image
bussole
LETTURE / TOLSTOJ È MORTO
di Vladimir Pozner / Adelphi, Milano, 2010 / 274 pagine, € 18
Lettori, personaggi e scrittori
in cerca d'autore

di Livio Santoro
Secondo Michel Foucault a partire dal Diciassettesimo secolo si è verificato un processo doppio e speculare: se da una parte, infatti, nella produzione di discorsi scientifici l’autore, come sistema di regolazione, ha cessato di esprimere la sua peculiare e irriducibile funzione, dall’altra parte, ossia sul versante della produzione del discorso letterario, è accaduto l’inverso e l’autore ha preso insistentemente a far mostra di sé come elemento indipendente e sostanziale nella regolazione discorsiva (Foucault, 2001, p. 20). A partire al Diciassettesimo secolo, continua Foucault, “si chiede che l’autore renda conto dell’unità del testo [letterario] che va sotto il suo nome […]. L’autore è ciò che dà all’inquietante linguaggio della finzione le unità, i nodi di coerenza, l’inserzione nel reale” (ibidem). Dunque quell’anonimato uniforme costitutivo del discorso già teorizzato altrove (Foucault, 2005, p. 83), si separa in due direzioni speculari allontanandosi dalla produzione scientifica per avvicinarsi, invece, a quella letteraria.

L’importanza di tale doppio tragitto è fondamentale in quanto nel solco di questo processo emergono due concrete dinamiche simmetricamente indirizzate: la fissazione di altri strumenti di regolazione discorsiva per quel che riguarda la produzione della scienza (la disciplina, per esempio, che forzatamente potremmo far convergere anche nella strutturazione interna delle regole di costituzione della comunità scientifica); e, cosa che qui più ci interessa, l’emersione di un soggetto parzialmente nuovo nell’agone della produzione letteraria: l’autore.

Va da sé che il discorso letterario e quello scientifico, dopo tutto ciò che s’è detto, non debbano essere tenuti separati come se appartenessero a due diversi e incomunicabili compartimenti stagni. L’uno, naturalmente, influenza l’altro al punto che spesso è difficile sostenere una separazione che talora appare decisamente fittizia. Lo stesso Foucault (2004), attraverso l’esempio dell’influenza della letteratura sulla disciplina scientifica nella separazione delle due unità antropologiche di follia e di malattia mentale (per dirne solo uno), ha dimostrato quanto possano essere interdipendenti il discorso letterario e quello scientifico. Tra l’altro, basterebbe anche solo fare affidamento a Jorge Luis Borges che, rovesciando Foucault ma restando sullo stesso suo versante, sostiene, per bocca del personaggio Eudoro Acevedo, un’affermazione come questa: “Ricordo di aver letto senza fastidio due racconti fantastici […] I viaggi di Gulliver, che molti considerano veridici, e la Summa Theologica” (J.L. Borges, 2004, p. 76).

In ogni caso, dal Milleseicento in poi, ma soprattutto negli ultimi due secoli (con l’emersione della struttura narrativa del romanzo moderno) risulta necessario porsi una domanda fondamentale: chi ha prodotto questo testo letterario che sto leggendo e interrogando? Tale domanda, è chiaro, non serve soltanto per rintracciare le linee biografiche di chi ha scritto un particolare e specifico testo all’interno del testo stesso. Al contrario. Questa domanda intende indagare circa la natura e la funzione di un personaggio tra gli altri all’interno di un’opera letteraria, l’autore appunto.

Ecco che l’autore non è più un soggetto esterno o assente, estraneo agli accadimenti della narrazione. È egli stesso un personaggio dell’opera, spesso nascosto più degli altri ma non per questo meno degno di inchinarsi dall’assito al cospetto del pubblico che applaude. La difficoltà dell’analisi dell’opera, allora, riguarda l’inaugurazione di un atto di ricerca, di scavo e di scandaglio, nel quale rintracciare tutti quei differenti tasselli (che possono essere riflessioni, commenti, avverbi e interruzioni) che compongono il mosaico su cui è ritratto il fuggevole profilo dell’autore.

