VISIONI / GINO DE DOMINICIS. L'IMMORTALE


a cura di Achille Bonito Oliva / Roma, MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo


Sulla via impossibile
dell'immortalità

di Antonello Tolve


La questione posta nel 1970 da Gino De Dominicis – artista-filosofo a detta di Filiberto Menna (Menna, 1973) – con un'opera (composta da due vasi di opalina identici color blu cobalto) che, già nel titolo, Ubiquità, rimanda alle questioni più scottanti del panorama attuale, apre un ragionamento che buca non solo le problematiche messe in campo da Walter Benjamin sull'esposizione, sulla ricezione, sulla creazione dell'opera e sulla sua riproducibilità, ma pone anche alcuni baricentri riflessivi sull'organizzazione stessa del procedimento artistico, dell'opera in quanto oggetto onnipresente, corpo che oltrepassa il tempo e lo spazio per raggiungere, attraverso l'idea dell'ubiquità e del proprio doppio – L'artista e il suo doppio (1982) ne è esempio splendente –, il chiodo fisso dell'immortalità [Palla di gomma (caduta da 2 metri) nell'attimo immediatamente precedente il rimbalzo (1968-69), Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell'acqua (1969), Tentativo di volo (1969), Io sono sicuro che voi siete (e sempre sarete) all'interno o all'esterno di questo triangolo (1970), Seconda soluzione di immortalità (l'universo è immobile) (1972), la potente Calamita cosmica (1989), Opera viva che deforma il tempo (1990), i vari Senza titolo e i vari Con titolo degli anni Ottanta e Novanta]. Bastano soltanto queste poche opere per comprendere o, quantomeno, percepire i movimenti che strutturano un linguaggio teso a sfiancare i territori della mortalità per entrare nei luoghi della sovrastoricità e dell'immortalità].

 

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Statua (Figura distesa), 1979 / Senza titolo, 1992 Fondazione MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo - Roma Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Photocredit Roberto Galasso

 

Pubblicata per la prima volta in un catalogo della galleria L'Attico di Fabio Sargentini ed esposta, poi, negli spazi della Galleria Toselli di Milano (1970) o, ancora, in occasione di Contemporanea (1973) a Villa Borghese dove “è montata su una mensola”, e poi, nelle due mostre Particolare (14 gennaio 1977 e 14 gennaio 1978) organizzate – a mo' di déjà vu – da Pio Monti a Roma “dove un vasetto è collocato sulla pietra e l'altro a terra all'interno della piramide invisibile”, Ubiquità presenta uno scenario che va al di là dell'installazione dell'opera e della sua visione sferica (Celant, 2010), per affiancare all'idea di onnipresenza quella di immanenza e mostrare così, in un colpo d'occhio, i due corpi dell'opera con lo scopo di riflettere, via via, sull'opera in quanto forma che “si dissolve in un luogo per riapparire in un altro” e farsi “prolungamento dell'immaginazione nella vita materiale” (Ferracci, 2010). Se con Ubiquità De Dominicis evidenzia da una parte i delicati quesiti sulla ormai scontata riproducibilità dell'opera d'arte, dall'altra propone uno scenario complesso legato all'immortalità del corpo, all'obliquità dello sguardo, al doppio e, naturalmente, all'ubiquità che significa, appunto, presenza multipla, ripetizione altra, ritorno all'opera d'arte in quanto unicità, straordinarietà.

 

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Palla di Gomma (caduta da due metri) nell'attimo immediatamente precedente il rimbalzo, 1968-70 Collezione privata, Bari – Italia. Photocredit Beppe Gernone / Senza Titolo “Silhouette” 1988 - 90 - Collezione privata, Italy

 

Interprete di un malessere che condiziona il contemporaneo, l'artista si pone, ora, come cavaliere di un sapere che ritorna all'esclusività della pratica artistica (Bonito Oliva, 2003), alla scelta, alla singolarità dell'esperienza, al complesso e complessivo perfezionamento delle capacità umane nel relazionarsi con la realtà. Mostrando analiticamente il ruolo del soggetto nell'esperienza e proponendo una revisione in itinere della molteplicità, De Dominicis ritorna, in questo modo, a considerare la scelta dell'artista, la rimessa in forma (la continua rimessa in allestimento) di un irripetibile intreccio che si verifica tra la selezione dell'oggetto strappato alla realtà e la ricerca di un prodotto seriale sottratto alla serie e riproposto secondo una strategia riflessiva tesa ad elogiare la singolare avventura dell'artista di fronte alle cose della vita. “Tutta l'opera di De Dominicis”, ha avvisato Achille Bonito Oliva “è tenuta sotto il segno di un tempo che si chiude a circolo, fuori dagli aggiustamenti della cronaca culturale, e si apre a una sfida, quella dell'arte che non vuole più omologare o nobilitare il presente o il passato ma abitare un orizzonte sconfinato” (Bonito Oliva, 2010).

