VISIONI / NIEMEYER BY FONTELA


di Hugo Fontela / Centro Niemeyer, Avilés, Spagna


Magnifico è lo spazio e leggera la bellezza nell'opera di Oscar Niemeyer

di Linda De Feo

 

La ricerca della bellezza guida costantemente la produzione di alcuni artisti che, creando un proprio inconfondibile stile, si mostrano particolarmente attenti al rapporto fra il sentire umano e la speculazione intellettuale, la produzione di immaginario e l’elaborazione teorica, l’orizzonte estetico e la dimensione filosofica.

Le opere di un indiscusso protagonista del nostro tempo, l’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, intensamente espressive e potentemente plastiche, hanno segnato una svolta fondamentale nella cultura visiva, coincidente con il culmine dell’intreccio cosmopolita della società industriale, rappresentando un suggestivo archetipo per i successivi modi di interpretazione del paesaggio urbano. Nel riorganizzare visivamente la realtà, esse realizzano la fusione armonica dei volumi pieni e vuoti, nonché la perfezione estrema dell’uso evocativo dei contrasti di luce e ombra, che forgiano lo spazio politico in architettura, con il suo essere abitato da un uomo naturalmente incline a coniugare organico e inorganico nella complessità proteiforme dell’anfibio mondo natural-culturale e ad animare magicamente l’artificiale nell’articolata pluralità fenomenica dell’antroposfera.

Minimalismo e grandiosità sono le cifre stilistiche del lavoro di Niemeyer, insignito, nel 1988, del Premio Pritzker, definito il Nobel per l’architettura, destinato a onorare annualmente un architetto vivente che produca contributi consistenti e significativi all’umanità e all’ambiente.

Niemeyer, cogliendo la ricca essenza e il sensuale immaginario della terra nativa – come è sottolineato dalla mostra, presentata al Centro Niemeyer di Avilés, Niemeyer by Fontela, che, attraverso una ricca serie di opere di Hugo Fontela, racconta l’incontro tra il pittore spagnolo e l’architetto –, ha piegato l’astrattismo purista alla sinuosità del barocco brasiliano mediante la realizzazione di numerosissimi edifici, disseminati in molte parti del mondo, caratterizzati da una sorprendente varietà formale e ispirati al contempo al rigore e all’arditezza, alla ragione e alla passione, alla logica e alla genialità. Dando realtà alle sue concezioni edilizie, l’architetto ha accolto, rivisitandola radicalmente, la lezione delle teorie razionaliste diffusesi durante il primo dopoguerra, che, segnate dalla totale identificazione di forma e funzione, avevano prediletto l’utilizzo di volumi semplici e netti, abolito ogni ornamento, eliminato ogni orpello, privilegiato la funzionalità rispetto al decorativismo e adottato, nella preponderanza delle linee e degli angoli retti, la progettazione in serie di pezzi prefabbricati, con il fine di instaurare un rapporto coerente tra l’oggetto architettonico e le tecniche standardizzate della produzione industriale. Al serrato contrappunto strutturale, Niemeyer ha sostituito pochi essenziali elementi, marcatamente spaziati: mostrando la luminosità dei muri liberi, pur nell’audacia di scelte originali e di valori formali nuovi, lasciati emergere dal grande laboratorio di immagini del passato, ha reinterpretato la continuità di un prezioso insegnamento nello svolgersi del gusto e ha così solennemente consacrato il lirismo logico racchiuso nel pensiero di Le Corbusier, tendente a sottolineare come l’architettura fosse un gioco sapiente e meraviglioso di volumi composti sotto la luce.

