuscolo incipiente del modello di società che lo ha generato quale figura centrale dei processi storici di industrializzazione. Ed è soprattutto questo aspetto che caratterizza il design concettuale dell’agente segreto 007, il superuomo (agente tutt’altro che segreto) di un Occidente in conflitto con i propri fondamenti ideologici, una spia che gode del privilegio di uccidere in ossequio alla ragion di Stato e – soprattutto – in accordo con le nuove coreografie del desiderio, di un erotismo che si estende su nuove e più ampie geografie del consumo, geografie che contemplano nuove soluzioni nelle trame del conflitto tra individuo e società.
È nel cinema che viene sancito questo carattere superomistico, di derivazione marlowiana più che nicciana. A ben vedere, infatti, il Bond di Connery non compie mai il balzo al di là del bene e del male, mentre le radici luciferine a tratti emergono dal suo denso e tutt’altro che elementare terreno narrativo: 007 viene sistematicamente messo in condizione di affrontare scelte radicali, che mettono in discussione le sue responsabilità rispetto a se stesso, alla propria missione (il significato della sua esistenza), ai propri algidi affetti (le zone irrisolte e pertanto fascinose della sua vita). Le strutture narrative dei romanzi di Fleming, fondate sullo sviluppo iterativo della trama avventurosa intesa come dinamica o situazione di gioco (Eco, 1978; sui primi approcci teorici italiani alle tematiche superomistiche di Bond si veda Del Buono, Eco, 1965), dispiegano al meglio la loro capacità di identificazione e intrattenimento proprio nell’orizzonte linguistico del film, alla cui costruzione concorrono tanto il piano letterario della sceneggiatura quanto le traiettorie di fuga visiva di una scenografia “affollata” dei segni e delle ideologie del design radicale, fondale ideale per l’interazione tra corpo femminile (anch’esso, come nel caso di Ursula Andress, provocatorio poiché confinante con l’androgino) e coreografia della violenza spinta all’estremo del delitto.
Il progetto cinematografico seriale dei produttori Albert R. Broccoli e Harry Saltzman segue il successo crescente dei romanzi di Fleming, che tuttavia riuscirono a diventare dei best-sellers solo verso la fine degli anni Cinquanta, grazie alla progressiva percezione da parte del pubblico della distanza sempre più definita tra l’eroe bondiano e le sue più prossime matrici immaginarie (ad esempio, i “duri” dei romanzi di Mickey Spillane o Peter Cheyney, in cui ancora si riverbera la visione critica dei grandi maestri dell’hard-boiled school statunitense degli anni Trenta e Quaranta), dunque quando James Bond porta a compimento il processo graduale di individuazione e adesione alle istanze profonde del suo pubblico. Prima del cinema, nel 1957, l’agente segreto di Fleming ebbe accesso al fumetto grazie alle strip quotidiane disegnate da John McLusky per il Daily Express, confermando la versatilità delle proprie sostanze costitutive e il loro progressivo spostamento verso una sofisticata serialità trans-mediale. Nella forma cinematografica, all’alba degli anni Sessanta, il corpo erotico di Bond si compie all’interno di un percorso articolato nelle pratiche del consumo che lo rende icona delle dinamiche più profonde della cultura di massa.

 

