le relazioni pericolose_locandina
LE RELAZIONI PERICOLOSE (Dangerous Liaisons)
è un film del 1988 diretto da Stephen Frears

TRAMA
Nella Francia di fine Settecento la perfida libertina marchesa di Menteuil per vendicarsi di un suo vecchio amante che sta per sposare un’illibata giovinetta, usa il fascino del visconte di Valmont per far giungere un po’ meno pura la ragazza alle nozze. Ma giocare con gli affetti come fossero scacchi non paga. Frears esordisce a Hollywood adattando la versione teatrale che Christopher Hampton (autore anche della sceneggiatura) aveva tratto dal capolavoro omonimo di Pierre Choderlos de Laclos (adattato nel 1959 da Roger Vadim – Relazioni pericolose – e nel 1989 da Milos Forman – Valmont). Tanto moderno nell’interpretazione quanto accurato nella scenografia, il film aggiorna il conflitto tra amore e passione alla base del romanzo in una crudele battaglia tra i sessi dove dominano il denaro e il potere.
 
da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2011,
di Paolo Mereghetti, Dalai Editore, Milano, 2010.

LE RELAZIONI
PERICOLOSE

regia di Stephen Frears

di Marco Meloni


La Marchesa de Merteuil sa bene quanto il pettegolezzo sia uno strumento potente, fautore di grandi fortune e di rovinose cadute sociali. Lo ha adoperato per anni, a suo piacimento, per distruggere i suoi nemici o, semplicemente contro chi non ha ritenuto degno di essere al suo cospetto. Costretta dall’epoca e dal suo rango ad acquisire la capacità di orientarsi in questo universo di maschere e bisbigli, ha finito per divertirsi, per baloccarsi di questo suo modus vivendi e delle implicazioni che esso comporta. Eppure, pur sapendo tutto questo, pur essendo consapevole, più di ogni altro, del potere della parola, della forza di un sussurro che passa di bocca in bocca animando gli animi e i cuori, entra in teatro convinta che nulla le possa nuocere, che le redini del gioco siano ancora saldamente nelle sue mani. Un dissenso, prima lieve e poi assordante, la investe, travolge il suo mondo, la costringe alla resa. Il gregge, pur rimanendo tale, è ora in aperta ribellione verso il pastore, verso colei che ne ha orientato, per anni, pensieri, commenti, atteggiamenti e comportamenti.

 

È davvero la fine di un mondo? Di un sistema? Di una persona? Nulla di tutto ciò.

 

Ritroviamo la Marchesa de Merteuil davanti ad uno specchio, intenta a struccarsi e a capire cosa sia successo, ora che si è creata una insanabile frattura con il passato. Non è certamente la fine di un sistema di regole, informazioni riservate, commenti e rumors che reggerà ancora a lungo. Presto verranno nuovi personaggi, nuovi cattivi pronti a prendere il posto della donna, a mutare il gioco senza mutarlo affatto. In un perpetuarsi di rigidi schemi e posizioni ormai definite e fisse al di là degli interpreti e delle persone. Non è nemmeno la fine di un mondo; anzi, semmai, la dimostrazione che esso funziona e che espelle coloro che esagerano nell’esercizio dei propri poteri. Il capriccio, così amato dalla nobiltà settecentesca, diviene ossessione, vendetta, accanimento, e deve quindi essere punito. Ciò che si colpisce è il singolo, la degenerazione di un sentimento negativo che è andato oltre il controllo sociale del gruppo. Nelle stanze di Versailles si può essere crudeli e velenosi, ma non mortali; si può umiliare pubblicamente una giovane donna, ottenere il suo ostracismo dai salotti più importanti, ma non la si può far spegnere di una morte atroce.

 

Infine, non è nemmeno la fine di una persona. La Marchesa de Merteuil ha perso tutto il suo potere, il suo fascino, la sua intoccabilità. Le sue pedine si sono ribellate, il timore e la deferenza a lei dovuti sono per sempre ceduti a favore di altri. Eppure è proprio quando perde tutto ciò a cui è stata abituata, quando quell’ambiente che le è stato imposto e che lei ha imparato a dominare la rifiuta, ecco che allora esce finalmente la vera donna, intima, sentimentale, essenziale. Colei che, con le sue lacrime, distrugge il cerone, la maschera che da anni porta addosso come un pesante fardello che la distingue e contraddistingue. Non è più un personaggio pirandelliano in cerca di autore, ma, per assurdo ora è lei l’autrice, lei l’unica ad avere in mano il suo destino.

 

Anche Deborah, in C’era una volta in America, si strucca davanti ad uno specchio dopo uno spettacolo di cabaret. Il suo gesto è tuttavia molto diverso: la maschera in questo caso cela la vera anima di una donna ferita che sta cercando vendetta verso il suo passato, che si ritrova fragile e spaventata senza il suo trucco che la rende tranquilla e sicura. Tanto Deborah ha bisogno del suo travestimento per accettarsi ed essere vista in modo più positivo, tanto, al contrario, la Marchesa de Merteuil è legata ad un procedimento inverso. La maschera che le è stata imposta, uno strato di cerone dopo l’altro, l’ha resa una donna infida e cattiva, che ha abusato del suo ruolo perché convinta di avere un’unica via verso la felicità, o il successo. Ora però è caduta e non potrà più essere né capricciosa né frivola. Mentre il trucco lascia spazio al roseo colore delle sue guance, inizia la sua vera vita, l’incognita di un destino tutto da costruire.

 

In questa scena vi è allo stesso tempo una punizione “moralizzante” per colei che ha peccato e agito in modo spregiudicato per suo tornaconto e una spinta generatrice di nuovi sensi e simbologie. Il cerone, la maschera, cadendo scoprono una donna, la sua emotività, un mondo fragile sul quale si è innestata una sovrastruttura di regole e costruzioni sociali.

 

Così come Cate Blanchett in Elizabeth decide di usare il cerone bianco per ricoprire il ruolo di vergine-regina, per elevarsi al ruolo di androgina figura del potere, tanto il personaggio interpretato da Glenn Close, una volta struccato, non può che rinunciare al contegno delle proprie emozioni, a quel distacco che aveva assunto a stile di vita. Una lacrima, cadendo, dissolve la superficie delle cose lasciando una donna, e non un personaggio, davanti allo specchio. Più disorientata, spaventata, ma anche più vera, spontanea. Umana.

 

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