Molti libri permettono un’immediata distinzione dell’autore e degli altri personaggi. Molti autori, a loro volta, si pongono corruschi nel gioco della propria narrazione: sono lì, sono evidenti, dai contorni per nulla opachi. Altri autori, invece, tendono a nascondersi, a camuffarsi sotto le vesti bizzarre di un commento occultato. E poi ci sono alcuni libri, per venire definitivamente a noi, che sembra vogliano problematicamente sbarazzarsi dell’ingombrante presenza dell’autore mettendo in campo un coro di voci diverse ma non per questo dissonanti.

Tolstoj è morto, romanzo di Vladimir Pozner, edito per la prima volta in Francia nel 1935, e ora tradotto in Italia per Adelphi da Giuseppe Girimonti Greco, è uno di questi libri. Qui si parla, naturalmente, della morte del Padre del popolo russo con l’accento messo sulle reazioni e sugli sconvolgimenti che un evento del genere portò nel piccolo snodo ferroviario di Astapovo, dove lo scrittore fu fatto scendere dal treno che lo trasportava nella sua ultima disperata fuga dalle contraddizioni che connotavano tanto la sua vita quanto la sua opera. Durante la fuga il vecchio Tolstoj ebbe un malore, fu il prologo di una lunga agonia, a sua volta prologo della definitiva morte. Tutti questi passaggi, dal canto loro, furono invece l’antefatto di una storia nuova, quella della Russia contemporanea e con essa, quella del mondo contemporaneo.

In questo suo romanzo Pozner ha raccolto, fondendole in una narrazione unica e coerente, le reali testimonianze dell’epoca dell’avvenimento: le lettere dei diversi protagonisti, i dispacci delle autorità, i telegrammi dei giornalisti corrispondenti, le testimonianze dei prelati coinvolti nell’impossibile compito di far rientrare un uomo che per molti era già santo nei binari dell’ortodossia ecclesiastica. Tra una testimonianza e l’altra, Pozner ha riportato stralci del carteggio postumo di una vita coniugale ricostruita attraverso due visioni singolari, quella di Tolstoj da una parte e quella di sua moglie dall’altra. Così, alla cronaca della morte dello scrittore, Pozner ha affiancato e intercalato la cronaca del suo matrimonio, con tutti i suoi rancori, le sue incomprensioni, le sue normali e terribili contraddizioni.

Chi voglia leggere questo libro, dunque, tenendo conto di quanto s’è detto fino ad ora, può provare a farlo tentando di prendere in considerazione due diverse possibili combinazioni (non le uniche, certo): Pozner autore e Tolstoj personaggio; Tolstoj autore e Pozner personaggio. Sullo sfondo vi è il vociare indistinto di numerosi altri personaggi, come in una scena d’insieme del cinema muto d’inizio Novecento. Il gioco proposto, naturalmente, parla la lingua di Borges. Il libro, proprio per questo, consapevole della sua natura plurale, si è imposto lo stesso inizio delle tragedie che presentano in prima battuta i personaggi che il lettore incontrerà sfogliandone le pagine.

Ripetiamo: secondo le due ipotesi Pozner avrebbe scritto un romanzo con Tolstoj come protagonista, oppure potrebbe essere accaduto l’inverso, Tolstoj avrebbe scritto una trama di cui Pozner è solo uno dei personaggi. La prima ipotesi porta in breve tempo alle sue conseguenze: propone una modalità di scrittura nuova, inaugura il pastiche, frammenta la narrazione nella classica modalità che sarà canonica in tutto il Novecento, promuove la citazione diretta delle fonti a concreta e sostenibile modalità letteraria. Insomma, in questo caso si resterebbe invariabilmente all’interno di un contesto, la prima metà del Novecento, in cui il romanzo Tolstoj è morto è effettivamente o definitivamente stato scritto, e la lettura dello stesso romanzo avverrebbe tranquillamente attraverso la considerazione degli stilemi tradizionali che hanno fatto un genere. Sarebbe, in un modo o nell’altro, soltanto una lettura canonica di un romanzo (d’accordo, importante e innovativo) del Novecento.

