LETTURE / I.N.R.I.


di Michael Moorcock / Mondadori, Milano, 2011 / pagine 188, € 5,50


Quel paradosso infinito chiamato Dio

di Roberto Paura

 

Un esempio classico di paradosso temporale prodotto da quello che Stephen Hawking definirebbe assai sterilmente come una “curva chiusa di tipo tempo” vede un viaggiatore del tempo tornare nel passato e uccidere il nonno (o, in una versione più edipica, la propria madre). Una versione blasfema di questo classico paradosso consiste nell’immaginare che qualcuno torni nel passato, all’epoca della presunta crocifissione di Gesù, e cambi la storia a proprio piacimento. I modi per farlo, teoricamente, sono molteplici. Ma se qualcuno avesse la malaugurata idea di prendere il posto di Gesù per vivere l’ebbrezza di essere considerato, duemila anni dopo, il figlio di Dio, dovrebbe pur sempre fare i conti con lo spiacevole incidente della crocifissione, per quanto qualcuno l’abbia definita soltanto “una gara ciclistica in salita” (un titolo parafrasato poi da James Ballard ne La mostra delle atrocità).

L’inglese Michael Moorcock, che negli anni Sessanta produsse una vera e propria rivoluzione nella letteratura fantascientifica introducendo, sulle pagine della rivista New World, la corrente che sarebbe stata definita “New Wave”, fu tra coloro che non si posero il problema di affrontare questo scottante paradosso. Lo fece in un racconto lungo, Behold the Man (la versione inglese di “Ecce Homo”), poi esteso a romanzo e in Italia tradotto con il titolo fin troppo rivelatorio di I.N.R.I. Era il 1966 e allora una simile storia poteva fare scandalo. Ma la fantascienza non poteva farsi sfuggire l’occasione di trattare la più affascinante storia fantasy mai narrata sulla Terra, tenuto conto del celebre adagio di Arthur C. Clarke secondo il quale “qualsiasi tecnologia abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia”. Sulla base di queste premesse, l’idea è semplice: che cosa succede se un crononauta arriva nella Palestina dei primi anni dell’era volgare, durante gli anni in cui si presume sia vissuto Gesù, e un gruppo di ebrei un po’ strambi, guidati da un uomo chiamato Giovanni il Battista, incappa nella sua macchina del tempo? Senz’altro, la tecnologia avanzata della macchina – sui cui particolari tecnici Moorcock, da buon sostenitore della New Wave, glissa senza problemi – può essere scambiata per magia.

Fermiamoci un attimo qui. L’idea non era originalissima nemmeno nel 1966. Richard Matheson, l’acclamato autore di Io sono leggenda, la impiegò nel suo racconto Il viaggiatore già nel 1954 (in Italia pubblicato solo nel 1963). Il protagonista è un accademico, fondamentalmente scettico, che decide di sfruttare la macchina del tempo per osservare in diretta la crocifissione di Gesù. Non assiste a nessun miracolo, ma è così toccato dalla figura di Cristo che al ritorno nel suo tempo diventa credente. Ci sono diverse affinità con I.N.R.I. Innanzitutto i due protagonisti: sono entrambi uomini di studi profondi, benché il Karl del romanzo di Moorcock non sia un professore in senso stretto. In entrambe le storie, il punto centrale è la crocifissione: e in entrambe le storie, non si assiste a nessun tipo di miracolo. Anche se Matheson tende a un’interpretazione cristiana e Moorcock no, resta il fatto che in entrambe le vicende Gesù non è che un semplice essere umano. Nel 1962 John Brunner, autore di punta della fantascienza sociologica degli anni Sessanta e Settanta, pubblicò a puntate Times Without Number, poi riproposto in romanzo nel 1969 e tradotto in Italia un anno dopo come La società del tempo: una brillante ucronia ambientata in un mondo dove l’Invincibile Armada conquistò l’Inghilterra e dove è possibile viaggiare nel tempo. Ma solo a un uomo, il Papa, e una sola volta, subito dopo la sua elezione, è concesso assistere alla crocifissione di Gesù nella Palestina del I secolo. E nel racconto Il salvatore di Arthur Porges, del 1962, gli inventori della macchina del tempo sono costretti a distruggerla per evitare che un fanatico armato di fucile torni nel passato per salvare Gesù dal dramma del Golgota.

