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di Paolo Ferrario

spazioQui si parlerà della metamorfosi di una canzone. Ossia di come una canzone popolare, nata in una particolare situazione storica, diventa vent’anni dopo musica d’arte, cioè “musica” senza genere e senza aggettivi.
Per fare una simile trasformazione occorre attraversare un confine e occorre qualcuno che sappia fare dei sortilegi.
Nina Simone (1933-2003) sa fare sortilegi e sa attraversare i confini: I Put a Spell on You, dice il testo di un’altra sua canzone. Lei ha percorso tutti i generi della musica popolare del secondo Novecento: blues, pop, jazz, soul. Eppure lei è inclassificabile in ciascuno di essi. Ma come attraversa queste linee di confine?
Lei lo fa con l’interpretazione del testo. Nina canta il testo della canzone. Lo trascolora, lo ricolora, lo prende e lo rivolta per catturare ciascuno di noi attraverso la testa, il cuore e la pancia. 
È questa la chiave per accostarsi a  You’d Be So Nice To Come Home To.
Si tratta di un classico del compositore Cole Porter (1891-1964) che, come molte altre canzoni del tempo, è diventato uno standard, ossia un brano popolare che ha resistito alla prova del tempo e che è stato ri-letto, ri-cantato, ri-suonato migliaia di volte, soprattutto dai musicisti jazz. La canzone compare nel film d’amore in tempo di guerra Something to Shout About (1943) e si inscrive nell'epoca del trionfo degli standard, ossia delle canzoni di musica “leggera”, spesso provenienti da musical o da spettacoli di Broadway, su cui i jazzisti improvvisano e costruiscono nuovi arrangiamenti. La struttura di queste canzoni si presta facilmente a rielaborazioni jazzistiche, grazie anche alla loro ottima qualità musicale. Sono composizioni agili, dove c’è un recitativo (destinato a delineare la storia raccontata) cui seguono ritornelli melodici sostenuti da ritmi sincopati e ballabili. Sono canzoni basate su meccanismi retorici assai efficaci e seducenti. Nasce qui la distinzione di ruolo fra il compositore (l'autore di un motivo o di una semplice canzone) e l’improvvisatore o l’arrangiatore, che trasformano il pezzo. 
Gli iniziatori di questi stili furono Irving Berlin e Jerome Kern, poi ci furono i fratelli George e Ira Gershwin, Richard Rodgers, Lorenz Hart e altri ancora, fra cui, per l’appunto, Cole Porter. Le sue melodie sono lievemente sofisticate e possiedono una raffinatezza che lo pone ad un livello particolare tra gli scrittori di musica leggera. Infatti, le sue combinazioni di suoni sono piene di buon gusto e di eleganza e sa offrire armonie complesse, che ne hanno fatto un autore di fama. 
Per apprezzare la metamorfosi realizzata da Nina Simone occorre procedere in forma comparativa. 
Si può iniziare ascoltando una prima versione solo strumentale ad opera di Coleman Hawkins e Ben Webster (Coleman Hawkins, You’d Be So Nice To Come Home To), dove si può ben cogliere la componente swing del jazz. Qui i due giganti del sax interloquiscono fra loro in un caldo fraseggio ben sostenuto dalla base ritmica. L’esecuzione è molto bella e fa sentire il motivo ricorsivo della canzone. 
Si prenda poi una seconda versione, questa volta cantata da Helen Merrill (Helen Merrill, You’d Be So Nice To Come Home To), una cantante jazz di nascita croata, ma culturalizzata negli Stati Uniti, che si è fatta notare fin dagli anni Cinquanta in dischi con il trombettista Clifford Brown. Bel ritmo, bella voce: “canto perlaceo, smerigliato”, dice di lei Luciano Federighi. 
Oppure si ascolti un’altra classica delle voci afroamericane del jazz: Sarah Vaughan (Sarah Vaughan, You’d Be So Nice To Come Home To). Gli estimatori di lei hanno detto: grande voce moderna, solenne nei bassi, suadente nei medi, duttile negli acuti. I denigratori (fra cui Frank Sinatra) hanno contrapposto questo giudizio: dizione vezzosamente manierata. 
E ora si consideri la versione di un dolente Chet Baker (Chet Baker You’d Be So Nice To Come Home To). 
Il musicista, nella fase della vita più segnata dalla sua biografia, introduce il pezzo e poi gioca di scat con la batteria. Seguono piano, tromba, contrabbasso per assoli. E poi ancora lui a concludere, riprendendo il tema dell’inizio. Sono tutti professionisti del jazz che sanno come impastare gli ingredienti di questa musica. Si ascolta volentieri e si assapora il profumo dell’era dello swing. 
Ma si potrebbero anche sentire le interpretazioni di Frank Sinatra e di di Nancy Wilson e altre ancora.
Va notato che ci sono vari elementi che accomunano queste letture e riletture: lo stile leggero, la reiterazione e soprattutto la velocità.
E ora sentiamo lei. Sentiamo Nina, Nina Simone, in una irripetuta interpretazione nel Live at Newport: cantata il 30 giugno 1960 e pubblicata nel 1961 dalla casa discografica Colpix. Ripeto: una sola volta così e solo quella volta (ascolta il brano nel video inserito in partenza del testo).
Il sito JazzStandard.com ci ricorda il tema narrativo della canzone, riportando un passo della biografia di Charles Schwartz su Cole Porter: “La sua malinconica melodia ed il testo evocano un sentimento di fraterna solidarietà per i milioni di persone che sono state separate fra loro a causa della guerra” (Schwartz C., 1979).
Cosa ha cambiato? Nina ha cambiato tutto: velocità, tempo, ritmo. Inizia creando il climax con una lunga, lenta e struggente esecuzione di piano - mirabilmente accompagnata da Al Schakman (guitar), Chris White (bass) e Bobby Hamilton (drum) - che dura ben oltre la metà della durata del pezzo. E conclude con una sola strofa, sempre in tono lento e in un crescendo emotivo, del tema narrativo. Perchè sono le parole che lei intende usare per ricreare il pezzo.