Niemeyer, che nel 1930 era entrato nella National School of Fine Arts di Rio de Janeiro, ora Facultade Nacional de Arquitectura, e, ancora studente, aveva iniziato a fare esperienza nello studio di Lùcio Costa – con il quale, insieme ad altri, aveva elaborato nel 1936, sotto la guida di Le Corbusier, il progetto per la sede del Ministero dell’Educazione e della Sanità a Rio de Janeiro, di cui diresse la realizzazione –, esternando completamente, fin da allora, i motivi ispiratori della sua arte, contribuì nel 1939 alla costruzione del padiglione del Brasile all’esposizione mondiale di New York, caratterizzato da un leggero linguaggio di grazia e leggiadria ionica, in contrasto con la tendenza più rigida e grave, di ispirazione dorica, dello stile modernista. Una delle ragioni fondamentali del lavoro niemeyeriano consiste nel desiderio di far vibrare le corde dell’immaginazione, quasi a voler pervicacemente riconfermare il continuum spazio-temporale che lega il teatro dei trucchi alle fantasmagoriche esposizioni universali allestite nell’effimero contesto metropolitano del capitale, luogo privilegiato della sintesi di tradizioni artistiche influenzate da più raffinati bisogni di comunicazione, più sofisticate tecniche di rappresentazione e più esigenti soggetti di consumo, dallo sguardo acculturato dalla macchina da presa, che, smaliziato ormai da tempo, insinuandosi nei vuoti, nelle mancanze, nelle distanze e nelle ombre, gioca in modo alterno e proficuo con il manifesto e il non palese.

Gli imponenti edifici di Pampulha hanno offerto a Niemeyer l’opportunità di continuare a contrastare la fredda monotonia dell’architettura contemporanea, del funzionalismo erroneamente interpretato e del binomio, schematicamente dogmatico, di forma e funzione, grazie alla libertà plastica e alle possibilità costruttive offerte dal cemento armato. Nei complessi residenziali costruiti a Rio de Janeiro, Belo Horizonte, San Paolo e nelle originalissime opere che animano il parco Ibirapuera di quest’ultima città, l’architetto, inserendo nel lussureggiante habitat naturale strutture altamente innovative e sfruttando la vitalità di materiali come i variopinti azulejos, di tradizione portoghese, nonché la vivacità dei colori tipici della cultura brasiliana, ha interpretato il dialogo solo apparentemente impossibile tra antichità e modernità. Ha dimostrato inoltre di essere un teorico di innegabile vigore, esperto nell’alchimia della visione, proteso a disegnare ambienti percorsi da luci calde e a riferirsi alle leggi eterne dell’armonia, già nel 1947, quando fu chiamato a far parte della commissione internazionale incaricata di redigere il progetto del Palazzo delle Nazioni Unite a New York.

Utilizzando la tecnica in tutta la sua pienezza, Niemeyer, nominato nel 1956 direttore del dipartimento di architettura e urbanistica del Novacap, l’ente preposto alla realizzazione di Brasilia – capitale del Brasile dal 1960, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità –, disegnò una serie di strutture monumentali – il Congresso Nazionale, il Palazzo del Planalto, la Corte Suprema Federale, il Palazzo degli Esteri, la Cattedrale – che propongono elementi capaci di attribuire una rigorosa coerenza formale alla nuova metropoli, sorta come una magia, e costruita al centro desolato della nazione al fine di integrare zone distanti e popolare regioni inospitali: il progetto della città, sostenuto da una convinta visione di tipo socialista, fu concepito originariamente in modo da accogliere ministri e lavoratori negli stessi fabbricati di proprietà del governo, intenzione che, però, fu tristemente negata dai successivi regimi politici. L’avveniristica Brasilia segna il trionfo ineludibile in un territorio senza rilievi, dall’orizzonte apparentemente infinito, della creatività architettonica, che purtroppo non sembra aver rappresentato la concretizzazione compiuta dell’ispirazione primigenia della città. La concezione ideale della realtà urbana fu tradita da una contraddizione rivelatasi irrisolvibile, colta acutamente dallo stesso Niemeyer e dalla sua convinzione che l’architettura debba esprimere lo spirito delle forze tecniche e sociali predominanti in una data epoca, che risultano capaci, però, quando non sono in equilibrio, di causare un conflitto pregiudizievole per la riuscita del lavoro (cfr. Papadaki, 1950).