Quando Moorcock affrontò quello stesso tema, nel 1966, c’era quindi già una letteratura abbastanza consolidata sull’argomento. Il colpo di scena del romanzo, che il lettore intuisce già nelle prime pagine, non è l’elemento che rende unica la sua storia. Certo, I.N.R.I. è ricordato soprattutto per quel colpo di scena. Ma in seguito autori più spregiudicati sono andati anche oltre, ipotizzando la conversione di esseri extraterrestri al cristianesimo (Raymond Jones e Lester del Rey in Alieno in croce nel 1978) o addirittura natura aliena di Gesù (Philip José Farmer in Cristo marziano, nel 1979). Eppure, Moorcock resta ancora oggi capace di provocare con il suo romanzo, e questo per due ragioni. Innanzitutto perché l’approccio alla fede del protagonista, Karl, è ambiguamente influenzato dalla sua ossessione sessuale e masochista per il simbolo della croce, che porta alla luce inconsci freudiani e junghiani ancora oggi difficilmente affrontabili (Karl non a caso è uno studioso di Carl G. Jung). E in secondo luogo perché il vero Gesù presentato in I.N.R.I. è un demente, un minorato, disprezzato dalla madre Maria – nota per i suoi costumi disinibiti – e dal padre Giuseppe, che si è dato da fare a ingravidare la moglie. Lo stesso Karl finirà sedotto dalle voglie di Maria, sperimentando in prima persona l’assai scarsa fondatezza della sua verginità.

Eccoci quindi al punto: I.N.R.I. è un romanzo sui paradossi temporali che al tempo stesso affronta i grandi paradossi su cui si fonda la fede cristiana, cioè la natura umana e divina di Gesù, Dio uno e trino, l’immacolata concezione della Vergine Maria, la transustanziazione del vino in sangue e del pane in carne. E così via, fino al paradosso finale su cui si sono arrovellati i cervelli tutti i più fini teologi: ma chi ha creato Dio? E se Dio si è auto-creato, cosa faceva prima di creare l’universo? Era inevitabile che la fantascienza si appropriasse di questi dubbi esistenziali, le cui immaginifiche risposte ben si sposano con la scatenata fantasia degli scrittori di science-fiction. Dopotutto, la fantascienza pone inevitabilmente un problema gravissimo all’essenza stessa del cristianesimo: se esistono altri mondi, Cristo si è offerto in sacrificio su ognuno di essi per espiare i peccati dei suoi abitanti? L’immagine, grottesca, ha urtato diverse coscienze ecclesiastiche. Sostenere, come hanno fatto alcuni uomini di Chiesa, che gli extraterrestri potrebbero essere privi del peccato originale, ci pone in una posizione alquanto infamante. E poi, Cristo assumerebbe fattezze diverse su ogni pianeta abitato? Verosimile. Ma l’immagine di Cristo con due teste e molte braccia, per esempio, non è piacevolissima, quando non addirittura blasfema. Anche se un racconto poco noto – non disponibile in italiano –, In partibus infidelium del polacco Jacek Dukaj, ha ipotizzato un futuro Papa alieno. E romanzi ben più celebri, come Buone notizie dal Vaticano di Robert Silverberg (1973) e Il papa definitivo di Clifford Simak (1983), hanno fatto scalpore proponendo un Papa robot.

Viceversa, se Cristo si fosse incarnato solo sulla Terra e non sugli altri mondi, e i popoli di questi mondi fossero evidentemente lontani dalla grazia di Dio, bisognerebbe supporre che non abbiano ricevuto la luce della Rivelazione. E che si fa, allora? O si presume che gli Umani stiano alle altre civiltà extraterrestri come gli Ebrei stavano agli altri popoli della Terra, e cioè un popolo eletto da Dio, per potersi così crogiolare in un nuovo antropocentrismo e chiudersi in uno splendido isolamento, o si ammette che i popoli alieni necessitano di essere evangelizzati. Allora, come ipotizzato da Dan Simmons in Hyperion (1991), la Chiesa potrebbe inviare sugli altri pianeti dei missionari, con l’obiettivo di portare a tutte le civiltà dell’universo la lieta novella. Il tutto suona quantomeno anacronistico. È per questo che il problema si pone soprattutto con il cristianesimo. Dopotutto, quando nel 1956 Isaac Asimov nel suo celeberrimo racconto L’ultima domanda (1975) proponeva un universo creato da una coscienza cosmica incarnata dal supercomputer Multivac, affrontava un tema che, tutto sommato, non ci crea tanti problemi: la scienza ha dimostrato che l’universo ha avuto inizio da una singolarità, un punto dello spazio-tempo in cui le leggi della fisica vengono meno. E che questa singolarità sia il frutto di fluttuazioni quantistiche, della volontà creatrice di un Dio fatto a nostra immagine e somiglianza o di un supercomputer fatto a immagine e somiglianza dei suoi creatori dell’universo precedente, al cristiano interessa sostanzialmente poco. Il Dio creatore appartiene a tutte le religioni, da quella ebraica e islamica alle più complesse religioni politeiste. Ma guai a toccare Gesù Cristo!

