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di Claudio Bonomi
Reel Recordings,
la mossa giusta di Michael King

Parliamo di Michael King. Un nome che forse i più ricorderanno come autore di un libro su Robert Wyatt, Wrong Movements, pubblicato nel 1994 da Saf Publishing (Falsi Movimenti, il titolo dell’edizione italiana realizzata da Arcana e curata da Alessandro Achilli). Si tratta di una vera e propria cronologia wyattiana: un diario lungo i primi trent’anni di carriera dell’ex Soft Machine farcito di date, concerti, eventi, interviste, aneddoti, recensioni, fotografie ecc. Il tutto stilato ex post dall’encomiabile King che con meticolosità e cura certosina si era procurato l’impossibile per confezionare quello che oggi è, almeno a livello pubblicistico-letterario, il tributo più importante al genio del compositore di Bristol. Ebbene, quest’anima di ricercatore King la riscopre anni più tardi, lavorando a stretto contatto con il rock più coraggioso e i migliori jazzisti e improvvisatori inglesi degli anni Settanta, dividendosi tra il lavoro di documentarista e quello di ingegnere del suono. Ma la svolta avviene nel 2007 con la scoperta della riproduzione digitale a 24bit che consente di rinverdire il suono analogico di nastri e vinili, aprendo la strada a un’opera di rivalutazione di materiale raro o inedito, “ordinata” finalmente secondo crismi audio accettabili. Un’opera che così pensata non solo rispetta il più possibile, con le inevitabili differenze dovute alle diverse fonti, la “fedeltà audio” delle registrazioni originali, ma rende anche giustizia al lavoro di artisti e musicisti coinvolti. King ci crede e fonda la Reel Recordings (www.reelrecordings.org) ovvero “musica creativa catturata su nastro magnetico”: una piccola label amatoriale (distribuita in Italia da Ird), che ad oggi ha già pubblicato una discreta mole di materiale, quasi tutto inedito. Qualche nome? Harry Miller, Gary Windo, Kevin Ayers, Ray Russell, Bob Downes, Lol Coxhill, Gerry Fitzgerald, Mike Osborne, Steve Miller Trio, Soft Heap, Soft Machine ecc. Dalle formazioni coinvolte si comprende bene quali siano gli interessi di King che quest’anno ha messo a segno la riscoperta di due gemme straordinarie, due registrazioni entrambe inedite: il concerto ad Oslo, in Norvegia, dei Soft Machine Live At Henie Onstad Art Centre 1971 e Live at the Union 1966 del Rendell-Carr Quintet. Insomma, nella larghissima maggioranza dei casi non si tratta di registrazioni marginali o di “scarti di magazzino” ma di veri e propri documenti che tirati a lucido dalle alchimie digitali di King costituiscono dei veri e propri documenti sonori in grado di contribuire a una rilettura critica di una stagione musicale, quella soprattutto dell’improvvisazione britannica degli anni Settanta, che ancora oggi ha molto da dire e insegnare.

 

Per cominciare, vorrei che ci raccontassi la tua storia personale e professionale. Hai cominciato la tua carriera nella musica come tecnico del suono, è vero?

È la prima volta che qualcuno allude a una mia “carriera nella musica”; in effetti solo adesso, dopo cinquant’anni che ascolto musica, comincio a vederne una. Infatti, io considero la mia attività di rimasterizzatore di nastri un complemento della testimonianza musicale: se la musica è dura, non cerco di ammorbidirla. Per la verità, ho cominciato a lavorare con un registratore a bobine al primo anno di superiori, nel 1970. Avevo tredici anni e registrai un’imitazione di programma radiofonico in cui il DJ ero io in persona. Avevo programmato Voodoo Chile (Slight Return) di Jimi Hendrix e i Beach Boys, mi pare. Questo lo ricordo bene. Ho trascorso l’adolescenza ascoltando rock, pop e prog, non necessariamente in quest’ordine. Ed è allora che ho cominciato a registrare su cassetta trasmissioni radiofoniche e varî bootleg che uscivano all’epoca. Nel 1984 sono andato a lavorare alla radio CKLN-FM College di Toronto e ben presto producevo speciali di un’ora montando su cassetta dischi e mie interviste (John Stevens, Chris Cutler, Jack Bruce, John Cale, ecc.). È stato però solo quando ho cominciato ad acquisire registrazioni per quello che sarebbe diventato il disco retrospettivo di Robert Wyatt, Flotsam Jetsam, che ho sentito per la prima volta la pura energia registrata su un grande nastro, quelli dei registratori a bobine, parlo in particolare del nastro BBC dei Symbiosis di Gary Windo. Ho scoperto allora il potenziale sonoro di quel medium. Parliamo del 1989, quando ancora tutti si bevevano la balla del Suono Perfetto Per Sempre. Ma per venire alla tua domanda, ho accettato di prendermi la responsabilità di lavorare sulla registrazione di un musicista solo dopo l’affermazione della registrazione e dell’elaborazione a 24 bit. Solo allora mi sono impegnato sul serio a imparare qualcosa di nuovo.