Gli avvenimenti che hanno segnato gli anni della formazione dell’architetto, la sua fertile produzione, i riconoscimenti da lui ricevuti, la Weltanschauung che ne sottende la creazione, le passioni che ne hanno animato l’esistenza e ispirato i progetti sono descritti dettagliatamente nell’autobiografia (cfr. Niemeyer, 2000), racconto fluido che scorre tra gli aneddoti di un’infanzia vissuta a Rio, i lunghi viaggi intrapresi, le amicizie strette con intellettuali, come Jean-Paul Sartre, e con politici, come Fidel Castro. Più che una documentazione cronologica della vita, il libro nasce come riflesso emotivo degli accadimenti sociali che hanno orientato il percorso del pensiero di Niemeyer, la sua non intaccata fede comunista, posizione pagata duramente con l’allontanamento, durante il regime dittatoriale brasiliano, dal tanto amato paese di origine, segnato da una feroce repressione militare.

L’attività internazionale niemeyeriana, oltre ad offrire all’architetto la possibilità di realizzare opere uniche al mondo, come avviene nel caso di una piazza di Le Havre, modificata e ricostruita di qualche metro sotto il livello del mare per esser protetta dall’aggressività efferata del vento gelido, mette altresì in luce la convinta affermazione della cultura appassionatamente civile che attraversa i suoi particolarissimi disegni. Il progetto della struttura dell’Università di Constantine ad Algeri, ad esempio, interpreta l’ideale educativo attraverso un complesso architettonico, definito da Niemeyer umano, logico e compatto, costituito solo da due edifici, mirante a raccogliere, e non a disperdere, persone e settori, e proteso a rispecchiare sul territorio un’armonica integrazione tra le varie discipline della conoscenza, contrastandone la sterile iperspecializzazione. L’architetto, nella realizzazione di questa costruzione, rivendica, con assoluta determinazione, il significato politico dell’uso degli spazi (cfr. Niemeyer, 2004): nel cuore del pensiero niemeyeriano, elaborato intorno a un equilibrio fondamentale tra apparenza e utilità e a una concezione assolutamente idiosincratica di ordine architettonico distaccato dalla dimensione evanescente delle mode, si radica la consapevolezza dell’importanza sociale dell’architettura, metafora della vita che concepisce gli spazi come strumenti per favorire le relazioni tra i soggetti. In questa prospettiva è concepito anche il già citato Centro Culturale Internazionale Oscar Niemeyer della cittadina spagnola di Avilés, inaugurato nel 2010, complesso visionario di quattro edifici, che dovrebbe promuovere una trasformazione profonda del tessuto urbano, grazie alla transizione dalle industrie inquinanti al settore terziario, stimolando un turismo culturale ancora inesistente e ribadendo pervicacemente che la caratteristica specifica dell’architettura consiste nel confinare le aree adatte alle manifestazioni della vita umana.

Un chiaro rimando ai motivi curvilinei che popolano l’universo, “l’universo curvo di Einstein”, come ama definirlo l’architetto, è rappresentato da un capolavoro italiano niemeyeriano, l’Auditorium di Ravello, candida, recente costruzione, equilibrata e al contempo azzardata, armonicamente incastonata nello splendore del panorama amalfitano, considerata la compiuta espressione della solare sensibilità caratterizzante i popoli latino-americani: Niemeyer, catturando l’essenza della cultura autoctona brasiliana e inserendola in paesaggi stranieri, contamina le sue opere grazie a un fertile métissage e dimostra, ancora una volta, l’indubitabile valore dell’individualità, della singolarità e della specificità dei modi di rappresentazione e delle forme di espressione sudamericane, negando qualsiasi forma di una loro presunta inferiorità culturale rispetto all’Occidente.

La libertà di ideazione alla ricerca dell’effetto, ottenuto in opere che sembrano stagliarsi al limite delle possibilità statiche e sfidare la forza di gravità, appare, in maniera ineludibile, nel disegno, presentato nel 1954, del Museo di arte moderna di Caracas, pensato come un edificio maestoso, dalla forma plastica, semplice ed essenziale. Niemeyer, con i suoi magnifici omaggi al sogno della modernità, ha inseguito e continua a inseguire la limpidezza della perfezione, e a riproporre la bellezza in edifici che diano l’impressione della leggerezza: affermando di rivolgere costantemente lo sguardo alla concisione e alla purezza, e tentando caparbiamente di animare una città ideale che coniughi sul piano urbanistico il concetto di edilizia e quello di architettura, adatta perfettamente le finalità pratiche dell’arte del costruire all’arte stessa del costruire e le tecniche edificatorie all’atto creativo dello spirito.

