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LETTURE / TUTTI GLI UOMINI SONO BUGIARDI
di Alberto Manguel / Feltrinelli, Milano, 2010 / pagine 171 / € 14,00
La verità è finzione: Manguel
e il grande dubbio della modernità

di Gianfranco Pecchinenda
La modernità occidentale – notava Norbert Elias – è come una mela al cui interno sia maturato un verme: quello del continuo dubbio sulla reale consistenza e sulla certezza della verità di tutto ciò che è indipendente da colui che conosce.

Alberto Manguel è uno di quegli autori la cui scrittura sembra voler tendere continuamente a ribadire, attraverso le sue seducenti intuizioni romanzesche, le insidie correlate alla diffusione di una tale idea, evitando però di far ricadere le sue riflessioni in quella che può essere considerata una delle sue derive meno nobili: il relativismo.

Pur essendo sostanzialmente un grande saggista, di tanto in tanto Manguel riesce a proporre al suo pubblico dei romanzi dai quali emerge una sensibilità grazie alla quale diviene quasi naturale collocarlo tra i più brillanti eredi di quella grande letteratura latinoamericana che ha in un certo senso rivelato in modo assolutamente originale tale intuizione, alle cui origini troviamo maestri come Roberto Arlt, Jorge Luis Borges o lo stesso Juan Carlos Onetti. Manguel è infatti uno di quegli scrittori che, proprio come questi suoi grandi predecessori, è in grado di farci comprendere quanto sia un errore credere che gli uomini inventino, sognino e fantastichino nello stesso modo in cui vivono mentre, casomai, è vero l’esatto contrario: inventiamo, fantastichiamo e sogniamo proprio ciò che vorremmo vivere senza riuscirci. L’invenzione letteraria serve, infatti, proprio per vivere come una finzione ciò che vorremmo fosse reale, grazie al seducente rispecchiamento prodotto da coloro che raccontano storie. Quest’altra vita – de mentiras, come sostiene Mario Vargas Llosa in un suo recente saggio – “che ci accompagna fin da quando cominciammo quel lungo pellegrinaggio che è la storia umana, non ci riflette in quanto specchio fedele, ma come uno specchio magico che, penetrando in tutto ciò che appare, ci mostra la nostra vita più recondita, quella dei nostri istinti, dei nostri appetiti e desideri, dei nostri timori e fobie. La vita dei nostri fantasmi, quelli che ci abitano”. (Vargas Llosa, 2008, p. 29).

Nel suo Todos los hombres son mentirosos, appena pubblicato in Italia, il tema del rapporto tra fiction e realtà, tra invenzione e verità, tra immaginazione e memoria, viene magistralmente riproposto da Manguel attraverso la narrazione di un’inchiesta giornalistica avente come oggetto la soluzione del caso della misteriosa scomparsa del geniale scrittore argentino Alejandro Bevilacqua, verificatasi trent’anni prima.

Cosa diventa la verità dopo tutto questo tempo? Come si trasformano la verità e i criteri stessi attraverso i quali è possibile verificarla legittimamente? Cosa può rendere più o meno credibile un evento cui è possibile accedere solo attraverso alcune testimonianze, quando sappiamo – come peraltro già ammonivano i Salmi – che todos los hombres son mentirosos? Che “tutti gli uomini sono bugiardi”?

Terradillos, un giornalista francese, è impegnato in un’inchiesta il cui scopo è appunto quello di riuscire a chiarire alcuni aspetti della vicenda che, verso la metà degli anni Settanta, aveva condotto Alejandro Bevilacqua alla morte a seguito di una caduta dal balcone della sua casa di Madrid. Un suicidio. O forse no! L’inchiesta vede coinvolti innanzitutto un personaggio che risponde al nome dello stesso Alberto Manguel; poi una sedicente amante spagnola della vittima, in seguito uno scrittore argentino che assicura di essere stato l’unico confidente di Bevilacqua e che giura di aver condiviso con lui, nella stessa cella, i terribili anni di prigionia ai tempi della dittatura militare argentina; e infine addirittura il fantasma di un delatore già morto che, dall’aldilà, continua a ritenere di poter contribuire alla ricostruzione della verità, rivelando fatti ed avvenimenti fino ad allora trascurati o del tutto dimenticati.