La seconda ipotesi, invece, per quanto più intricata è sicuramente più affascinante. Poco prima di morire Tolstoj, l’egocentrico Tolstoj, il grafomane Tolstoj, il filantropo Tolstoj, avrebbe pensato al futuro dopo la sua morte, un futuro in cui la sua stessa funzione di autore, una volta fissati caratteri immortali e connotativi di un’epoca come Il’ič (Tolstoj, 1976) o Nechljudov (Tolstoj, 1988), per dirne solo due, sarebbe svanita nella fissità immortale di un nome impresso a stampa sulla prima pagina di un testo. Naturalmente, una volta morto, Tolstoj non avrebbe più avuto la possibilità di scrivere, di esercitare la sua funzione autoriale e di proporre al mondo intero (non solo alla sua Russia) la propria estesa visione delle cose. Ecco, in questo modo Tolstoj avrebbe cominciato a pensare alla sua stessa vita come ad un romanzo, ed a se stesso come al protagonista di questo romanzo, al di là, e contemporaneamente, del suo esserne l’autore. Una morte come quella del suo personaggio già citato, Ivan Il’ič, non avrebbe esercitato la stessa potenza di cui avrebbe avuto bisogno la sua essenza di Tolstoj in quanto protagonista/autore. Tolstoj, per sé, avrebbe probabilmente desiderato di più. Avrebbe desiderato coronare la sua vita di contraddizioni, di amori universali – come quello per il popolo – e di odi particolari – come quello per la moglie – offrendosi nella natura implume della sua vita per come questa era effettivamente stata, per come essa era effettivamente stata preparata dal suo autore, ovvero dal suo protagonista: dallo stesso Tolstoj. Probabilmente Tolstoj sapeva che, fuggendo in precarie condizioni di salute, durante un inclemente autunno russo, avrebbe rischiato un malore. Probabilmente sapeva che al suo personaggio si sarebbe adattata una morte lontano da casa, in mezzo alla gente, nell’abitazione di uno sconosciuto lavoratore (per interpretare questo ruolo la sorte scelse il capostazione Ozolin). Probabilmente Tolstoj sapeva, o quantomeno immaginava, che sarebbe successo quello che poi in effetti è successo. E probabilmente immaginava anche che un giorno non molto lontano dalla sua dipartita, uno scrittore volenteroso e innovativo avrebbe ricercato le innumerevoli tracce di un dramma preparato, ideato e puntellato dal suo stesso futuro protagonista. E in effetti Pozner rintracciò tutti i piccoli elementi del dramma, e ne fece una narrazione coerente, probabilmente non essendone l’autore, ma solo uno dei tanti personaggi.

A noi lettori (per quanto noi stessi, a nostra volta, non siamo altro che personaggi di quello che leggiamo) restano queste ipotesi, e probabilmente molte altre ancora, come quella per cui Pozner e Tolstoj potrebbero essere personaggi di un altro autore imperscrutabile che dall’inizio dei tempi sta scrivendo un unico grande libro. E in fin dei conti a noi restano le pagine di tutti i libri, e soprattutto la possibilità infinita e gratificante di continuare senza sosta a formulare ipotesi.


Ascolti
× Borges J.L., 1975, El libro de arena, trad. it. Il libro di sabbia, 2004.
× Foucault M., 1971, L’ordre du discours, trad. it. L’ordine del discorso, in ID Il discorso la storia la verità, Einaudi, Torino, 2001.
× Foucault M., 1994, La folie, l’absence de l’œuvre, trad. it. La follia, l’opera assente, in ID Scritti letterari, Feltrinelli, Milano, 2004.
× Foucault M., 1969, L’archéologie du savoir, trad. it. L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano, 2005.
× Tolstoj L.N., 1886, Smert’ Ivana Il’iča, trad. it. La morte di Ivan Il’ič, Rizzoli, Milano, 1976.
× Tolstoj L.N., 1899, Voskresenie, trad. it. Resurrezione, Garzanti, Milano, 1988.