La colorata e flessuosa costruzione del Teatro Popolare di Niteroi, inaugurata nel 2007, inserita nell’ormai famoso itinerario architettonico Caminho Niemeyer, rappresenta la fantasmagoria delle molteplici declinazioni che compongono il ventaglio delle ispirazioni niemeyeriane: la fluidità delle curve, il valore simbolico dei cerchi, l’essenzialità dei tratti dinamici, la suggestione delle linee iperboliche costruiscono forme mai fini a se stesse, ma espressioni di una tecnica fortemente e inesauribilmente creativa, nella ferma convinzione che l’architettura sia costituzione di rapporti spaziali e di spazi non corrispondenti a mere estensioni fisiche fisse e immutabili, ma capaci di dispiegarsi nella successione delle sequenze, nelle progressive visioni degli edifici da tutte le loro prospettive e nell’alternarsi dei vani tracciato dai percorsi predisposti.

L’architettura niemeyeriana, fondata sul sottile equilibrio proporzionale, non sacrifica mai all’esattezza geometrica la libertà e l’asimmetria, le qualità scenografiche e prospettiche, la disciplina e l’estro. Particolarmente sorprendenti gli archi di dimensioni differenti della sede della casa editrice Mondadori a Segrate, completata nel 1975, che si susseguono separando le colonne l’una dall’altra, scandendo l’originalità assoluta di un ritmo spiazzante e irregolare, e interpretando perfettamente un verso di Rainer Maria Rilke, citato, in un’intervista (Bonito Oliva, 2007), dallo stesso Niemeyer: “Come gli alberi sono magnifici, però ancor più magnifico è lo spazio sublime e commovente che esiste tra loro”.

Gonfiando a dismisura lo spazio fino a raggiungere l’illusione dell’infinito e svolgendo un esercizio della narrazione che si afferma nella potenza della magnificenza, l’architetto coniuga invenzione e punto di vista, realtà edilizia e riflessione storica, derivando i suoi principi compositivi da regole naturali eternamente valide. La sinuosità, suggerita dal transitare delle nuvole, dal sollevarsi delle onde del mare, dal disegno del corso dei fiumi, dal turgore del corpo femminile, dai motivi delle chiese barocche, esprime il senso di un’architettura che, secondo Niemeyer, deve suscitare meraviglia, sedurre lo sguardo estetico, produrre stupore grazie alla fascinazione del virtuosismo, fornendo soluzioni stilistiche, espedienti ottici, ritmi narrativi, risolvendo la conflittualità tra le rotondità e gli elementi di verticalità assoluta, ridelineando significati e mirando all’esplosione emotiva, all’hic et nunc della suggestione, al presente dell’effetto, connesso intimamente ai turbamenti atemporali della fantasia. Catturando le traiettorie dello sguardo dell’osservatore, che, rapito, accarezza le superfici delle opere, le spumeggianti linee niemeyeriane, attraverso un processo di erosione dei confini della figuratività tradizionale, inducono ad assecondare i percorsi di una prospettiva visiva che, conducendo verso un progressivo fenomeno di spettacolarizzazione, non solo configura gli elementi architettonici, ma si spinge oltre e suggerisce i modi in cui l’arte può e deve essere sognata.


LETTURE

× Bonito Oliva Achille, Oscar Niemeyer: “I miei cento anni”, in la Repubblica, 15-12-2007.

× Niemeyer Oscar, The Curves of Time, Londra, Phaidon, 2000.

× Niemeyer Oscar, Minha Architectura 1937-2004, Rio de Janeiro, Revan, 2004.

× Papadaki Stamo, The Work of Oscar Niemeyer, New York, Reinhold, 1950.