 

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Immortalità 1971 - Collezione privata, Italy / Calamita Cosmica, 1986 - Mole Vanvitelliana Ancona 2005, Fondazione Cassa di Risparmio, Foligno

 

Ubiquità è, così, metafora forzata di onnipresenza che, a sua volta, fa da viatico felice ad una riappropriazione auratica e, allo stesso tempo, ad un impossibile – e De Dominicis invita a pensare attraverso paradossi (Trimarco, 1999) e impossibilità – rituale che mira ad una forma assoluta e intemporale dell'arte per sottrarla al consumo e ai media (Trimarco, 2003). Auronia D.D. A 99 anni in 99 luoghi (1997) e la serie delle Opere ubique (anche queste del 1997) rappresentano una ulteriore verifica della latitudine artistica proposta da De Dominicis nel suo percorso riflessivo e creativo sull'ubiquità. Attraversando la figura della Gioconda di Leonardo Da Vinci – centrale in molta produzione di De Dominicis degli anni Ottanta e Novanta – e tutte le varie coniugazioni che l'opera ha fomentato negli anni (si pensi almeno al ready-made di Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., del 1919 o alla Gioconda di Basquiat del 1983 dove il volto di Monna Lisa prende il posto di George Washington nella banconota da un dollaro) l'artista crea dapprima un Senza titolo (1987), detto anche Giocondina o Gioconda Mazzoli – una riflessione che ricostruisce l'opera leonardesca secondo un gusto antinaturalistico in cui è solo il sorriso e lo sfumato a ricordare l'icona di base –, per elaborarlo, poi, via via, mediante una flessione creativa tesa ad elaborare una serie di opere che riprendono il dipinto di Leonardo per collocarlo sulla superficie a volte come una immagine impalpabile, altre volte come una figura lieve in metamorfosi che evidenzia l'ambiguità del proprio sorriso, altre, ancora, come un paesaggio.

 

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Come io vedo questo tavolo, questi piatti, questa bottiglia, queste posate, questo bicchiere e questa pianta, 1970 - Lorenzo e Marilena Bonomo Collection, Italy / Opera non titolata (Autoritratto), 1990 - Collezione privata

 

Infatti, se il Senza titolo del 1987 – di cui la prima versione è presentata dall'artista nel 1989 alla The Murray and Isabella Rayburn Foundation di New York – è stato ripetutamente rielaborato negli anni fino al 1992, il tema enigmatico del sorriso leonardesco (presente già in un Con titolo del 1984) che diventa analogo in De Dominicis ritorna ed è presente, come variante di un discorso estremamente sfuggente, in una galleria di ritratti – Senza titolo (1991), Senza titolo (Vecchio) del 1992, Senza titolo (1997), Senza titolo (Vecchia) e Senza titolo (Autoritratto) del 1989 – che propone, da opera ad opera, sorrisi – fissità e ripetizioni differenti – sempre più tenui e ambigui. Tenendo intatto il tema, De Dominicis realizza, poi, nel 1996, Delfina D.D., un'opera che, secondo le iniziali intenzioni dell'artista, “sarebbe dovuta rimanere nascosta per cento anni all'interno di una bacheca nera, dietro un pannello chiuso da una calamita” (Franco, 2010). In questa occasione l'immagine femminile “dal naso a punta e dagli occhi chiusi, che egli colloca orizzontalmente su una superficie rettangolare come fosse un paesaggio” (Franco, 2010), torna ad essere, assieme ad Auronia D.D. A 99 anni in 99 luoghi (1997) e ad Auronia D.D. uscita dal parallelepipedo di vetro, volteggia invisibile nella bacheca, riflessione sul concetto di ubiquità con una nuova risoluzione formale avvolgente, suadente e ineffabile.