You’d be so nice to come home to
You’d be so nice by the fire
While that breeze on night sings a lullaby
You’d be all my heart could desire
Under stars chilled by the winter
Under an August moon shining above
You’d be so nice you’d be paradise
To come home to and love

Sarebbe così bello se tu tornassi a casa
Così bello attorno al fuoco
Mentre la brezza notturna canta una ninnananna
Sarebbe tutto quello che il mio cuore può desiderare
Sotto le stelle gelate dell’inverno
Sotto la luminosa luna d’agosto
Sarebbe  così bello, sarebbe il paradiso
Se tu tornassi a casa e all’amore

Nina Simone non canta solamente: Nina Simone interpreta come un attore teatrale. Questa capacità quasi unica è stata finemente colta da Charles Aznavour, che disse: “Spesso le persone che cantano il jazz cantano la musica. Nina Simone canta il testo allo stesso tempo della musica” (citato in Brun – Lambert, 2008). Ecco perché You’d Be So Nice To Come Home To, che è uno standard jazz in tempo veloce, con Nina Simone diventa lentissimo fino allo spasimo e perché Strange Fruit è ancora più straziante che in Billie Holiday.

I suoi canti ed il suo piano, ad un ascolto appassionato, possono essere ‘visti’ come pennellate: nere, gialle, blu (molto blu), bianche ... Tutto questo lo fa con la voce, con le note del piano, ma soprattutto con i tempi che mette fra le parole. Sono questi attimi di silenzio, queste pause a generare la magia, a gettare il sortilegio.
E così ha oltrepassato quel confine e You’d Be So Nice To Come Home to è diventata un'opera d'arte a se stante. Siamo in molti ad essere rapiti da Nina, l’ammaliatrice.
Racconta lo scrittore Sam Shepard:
“Portavo sempre il ghiaccio a Nina Simone. Era sempre carina con me. Mi chiamava ‘Tesoro’, Le portavo un saccone di plastica grigia pieno di ghiaccio per raffreddare lo Scotch.
Lei si strappava la sua parrucca bionda e la gettava sul pavimento. Sotto, i suoi capelli veri erano corti come il pelo tosato d’un agnello nero. Si scollava le ciglia finte e le appiccicava allo specchio. Le sue palpebre erano spesse e dipinte d’azzurro. Mi facevano sempre venire in mente una di quelle Regine Egiziane che vedevo nel National Geographic. La sua pelle era lucida di sudore. Si arrotolava un asciugamano azzurro intorno al collo e si sporgeva in avanti appoggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia. Il sudore rotolava giù dalla sua faccia e schizzava sul pavimento di cemento rosso tra i suoi piedi.
Finiva sempre il suo spettacolo con la canzone ‘Jenny Pirata’ di Bertolt Brecht. Cantava sempre quella canzone con una sorta di profonda e penetrante rivalsa come se avesse scritto le parole lei stessa. La sua esecuzione puntava dritta alla gola di un pubblico bianco. Poi puntava al cuore. Poi puntava alla testa. Era un colpo mortale in quei giorni.
La canzone cantata da lei che mi stendeva davvero era ‘You’d Be So Nice to Come Home To’.
Mi lasciava sempre di sale. Magari ero in giro a raccogliere bicchieri di Whiskey Sour in sala e lei attaccava una specie di frana rombante al pianoforte con la sua voce roca che sgusciava attraverso gli accordi “montanti”. I miei occhi si fissavano sul palco dell’orchestra e ci rimanevano mentre le mie mani continuavano a lavorare.
Una volta rovesciai una candela mentre lei cantava quella canzone. La cera bollente sgocciolò tutta sull’abito d’un uomo d’affari. Mi chiamarono nell’ufficio del direttore. L’uomo d’affari era lì in piedi con questo lungo schizzo di cera indurita sul pantaloni. Pareva che si fosse venuto addosso. Fui licenziato quella sera. 
Fuori in strada sentivo ancora la sua voce che arrivava dritta attraverso il cemento. ‘Sarebbe il paradiso se tu tornassi a casa’ ” (Shepard, 1985).



× ASCOLTI

× Chet Baker, One Night In Tokyo, Immortal, 2008.
× Helen Merrill, in AA.VV., The Cole Porter Songbook: Night and Day, Verve, 1990.
× Nina Simone, At Newport, Colpix, 1961, ristampa cd, Forbidden Fruit/At Newport, Collectables/Rhino, 1998.
× Frank Sinatra, A Swingin' Affair!, Capitol 1957, ristampa cd A Swingin' Affair!, Capitol 1998.
× Sarah Vaughan, in AA.VV., Cole Porter In Concert: Just One Of Those Five Things, Verve, 1994.
× Ben Webster e Coleman Hawkins, in AA.VV., Anything Goes: The Cole Porter Songbook, Instrumentals, Verve, 1992.
× Nancy Wilson, The Very Best Of Nancy Wilson, The Capitol Recordings, 1960-1976, Emi, 2007.


× LETTURE

× Brun–Lambert D., Nina Simone: Une vie, Editons Flammarion, Paris, 2005, trad. it. Nina Simone. Una vita, Kowalsky, Milano, 2008.
× Federighi L., Grandi voci della musica americana, Mondadori, 1997.
× Schwartz C., Cole Porter: A Biography, Da Capo Press, Usa, 1979.
× Shepard S., Motel Chronicles, City Lights, Usa, 1983, trad. it. Motel Chronicles, Feltrinelli, 1986.