In un certo senso, fatti i dovuti e opportuni distinguo, ci troviamo di fronte ad una sorta di versione letteraria di Rashomon (1950), il capolavoro cinematografico realizzato da Akira Kurosawa in cui due personaggi, rifugiati sotto la decrepita porta di Rashô, nei pressi di quella che una volta era stata la capitale dell’impero nipponico, narrano e rivivono attraverso dei geniali flashback le testimonianze di un processo, al quale avevano assistito, per l’omicidio di un samurai. Le deposizioni dei due testimoni e indagati (la donna della vittima e un bandito che li aveva sorpresi da soli in un bosco), pur essendo contrastanti (ognuno accusa per motivi diversi se stesso dell’omicidio), risultano essere entrambe verosimili, il che crea un forte imbarazzo tra i giudici, che non riescono a comprendere quale delle due ricostruzioni degli eventi corrisponda alla verità. Messi alle strette, essi decidono allora di convocare in tribunale una fattucchiera per interrogare, grazie al suo tramite, direttamente il fantasma della vittima stessa. Quest’ultimo però fornisce addirittura una terza versione dei fatti, accusando praticamente se stesso: deluso dal comportamento della sua donna, che aveva avuto una relazione con il bandito, egli confessa infatti di aver fatto ricorso ad un harakiri, uccidendosi con il coltello di lei.

Lasciando da parte il film, che avrà peraltro un suo brillante epilogo, certamente noto ai più, è interessante notare quanto il tema oggetto del romanzo di Manguel possa essere considerato un vero e proprio “mito” della modernità, quello che ripercorre il topos della più nichilista delle versioni moderne del relativismo, che può giungere fino alla negazione assoluta del valore epistemico della verità.

Un assassinio che non si sa bene se sia stato un assassinio, una morte accidentale o forse anche un suicidio. Il mistero irrisolto di un manoscritto, che diventerà poi un capolavoro, con troppi ipotetici autori e una donna per la quale nulla sembra essere più erotico della fama letteraria. Un uomo ricattato che si rivela un grande seduttore e uno vile e meschino che finisce per essere riscoperto quasi come un eroe. Tutti potrebbero mentire, anche se forse tutti questi testimoni stanno dicendo la verità, una loro verità alla quale credono fermamente, come se fosse l’unica possibile, quella naturale, assolutamente e ineludibilmente reale.

La verità relativa all’identità di una persona, poi, sembra essere ancora maggiormente certa, soprattutto per coloro i quali hanno la pretesa di averla conosciuta meglio, più a fondo. Infatti, come racconta la donna di Alejandro Bevilacqua al giornalista-investigatore Terradillos, può essere solo lei l’unica, la vera testimone, quella alla quale Alejandro le contò la vida entera: la verdadera, la ìntima, la escabrosa. E non ci sarebbe da dubitare che si tratta di un resoconto onesto e sincero. Il punto è che, diversamente da ciò che nel senso comune siamo in un certo qual modo obbligati a credere, se non altro per comodità, le persone, tutte le persone, albergano necessariamente dentro di sé ben più di un solo personaggio, coerente e omogeneo come potrebbe apparire in una sua rappresentazione pubblica. In effetti è forse proprio così, come magnificamente sembra volerci far notare Manguel, che accade con i frammenti dell’esistenza di Alejandro Bevilacqua, come con quelli di tutti gli uomini: ognuno dei testimoni della nostra esistenza potrà rappresentare – se gli verrà richiesto – quella che è la “sua” verità sulla nostra identità, solo a partire da quelli che sono dei brandelli, dei frantumi di biografia che, per quanto “veri”, risulteranno sempre parziali perché inevitabilmente mediati dal punto di vista dell’interlocutore che ne ricostruisce l’esistenza.

Con l’aggiunta, però, di un’intuizione che mostra quanto l’autore sia profondamente compenetrato nei meccanismi più intimi legati alla retorica della letteratura: più della vita stessa, ciò che sembra interessare maggiormente i protagonisti del romanzo di Manguel è la certezza dell’identità dello scrittore di un’opera letteraria. Più della verità stessa sull’omicidio (o sul suicidio) di Alejandro Bevilacqua, il motivo che evidentemente percorre tutto il romanzo sembra essere, infatti, proprio il venire a capo della vera identità del geniale autore di Elogio de la mentira, il “capolavoro” attribuito all’uomo così misteriosamente scomparso.

Nella vita nulla è reale, insomma. A meno che – sembrerebbe suggerire Manguel – tale realtà non venga narrata in un libro. Un libro di letteratura, ça va sans dire.


Letture
× Vargas Llosa M., El viaje a la ficcion, Alfaguara, 2008.
Visioni
× Kurosawa A., Giappone, 1950, Rashōmon, Dolmen Home Video, 2007.