Se, insomma, il rapporto tra fantascienza e religione è stato continuo e particolarmente fecondo, pochi autori hanno avuto lo stesso coraggio di Moorcock nel trattare l’evento più sacro della mitologia cristiana con la sua fastidiosa ruvidezza. Il problema è che Cristo è il vero paradosso della religione: è il Dio fatto uomo. Uomo, beninteso. Non marziano o quello che sia. E il riferimento al marziano non cade per caso. Quando Robert Heinlein pubblicò, nel 1961, Straniero in terra straniera, sapeva bene dove voleva arrivare. Valentine, il protagonista del romanzo, un marziano, è in realtà una sorta di Gesù reincarnato e tornato sulla Terra per diffondere un nuovo Verbo. Valentine predica l’amore libero, il sesso senza peccato, l’abbattimento dei rigidi schemi astratti della convenzionalità borghese; e al tempo stesso dimostra l’irrazionalità delle religioni, la superstizione alla base della fede, il puritanesimo che si nasconde dietro presunte leggi morali universali. Valentine finirà per fondare una nuova setta a metà tra Chiesa e filosofia zen in cui applicano le sue tesi della libertà all’insegna del motto “Tu sei Dio, io sono Dio”. Valentine pensa ed agisce come il profeta di una nuova società e seguirà lo stesso destino del più grande dei profeti: morirà ucciso da chi non lo capiva per salvare i suoi discepoli e rinforzare la loro fede.

In Straniero in terra straniera, Heinlein significativamente assegnava a un alieno il compito di “ritornare” nel mondo, come Cristo aveva promesso ai suoi discepoli prima di lasciarli. È stato spesso sostenuto, a ragione, che se Cristo tornasse oggi nessuno lo riconoscerebbe, o verrebbe preso per pazzo. Sarebbe, a tutti gli effetti, uno straniero in terra straniera. Ma Moorcock fa anche di più: con I.N.R.I., sostanzialmente, afferma che Gesù Cristo non esisteva nemmeno allora, esattamente come non potrebbe esistere oggi. A prenderne il posto, non a caso, è uno psicopatico, o meglio un disadattato: uno che non riesce a vivere nella società in cui è nato. Esattamente come Gesù. E ciò rende ancora più estremo il suo paradosso: Dio si è incarnato in un reietto, in un emarginato, perché il resto dell’umanità gli è venuta male, e quelli che crediamo pietre scartate dal costruttore sono in realtà le pietre d’angolo di quel tempio piuttosto sgangherato che è il Creato.


LETTURE

× Asimov Isaac, L’ultima domanda, in Il meglio di Asimov, Mondadori, Milano, 1975.

× Brunner John, La società del tempo, Casa Editrice La Tribuna, Piacenza, 1970.

× Del Rey Lester, Jones Raymond F., Alieno in croce, Mondadori, Milano, 1982.

× Farmer Philip J., Cristo marziano, Sevagram, Torino, 1984.

× Heinlein Robert, Straniero in terra straniera, Editrice Nord, Milano, 1977.

× Matheson Richard, Il viaggiatore, in Fantasia e fantascienza n. 2, Editrice Minerva, Milano, 1963.

× Porges Arthur, Il salvatore, in Patto col tempo, Edizioni dello Scorpione, Milano, 1967.

× Silverberg Robert, Buone notizie dal Vaticano, Mondadori, Milano, 1973.

× Simak Clifford, Il papa definitivo, Editrice Nord, Milano, 1983.

× Simmons Dan, Hyperion, Mondadori, Milano, 1991.