02_capLa trasmigrazione del corpo eroico di 007 da un ambito mediale a un altro, dai confini della stampa di massa alle inusitate aperture dei linguaggi audiovisivi e alle loro rinnovate narrazioni, non è ovviamente un fenomeno originale, costituendo invece una delle fondamentali pragmatiche dell’industria culturale. L’aspetto innovativo e specifico che invece va sottolineato nella costruzione sociale del personaggio di Fleming è un altro. Fin dai romanzi, il mondo avventuroso di Bond si costituisce sull’assemblaggio di segni che riguardano la fantasmagoria della merce: 007 ci introduce in una sorta di grande esposizione universale dei consumi voluttuari e delle nuove fisionomie dell’edonismo in un’epoca che costituisce l’apice della sperimentazione dell’identità sociale attraverso i consumi.
Il personaggio di James Bond, nella propria caratterizzazione filmica e nella perfetta adesione alchemica con il corpo divistico di Sean Connery, si presta ad essere il testimonial più efficace di una fase di riassetto globale del ciclo della merce intorno a nuovi processi di comunicazione che rimettono in discussione etiche ed estetiche della modernità industriale. Fa quasi tenerezza, oggi, rileggere le pagine in cui Goffredo Fofi, ancora nella seconda metà degli anni Ottanta, riduceva la relazione tra Bond e le forme del consumo ad una semplice e quasi truffaldina strategia pubblicitaria: “nelle traduzioni (e forse, via via, anche nei libri originali) ciò che [James Bond] beveva guidava vestiva era contrattato dagli agenti di Fleming con ditte del settore, era insomma pubblicità indiretta ben remunerata” (Fofi, 1986).
Definendolo “pubblicità indiretta” – e per via indiretta intendendo, in pratica, subliminale – Fofi scopre il product placement, la logica produttiva che ad esempio ritroviamo nel 1995 alla base del passaggio dalla storica Aston Martin DB5 alla BMW Z3 di Goldeneye. O, se si vuole, la marca costitutiva del vodka Martini “agitato non shakerato”, spot eternizzato di Martini che trasforma il brand torinese in una delle sostanze immaginarie che definiscono i confini semantici transnazionali della modernità. Ovviamente, per Fofi questo connubio tra cultura e prodotti di consumo appare quanto meno stigmatizzabile, ma così facendo perde di vista il nesso organico tra estetica e merce nell’età industriale. Che senso ha, davvero, il collegamento costantemente esibito tra la costruzione del personaggio Bond e le strategie di brand? L’agente segreto di Fleming incarna, in una fase nevralgica delle dinamiche della trasformazione sociale, la negoziazione tra identità sociale e consumi di massa, nell’ambito di un significativo spostamento d’asse fra la tradizionale centralità del lavoro al nuovo protagonismo delle pratiche di fruizione della merce. La serialità del corpo di Bond coincide al massimo grado ipotizzabile con la serialità costitutiva del ciclo della merce nell’età della sua smaterializzazione e assunzione in un quadro simbolico rinnovato dall’azione dei media elettronici e dai loro processi di riterritorializzazione. Anche il suo erotismo profondo, tutto giocato tra la meccanica “voluttuosa” dei dispositivi di guerra e la natura sadomaso del suo rapporto con la sessualità, indica uno snodo eversivo rispetto alla qualità dei corpi eroici che l’hanno preceduto.
L’identità di James Bond, così, non può che essere costruita sulle fondamenta di una distinzione che interviene rispetto alle precedenti culture del lavoro ed anche ai precedenti consumi. Al centro della sua percezione del lusso, inteso come affermazione “lussuriosa” di un sé non più contenibile in una data idea di ordine sociale, 007 individua una nuova “visibilità” relativa al dispiegamento simbolico della tecnologia industriale, sempre più connessa al corpo e alla sua capacità di abitare il mondo al di fuori dei processi storici di massificazione. Nelle sue enunciazioni di stile, Bond afferma con forza estrema il profilo di un radicale individualismo, dotato di tratti assai diversi dal passato, in cui l’azione dei media riveste un ruolo determinante: fondazione di un territorio da abitare attraverso nuovi modelli di interazione sociale, nuove affermazioni identitarie, inediti conflitti scaturiti dal disordinamento dei precedenti assetti di potere a partire dall’età vittoriana e dalle sue architetture imperiali fondate sull’impraticabile inattualità di un centro culturale di riferimento, di una onnicomprensiva architettura valoriale della vita quotidiana (in questo, senza probabilmente rendersene conto, Fleming non magnifica la sua visione del mondo ma la porta a compimento, introducendoci alla consapevolezza del suo declino; sui percorsi di James Bond nell’immaginario rimandiamo a Cappi, Coffrini Dell’Orto, 2006; Giovannini, 2000; Sarno, 1996). Un mondo obsoleto, quello in cui si origina la creatura di Fleming, rispetto al quale il corpo – insieme istintivo e ipertecnologico – di Bond traccia una linea di confine, quella della complessità postindustriale e del suo immaginario, che non potrà più essere varcata. E del resto, nell’ambito di una serialità che ormai copre un arco temporale comprensivo di più epoche ed eventi di svolta, il destino di 007 è esattamente quello di rinnovare ogni volta il sentimento di lacerazione e rinascita di tutti gli eroi alle prese con il problema dell’appartenenza.

 


 

LETTURE

Abruzzese Alberto, La Grande Scimmia. Mostri vampiri automi mutanti, Luca Sossella Editore, Roma, 2007.

Cappi Andrea Carlo, Coffrini Dell’Orto Edward (a cura di), Mondo Bond 2007, Alacràn, Milano, 2006.

Del Buono Oreste, Eco Umberto (a cura di), Il caso Bond. Le origini, la natura, gli effetti del fenomeno 007,
Bompiani, Milano, 1965.

Eco Umberto, Il superuomo di massa, Bompiani, Milano, 1978.

Fofi Goffredo, Addio James Bond. Ormai la Spectre è tra noi, in Adornato Ferdinando, Eroi del nostro tempo,
Laterza, Roma-Bari, 1986.

Giovannini Fabio (a cura di), Guida completa a James Bond, Elle U Multimedia, Roma, 2000.

Sarno Antonello, Il mio nome è Bond. Viaggio nel mondo di 007, Il Castoro, Milano, 1996

 

 


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