 

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Senza titolo, 1985 - Collezione Jacorossi, Roma / Ritratto di A. Canaletti - Collezione privata

 

Ai concetti di onnipresenza e di immortalità, De Dominicis associa e intreccia, così, ancora una volta, il sentiero dell'ubiquità, spinto, adesso, lungo una riflessione che non solo richiama alla memoria i brani sottili della riproducibilità tecnica, ma anche i territori dell'agiografia dei santi (della mistica cristiana in generale) e, per maggiore affinità elettiva, alcuni stilemi della filosofia orientale che riconoscono all'uomo – grazie alla pratica trascendentale – la capacità di essere fisicamente presente (onnipresente, appunto), nel contempo, in luoghi differenti e in differenti occasioni. “L'interesse di De Dominicis per questo tema”, avverte Francesca Franco, “risiede nel fatto che l'ubiquità comporta un'assoluta distorsione della concezione occidentale, prospettica e razionale, dello spazio, poiché si coniuga non al tempo monodromo, che muove in una sola direzione e non torna mai indietro, ma a quello pluridromo della ripetizione e dell'anticipazione di tradizione orientale” (ibidem). Il fenomeno bilocativo, che richiama in causa nuovamente quell'irrinunciabile ragionamento sull'esperienza di dualità e di autofanìa (per dirla con Celia Green), implica una smagliatura temporale che si presenta come carrellata continua all'interno di una sovrastoricità che dilapida la morte [“l'età di un artista è ininfluente, quello che conta sono le sue opere” (De Dominicis, Trombadori, 1996) che varcano la storia, anzi le storie] e pone su uno stesso piano passato, presente, futuro.

 

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Senza titolo (sfinge), 1997 – 1998 Collezione Privata Carpi - Courtesy Emilio Mazzoli / Il tempo, lo sbaglio, lo spazio, 1969 - Collezione Lia Rumma

 

Da questa riflessione nasce, sempre nel 1997, la serie delle Opere ubique – paesaggi leonardeschi con in alto, a destra, una immaginifica città sumera – attraverso le quali l'artista costruisce uno scenario che varca la soglia della mortalità del corpo fino a creare una “sospensione della dimensione convenzionale del tempo” (Bonito Oliva, 2008), a stravolgere, “sulla via impossibile dell'immortalità” (Trimarco, 2008), la durata e cancellare dal vocabolario la parola fine.

Questa riflessione è stata scritta in occasione della mostra Gino De Dominicis. L'Immortale, a cura di Achille Bonito Oliva, tenuta al MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, dal 30 maggio al 7 novembre 2010. L'autore desidera ringraziare l'ufficio stampa del MAXXI nella persona di Annalisa Inzana, per la preziosa collaborazione.

 


LETTURE

× Bonito Oliva A. (a cura di), Gino De Dominicis. L'Immortale, cat., MAXXI / Mondadori Electa, Milano 2010, pag.18.

× Bonito Oliva A., Apologia di Lazlo Toth, in Autodafé Autodasé, in Data, estate 1972, a. II, n. 5-6, p. 17. Ora anche in G. Guercio, a cura di, De Dominicis. Raccolta di scritti sull'opera e l'artista, Allemandi & C., Torino 2003, pp. 121-124.

× Bonito Oliva A., Enciclopedia della parola. Dialoghi d'Artista. 1968-2008, Skira, Milano 2008, p. 269.

× Celant G., Un'arte sferica, saggio introduttivo in B. Ferriani M. Pugliese, Monumenti effimeri. Storia e conservazione delle installazioni, Mondadori Electa, Milano 2010, pp. 14-21.

× De Dominicis G., Trombadori D., Colloquio sulla contemporaneità (promemoria di fine secolo), in XII Quadriennale d'Arte di Roma. Italia 1950-1990. Ultime generazioni, cat. della mostra tenuta a Roma, Palazzo delle Esposizioni (settembre-novembre 1996), De Luca, Roma 1996, p. 30.

× Ferracci G., scheda critica all'opera, in Gino De Dominicis. L'Immortale, cat., a cura di A. Bonito Oliva, MAXXI / Mondadori Electa, Milano 2010, p. 130.

× Franco F., scheda critica all'opera, in Gino De Dominicis. L'Immortale, cat., a cura di A. Bonito Oliva, MAXXI / Mondadori Electa, Milano 2010, p. 318.

× Menna F., De Dominicis o della immortalità, in Il Mattino, 10 aprile 1973, p. 27.

× Trimarco A., Gino De Dominicis, Il Mattino, 7 maggio 1988, ora anche in Id., Napoli ad Arte. 1985/2000, Editoriale Modo, Milano 1999, pp. 26-27.

× Trimarco A., Elogio della purezza e dell'immortalità in opere senza tempo, in Il Mattino, 19 dicembre 1989, ora anche in G. Guercio, a cura di, De Dominicis. Raccolta di scritti sull'opera e l'artista, Allemandi & C., Torino 2003., pp. 142-144.