 

Perché nel 2007 hai deciso di creare una nuova etichetta e di chiamarla Reel Recordings? Era il sogno della tua vita o cos’altro?

Di certo non il sogno della mia vita. Devi tener presente che l’industria discografica non era strutturata e progredita com’è oggi. Solo i musicisti e i manager più tignosi riuscivano a stampare dei dischi indipendenti, anche se naturalmente le barriere caddero nei tardi anni Settanta, grazie all’esplosione del punk nel Regno Unito. No, a quei tempi mi dedicavo semplicemente ad ascoltare e vedere più musica possibile. Ho deciso di fondare la Reel Recordings dopo che Gerry Fitzgerald mi fece restaurare “al forno” e riversare in digitale (nell’originale: “bake & replay”, procedimento che nella prima fase consiste letteralmente nel cuocere il nastro del master, ndr) il disco registrato con il suo compagno di burle Lol Coxhill e mai pubblicato dalla Virgin Records. Al telefono gli dissi che la musica rivelava un genio improvvisativo assoluto e che doveva uscire, in un modo o in un altro. Gerry si limitò a dirmi: “Perché non lo pubblichi tu?”, e io ci risi sopra. Quella sera nacque dal nulla l’idea di un’etichetta dedicata alle registrazioni analogiche.

 

Perché hai voluto concentrarti sul jazz britannico e sugli artisti dell’avanguardia britannica degli anni Settanta?

Be’, non avevo altro ambito in cui operare. Non lavoro come consulente per l’Atlantic Records come ha fatto il mio amico Rob Bowen, né per l’influente ReR Megacorp di Chris Cutler. Quella è la nicchia di Bob Drake, lui e Udi Komran (tecnico del suono israeliano, ndr) lì non hanno rivali. Direi che il filo rosso di tutte le pubblicazioni della Reel Recordings sia l’improvvisazione, tanto come elemento della musica quanto come quadro totale. La Gran Bretagna qui ha una lunga storia che non è stata ancora raccontata e mi piace il senso di scoperta che avverto ogni volta che m’imbatto in un’esecuzione d’eccezione. All’inizio la mia speranza era di pubblicare una registrazione della Charles Moffett Family e anche del suonatore di cornamusa Rufus Harley, uno dei pochi miei eroi. È strana la piega che finiscono col prendere le cose.

 

Una tua scoperta recente è una registrazione privata di un concerto del quintetto Rendell-Carr del 1966, una vera gemma. Dove trovi tutti questi nastri oscuri e inediti? Hai dei fornitori, collezionisti o musicisti?

George Foster, amico di lunghissima data di Ian Carr, registrò Live at The Union 1966 all’University College di Londra, dove alcuni membri della New Jazz Orchestra di Neil Ardley studiavano e provavano. George si è messo in contatto con noi e il concerto ci ha proprio lasciati di stucco! Si tratta di un esempio di come una registrazione possa arrivarci sul tavolo. Anche Bob Downes e Trevor Watts ci hanno proposto le loro collezioni di nastri. Penso che la risposta più esauriente alla tua domanda si trovi sul retro di copertina di tutti i nostri dischi e nelle note sugli artisti: è lì che la Reel recordings rivela i particolari sulle origini del nastro.

 

E la riedizione di vecchi dischi? Ti sei fermato dopo i cd di Ray Russell e di Ken Hyder. Come mai?

È vero, ma non si è trattato di una decisione di politica editoriale. Ci sono tanti dischi che aspettano di venire ripubblicati: Springboard di Ian Carr, Trevor Watts, Jeff Clyne e John Stevens ne è un ottimo esempio. A Trevor piace l’idea di portare su cd Deep, l’album del 1977 degli Amalgam, con Harry Miller, e anche a me. Vedremo. Per fortuna l’etichetta Dutton-Vocalion continua a ripubblicare grandi dischi di jazz britannico della “golden era”, e sempre con standard altissimi.

 

Puoi dirci di più sugli ideali, la filosofia e gli obiettivi “commerciali” (se ci sono) della Reel Recordings?

Con piacere. Gli ideali sono dettati dalla mia risposta musicale a un’esecuzione e alla sua registrazione. Un aspetto filosofico riguarda il processo di rimasterizzazione, che adopera componenti audio di alto livello, anziché soluzioni commerciali Pro-Audio. Il suono che m’ispira rispetto non risulta da quello che facciamo tecnicamente, piuttosto da quello che non usiamo o facciamo. Comunque c’è una quantità di registrazioni storiche che ho scaricato in flac e non vedo l’ora di poterle pubblicare. Un altro aspetto filosofico è la musica stessa: quali sono le sue qualità artistiche? Si tratta di una esecuzione o di più esecuzioni storiche? Di musica poco nota ma per lo più godibile? Gli obiettivi commerciali consistono nel poter continuare a scoprire e a valorizzare cose eterne quali sono le registrazioni musicali d’eccezione. Se ci siamo riusciti fino a oggi lo dobbiamo alla gentilezza di tutti coloro che hanno capito le nostre intenzioni e ci hanno sostenuti.

 

Che risposta dà il mercato ai dischi della Reel Recordings?

Mercato? Quale mercato? Il nostro interesse per le registrazioni non è di tipo consueto: scegliamo musica con forti caratteri d’individualità, ipercreativa, e nel farlo pensiamo all’ascoltatore. I nostri distributori rendono disponibili i nostri cd sul “mercato” a cui l’ascoltatore è costretto a rivolgersi. Il mercato risponde solo a quello che gli interessa, i quattrini. Sono soltanto gli ascoltatori a poter esprimere amore e/o gradimento: e lo fanno.

 

Considerando l’intera produzione della Reel Recordings, quale consideri il tuo risultato più importante?

Domanda spinosa. Sono contento di ogni titolo del nostro piccolo catalogo, e di ognuno per ragioni diverse, ma mi rendo conto che alcuni avrebbero potuto venire meglio se solo le circostanze l’avessero permesso. Tuttavia, se qualche anno fa qualcuno mi avesse detto che avrei prodotto una registrazione come Splinters o Soft Machine at Henie Onstadt Art Centre, non ci avrei mai creduto. Un altro risultato che per me conta molto è l’aver collaborato con Hazel Miller alla presentazione di un cd di registrazioni inedite dei bellissimi Isipingo di Harry Miller.

 

Vuoi anticiparci qualche tuo progetto?

Sì. Ho in ballo diverse potenziali riedizioni. Inoltre, sembra che la nostra reputazione si sia consolidata presso un circolo sempre più ampio di musicisti ed archivisti, quindi sta diventando un po’ meno difficile disseppellire nastri. Per tacere di sorprese come Live at The Union 1966! Poi abbiamo un’altra edizione speciale quasi pronta, un set di tre dischi dei Dreamtime, sorprendenti a detta di chiunque li abbia visti o sentiti. Il primo disco è il quintetto Dreamtime originale con Nick Evans, Jim Dvorak, Gary Curson, Roberto Bellatalla, Jim LeBaige al Bracknell Jazz Festival del 1985. Il secondo disco, registrato nel 1991 allo Swan Pub, è Double Dreamtime in cui ogni strumento è doppio: al quintetto si uniscono Paul Rutherford, Kevin Davey, Paul Dunmall, Marcio Mattos e Mark Saunders. Una band che non aveva niente da invidiare alla Brotherhood of Breath! Il terzo disco è un bonus del tentet di Jim Dvorak con Elton Dean, Nick Evans, Maggie Nichols, Stan Tracey, Paul Rogers e altri. Quest’anno pubblicheremo anche un altro disco triplo di improvvisazioni di Lol Coxhill, G.F. Fitzgerald e Steve Miller, con un dvd bonus. Restate in ascolto! E grazie della vostra attenzione.

 

Traduzione di Marco Bertoli

 


 

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Il catalogo Reel Recordings:

— Bob Downes Open Music, Crossing Borders (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 17)

— Command All Stars, Curiosities 1972

— Don Rendell- Ian Carr Quintet, Live at the Union 1966

— G.F. Fitz-Gerald & Lol Coxhill, Echoes Of Duneden (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 12)

— Harry Miller’s Isipingo, Full Steam Ahead

— Ken Hyder’s Talisker, Dreaming Of Glenisia (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 12)

— Kevin Ayers and The Whole World, Hyde Park Free Concert 1970 (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 12)

— Kevin Ayers, What More Can I Say…

— Mike Osborne, Force of Nature (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 16)

— Pam & Gary Windo, Avant Gardeners

— Ray Russell, Secret Asylum (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 12)

— Soft Heap, Al Dente (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 16)

— Soft Machine, Live At Henie Onstad Art Centre 1971

— Splinters, Split the difference

— Steve Miller Trio, Steve Miller Trio Meets Elton Dean (vedi Quaderni d’Altri tempi n. 16)